Il 21 ci mette pochissimo ad arrivare nella mia via stanotte, perché non c'è nessuno e salta praticamente tutte le altre fermate. Per poco non mi dimentico di suonare la mia, ma all'ultimo mi ricordo che devo scendere.
Il mio muretto è piuttosto triste, qui nel buio della sera, ma adesso non ho tempo di sedermi lì a sentire l'atmosfera che si percepisce a quest'ora della notte, così vado direttamente a casa.
Mio padre non c'è, le luci sono tutte spente, il che è piuttosto strano perché di solito mi avverte quando esce di casa. Però è anche vero che io sono stato fuori per ore e lui può aver avuto bisogno di qualcosa. Magari voleva un pacchetto di sigarette. O altro alcool.
Non mi stupisco quando, dopo averlo chiamato diverse volte e aver ispezionato tutta casa, tiro un sospiro di sollievo.
Vado in bagno a disfare il costume. Amo Halloween, l'unico problema è che dura solo una sera e quindi non posso rimanere nel mio costume per giorni senza mai farmi vedere in faccia.
Non ho visto Steven alla festa. Questo pensiero si insinua nella mia testa, facendo leva sulla conversazione che ho avuto ieri sera con Bodie e che ho accuratamente chiuso dentro un cassettino nella mia mente. Volevo avere tempo di sbrogliare la faccenda, volevo avere tutta la notte per stare sveglio e riflettere. Ieri non potevo farlo, perché questa mattina dovevo alzarmi presto per andare a scuola, ma domani la lezione della prima ora è saltata e mio padre non c'è.
Vado in cucina e mi faccio un toast, con calma, mentre tiro fuori il pensiero che da due giorni è incastrato lì e mi tormenta.
Mi piace Steven? Avrebbe senso. Bodie ha dell'occhio, forse, per riconoscere le cotte, ma non è solo quello. È quell'entusiasmo che avevo addosso ogni volta che lo vedevo, prima che mi mollasse per i suoi nuovi amici, quella sensazione che mi fioriva nello stomaco quando mi sfiorava l'orecchio con le labbra, quel batticuore quando lo vedo nel corridoio, quel mal di testa, mal di pancia, quella sensazione. È difficile da spiegare, non voglio spiegarla.
Però d'altra parte non ha senso, perché sono certo che mi piacciano le ragazze. Mi sono sempre piaciute ed è impossibile che ora, di punto in bianco, inizino a piacermi i maschi.
La mia mente sta cominciando a districare tutti i nodi di questo ragionamento troppo intricato, o almeno ci sta provando, quando squilla il telefono.
Metto il toast su un piatto e mi porto la cornetta all'orecchio. «Pronto?» chiedo, ma la voce che mi risponde mi fa gelare il sangue nelle vene.
«Parlo con Ryan Crest? È il Gilles City Hospital»
«Sì, sono io...» mi trema la voce. Non è la prima volta che chiamano, ma è la prima volta che ci sono io a rispondere e non Logan.
«Suo padre è stato ricoverato un'ora fa» da come lo dice, deduco che non è la prima volta che chiama. «Non è in pessime condizioni, ma c'è bisogno che qualcuno passi la notte con lui»
Apro la bocca per parlare, per chiedere cos'è successo, quanto ha bevuto, ma non esce niente.
Per anni ho giudicato Logan e John perché non facevano nulla in casa, però questo è un peso che ho sempre lasciato a loro. Quante volte li ho visti uscire di notte in macchina e sapevo benissimo dove stavano andando - in ospedale, al bar, in qualche birreria a riprenderlo - ma non mi sono mai offerto di andare con loro. Avrei aiutato in qualche modo? Probabilmente no, sarei solo rimasto lì a guardare senza fare niente. Lo sapevo, quindi non ci sono mai andato.
«Ryan?» il tono di chi parla si è leggermente ammorbidito.
«Arrivo subito» rispondo e metto giù.
STAI LEGGENDO
All That Shines
Teen FictionRyss vive in una famiglia difficile, con una madre assente, un padre alcolizzato e tre fratelli con cui non ha nulla in comune. Con gli anni ha imparato a cavarsela da solo, ad occuparsi della casa e a tenere in piedi la sua vita. Abbandonato dal s...