Capitolo 45. Bodie

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La prima metà del tour passa in fretta, l'ultimo concerto è dopo metà dicembre, il ventisette. Abbiamo suonato fino all'una, e questa mattina ci siamo svegliati tardi, ci siamo fatti la doccia e poi siamo usciti direttamente per il pranzo. Siamo andati in un piccolo locale appena fuori dal centro, dove ci hanno riconosciuti solo un paio di ragazzi e poi nessuno ci ha più rivolto neanche uno sguardo.

Fuori, il sole tiepido che era sorto questa mattina è stato sostituito da nuvole grigie, che cominciano a grondare pioggia poco dopo che ci siamo seduti a tavola. Fanno la pizza qui; non è buona come da Giacomo, pizza italiana originale, ma non è male. Ryss prende la solita margherita e non la finisce nemmeno; quello che lascia lo mangio io dopo la mia pizza ben condita.

«È stato forte» dice Seth, rispondendo alla domanda di Philipe su com'è stato ieri sera.

«Sì, non vedo l'ora che arrivi marzo e possiamo ricominciare a fare concerti» annuisce Ryss, giocherellando con il bordo del bicchiere.

«Perché facciamo la pausa, a proposito?» domanda Maxine, infilandosi una fetta intera in bocca.

«Vi diamo un po' di riposo, ragazzi» risponde Philipe. «E vediamo come riprendono le vendite dei cd, così speriamo che nella seconda parte del tour ci sia ancora più richiesta».

Sto per dire qualcosa anch'io, poi sento il telefono vibrare nella tasca.

«Scusate» mi allontano e apro il telefono, dando un'occhiata a chi è e portandolo all'orecchio. «Pronto, Jael?»

«Bodie...» la voce di mia sorella trema e mi fa venire una paura tremenda.

«Jael, cosa succede?»

«Bodie, devi tornare a casa» non riesce quasi a parlare. Sospira, come se fosse sul punto di piangere.

«Partiamo domani, sarò lì domani sera. Cos'è successo?»

«Devi tornare a casa oggi» dice dopo una lunga pausa. «Devi tornare oggi, Bodie».

«Jael» appoggio la mano ad un tavolo vuoto e scorgo Ryss, che mi fissa preoccupato. «Mi vuoi dire che cosa è successo?»

C'è un lungo silenzio, lunghissimo, poi sento un singhiozzo. «Papà» borbotta tra le lacrime. «C'è stato un incidente in macchina».

Crollo sulla sedia. Non c'è bisogno di nessun'altra spiegazione, né che dica nient'altro. Mi manca il respiro, mi gira la testa. Io non gli ho parlato. Io non ho fatto pace con lui. Ho parlato con la mamma al telefono, mesi fa, dopo il primo concerto, e non ho voluto parlare con lui. O lui non ha voluto parlare con me, non importa, non me lo ricordo.

«Bodie?» Ryss mi mette una mano sulla spalla, riportandomi alla realtà. «Bodie, stai bene?»

«Devo andare a casa» rispondo. «Adesso».

«Vengo con te».

Quello che succede dopo il pranzo non lo registro nemmeno. Philipe fa il possibile e riesce a prenotarci un volo oggi, vengono tutti con me. Torniamo in albergo e facciamo le valige. Non ricordo a che ora partiamo, né quanto dura il volo. Non capisco niente. Ryss mi tiene la mano mentre voliamo, ma io sento solo la pressione delle sue dita, non sento nulla di quello che mi dice.

Mio padre ha fatto un incidente in auto. Mio padre non mi parla da sette mesi. Non gli ho voluto parlare perché avevo paura di quello che ci saremmo potuti dire. Non gli ho voluto parlare e adesso non posso più farlo.

Arriviamo in aeroporto verso sera, poco dopo cena, e un'auto ci porta a casa. Non so chi la guidi, ma so che mi porta dritto a casa dei miei. Di mia madre, ora.

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