Capitolo 32. Bodie

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I Detonators se ne vanno dalle nostre vite così come sono arrivati; in fretta, senza fare troppo rumore, cambiando tutto. Mentre pochi mesi fa erano solo delle figure ai lati del nostro campo visivo, ombre, miti che potevano anche non esistere, adesso sono persone reali che se ne vanno. Il primo giorno che sono partiti, sulla bacheca dell'Old Rock sono appesi centinaia di fogli e biglietti più o meno affettuosi. Qualcuno promette sostegno e amore eterno, altri piangono e si lamentano; ce n'è persino uno con su scritto "è sparita un'istituzione".

I concerti però continuano e a noi viene aggiunta una serata ogni due settimane. Fortunatamente ormai siamo a fine marzo e mancano un paio mesi alla fine della scuola, perché non so come andare avanti in questo modo. Non posso permettermi di fare casini a scuola – come dormire in classe – , né che la mia media si abbassi, né posso saltare il sermone della domenica, se voglio tutta la libertà di cui godo ora. Ma sono come minimo dieci sere al mese di concerto e uscire dalla finestra sta diventando sempre più complesso. L'altra notte sono quasi caduto e qualche settimana fa ho rischiato di svegliare i miei genitori.

In più, è stato molto difficile spiegare l'occhio nero senza finire nei guai. Alla fine mi sono inventato che ho cercato di fermare due ragazzi che litigavano, a scuola, e uno dei due per sbaglio mi ha dato un pugno. Ha retto, ma non posso raccontare altre balle. Anche perché in casa mia c'è parecchia tensione: devono arrivare le lettere di risposta dal college. A Ryss sono arrivate la settimana scorsa, entrambe lettere di ammissione. Quando me l'ha detto mi sembrava stupito; era convinto che non sarebbe riuscito ad entrare da nessuna parte, e invece ha ben due scelte. La mia media è più alta della sua – io tutte A e lui B e C – ma per qualche motivo io sono preoccupato. Le mie domande per il college erano precise, ben articolate e coerenti, le ho preparate per tutta estate, ma questo ritardo nella risposta mi sta mettendo ansia e, cosa più importante, la sta mettendo ai miei genitori.

Oggi Ryss non era a scuola. Ieri suo padre è finito in ospedale e lui è stato sveglio tutta notte; quando mi ha telefonato questa mattina sembrava a pezzi. È stata una giornata pesante senza di lui; non ci ero abituato, di solito facciamo sempre assenza lo stesso giorno. Mi ero dimenticato com'era sentirsi soli nel corridoio, sapendo che non c'è nessuno che ti aspetta in classe o all'armadietto. Inoltre, da quando ha – giustamente – lasciato la banda, io non riesco più ad andarci serenamente. I miei genitori non vorrebbero mai che la lasciassi e quindi a me tocca rimanere in quell'aula per tre ore a settimana insieme a quella faccia di cazzo di Justin e a tutti gli altri. Una volta, poco dopo la festa, è venuto a chiedermi perché Ryss non ci fosse. «Perché non ha apprezzato che tu gli abbia ficcato le mani nelle mutande e preferisce non rivedere mai più la tua faccia» gli ho risposto io, e quando gliel'ho detto Ryss mi è sembrato abbastanza soddisfatto di questa risposta.

Anche il viaggio verso casa, dopo una giornata come questa, è triste, ma la cosa peggiore che mi aspetta oggi la scopro non appena metto piede oltre la soglia della porta.

«Sono a casa!» dico e i miei genitori appaiono entrambi sulla porta della cucina, con delle facce che sembrano appena uscite dall'Inferno. Mio padre è rosso, letteralmente, e mia madre ha chiaramente pianto. Che succede? Non avranno mica litigato ancora?

«Bodie, vieni in cucina. Subito» ordina mio padre e io non oso disobbedire, perché quel tono mi spaventa. Sta trattenendo la rabbia, eppure non mi sembra di avergliene mai vista così tanta addosso. Cosa diavolo ho fatto? Ormai, con tutti i casini che combino, non so neanche più decidere quale possano aver beccato. Non mi tolgo nemmeno le scarpe, mi limito ad entrare nella cucina che sembra di cristallo, fragile, fredda e silenziosa.

Sul tavolo ci sono tre fogli di carta aperti e una borsa della spesa ripiegata di modo che non si veda il contenuto.

«Sono arrivate le risposte dei college» dice mio padre e quasi balbetta. Penso che potrebbe uccidermi. Da come mi guarda, credo che potrebbe farlo.

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