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PARTE Seconda

6

Nicolas entrò nella stanza dell'ospedale, e lo vide lì in piedi, per la prima volta con delle vesti che non erano abiti o camice, ma un semplice pigiama d'ospedale dal colore monotono.
"Signor Serrano." Salutò Nicolas mentre lui stava ad osservare sempre la città dall'alto verso il basso.
"Come sta?" chiese. "Lasciateci soli." Ordinò poi alle altre guardie del corpo. "Potrebbe andare meglio, mi fa ancora un po' male. I medici mi hanno detto che è meglio tenermi in convalescenza per un altro po' anche se non ne vedo il motivo."
"Sarà perché è un ospite importante e quindi vogliono prendersene cura."
"Parte dell'ospedale è mio, in effetti."
Nicolas rimase sbalordito dalla potenza economica che aveva quella famiglia. "Ma è anche mio padre che mi ha dato l'ordine forzato di tenermi a riposo. Non vuole che la storia di Guillermo si ripeta e quindi perdere l'unico figlio che può portare avanti la famiglia."
"Anche a me ha chiesto se volessi prendermi un altro po' di tempo per riprendermi, ma ho rifiutato. Voglio scoprire chi è il colpevole." Rispose avvicinandosi e guardando anche lui la vista della città. Era sempre così bello guardare tutto dalle alte posizioni.
"Non è quello che mi preoccupa." Confessò. "Ma le ribellioni che ci sono in atto." Aggiunse.
"Le altre famiglie mafiose avranno sicuramente saputo della mia convalescenza per cui ne stanno approfittando. Ho saputo di furti di carichi dal nostro porto, e fuga di banconote e di armi da ogni dove. Si sta per fomentare il caos, ed io non posso permetterlo."
"Gestiremo tutto, non ti preoccupare."
"Gestiremo" ripetette in mente Miguel. Ancora non gli sembrava vero che il moro fosse tornato indietro per lui, e che avesse completamente preso le vesti di sua guardia del corpo principale.
In quel momento i loro volti si avvicinarono ma la porta si aprì e i due si allontanarono un po'. Rumore di tacchi in avvicinamento, Miki sapeva benissimo riconoscere il passo ad un kilometro di distanza.
"Che ci fai qui, Diana?" chiese seccato. "Oh non essere crucciato Miguelito, sono venuta a vedere come stava il mio cugino preferito."
"Puoi anche fare finta della farsa, so che non te ne frega un cazzo di me e non ci sono né mio padre né tuo padre." La spense subito.
L'espressione di lei cambiò. "È vero, sono venuta qui per lui." fece lei indicando Nicolas, che si irrigidì.
"Per m-me?" balbettò nervoso. Miguel si innervosì. "Volevo sapere come stavi, dev'essere stata dura anche per te sopravvivere in mezzo al bosco senza cibo né acqua. Sei ferito? Ti hanno dato le cure necessarie?"
"Ferito no, a dire il vero sono un po'..."
"Sta bene, Diana." Intervenne il castano. "Non c'è bisogno che ti preoccupi tu dei miei sottoposti." Aggiunse. Lei guardò Miguel con aria di sfida e Nik voleva solo sparire in mezzo a quel fuoco incrociato di sguardi folli che si stavano lanciando.
"Bene." Si arrese. "Volevo solo fargli sapere che ha una persona su cui contare. Far sentire la propria presenza è importante più di cure ben pagate, a volte."
Lei ammiccò a Nicolas che sorrise imbarazzato. "Grazie per la tua visita, ora puoi andare."
Diana sorrise. "Buona dimissione, cuginetto. Non sforzarti troppo o ti saltano i punti." Affermò serafica voltando su sé stessa coi lunghi capelli castani e mossi che la seguirono, e poi sgambettò fuori di lì.
"Nik." Lo chiamò subito dopo con tono furioso e sguardo cupo. "Non fidarti di lei." Aggiunse. Il ragazzo annuì e deglutì. Chissà per quale motivo si odiavano così, e perché lei aveva tutte quelle attenzioni per lui.


"Dunque il piano è questo." Illustrò Adrien proiettando le immagini su un grosso televisore attorno alle guardie. "Ci intrufoliamo nel casinò. Roberto tu sarai il mazziere, Nicolas tu un giocatore. Cercherete di alzare la posta in gioco e di barare finché Nicolas non verrà trascinato nell'ufficio principale dove si interfaccerà col direttore del casinò. Questa piccola distrazione ci permetterà di cercare il nostro vero target, ovvero lui." indicò sullo schermo il volto di un uomo. "È il principale sospettato. Lo abbiamo visto interfacciarsi con le telecamere troppo spesso con un'altra gang ancora sconosciuta. Sicuro però, non sono dei nostri." Proseguì.
"Lui sa chi è il colpevole di tutto ciò. Lo catturiamo, ed estorceremo le informazioni che ci servono. Tutto chiaro?" domandò Adrien che aveva preso in comando la situazione sotto ordine del signor Serrano e di Miguel.


Era forse la prima volta che andava in missione con degli abiti che non fossero impegnativi come la camicia bianca e il pantalone con gilet o giacca neri. Si sentiva decisamente più a suo agio, pensava Nicolas mentre scommetteva contro Roberto alzando sempre di più la posta in gioco.
"Altra partita signore?" gli chiese il biondo. "Sì, voglio aumentare la posta." Rispose rilanciando parte delle fiches che stavano di fronte a lui.
"Alejandro, Pedro. Avete trovato il soggetto?" domandò Adrien dall'auricolare. "Non ancora." Rispose Pedro mentre lo cercava tra la folla del bar facendo finta di sorseggiare un drink.
"Abbiamo un problema." Disse Alejandro. "Quello è il direttore, e sta uscendo via dal casino."
"Cazzo." Sussurrò Adrian che stava in piedi alle spalle di Josè dietro i computer. "Confermo, sta uscendo dal casinò."
"Bene, tienilo d'occhio con le telecamere e manda i seguigi."
"Chiamo Mateo." Disse spostandosi verso un altro computer. "Adrian, è inutile puntare alto se non c'è lui. La distrazione è andata." Borbottò con una mano davanti alla bocca Nicolas mentre stava giocando.
"Sì, dobbiamo trovare un modo per creare una distrazione. Dammi un momento." Ci pensò su.
Nicolas poi notò una figura familiare in mezzo alla folla. "Pedro a ore due. Non è lui il target?" bisbigliò poi sorridendo alla donna al lato del tavolo. "Le mie ore due, imbecille!" aggiunse quando notò che stava guardando dalla parte sbagliata.
"Idiota non so bene come stai piazzato."
"Cinque e trenta, alle ore cinque e trenta!" esclamò. "Che cazzo mi signi... sì, mi sembra lui." si corresse dopo essersi girato. "Vado a prenderlo." Si alzò dall'angolo bar e si avvicinò verso quell'angolo sorvegliato da due guardie del corpo vestite completamente di nero, grandi il doppio di lui.
Uno gli mise una mano in petto ed il ragazzo dovette resistere alla tentazione di sbatterlo a terra.
"Solo VIP."
"C'è un amico lì."
"Solo. VIP." Lo allontanò. "Abbiamo un problema, è un area riservata."
"Ti faccio mettere in lista. Preparati." Disse Adrian. "Ho un'idea migliore e più rapida." Fece Nicolas, sorridendo alla donna che si stava facendo sempre più vicino a lui.
"Partita interessante eh?" iniziò a parlare. "Ma che cazzo sta facendo?" chiese Pedro. "Ho notato, sa giocare molto bene per essere un ragazzino." Sottolineò lei, che aveva indosso un vestito elegante firmato PRADA, ed un paio di guanti sulle braccia. Il trucco pesante che aveva in faccia sicuramente la rendeva più giovane di quello che voleva dimostrare, perché a giudicare dal tono di voce e dalla postura, le dava almeno una sessantina d'anni se non di più.
"È la fortuna del principiante." Commentò lui. "Un po' come aver incrociato il suo sguardo." Lusingò. "Oh, mi fa arrossire. La prego."
Adrian e Josè si lanciarono uno sguardo confusi. "Sono sincero, quanti sono i fortunati che sono riuscita ad approcciarla?"
"Sta sul serio flirtando con una donna?" chiese Pedro nell'auricolare. "Non ti distrarre, cerca di capire che non esca da quella porta il nostro obiettivo. Josè, puoi entrare dentro?"
"Sono già nel sistema ma è troppo buio, non si vede nulla."
"Alejandro c'è un uscita di emergenza, vai lì e vedi che non scappi da lì." Ordinò il capo delle guardie.
"Ricevuto." Rispose lui.
"Mi farebbe piacere offrirle un drink." Disse lui alla donna. "E magari..." sussurrò qualcosa nell'orecchio di lei. "CRISTO IDDIO, MA COME CAZZO FAI." Protestò Josè quando sentì quello che voleva farle, suscitando lo sdegno di tutti quelli in ascolto. Roberto dovette usare tutta la concentrazione che aveva in corpo per non ridere o fare smorfie sospette.
La donna si mise una mano davanti la bocca, gli afferrò la mano e lo trascinò verso la sala VIP.
Pedro lo guardò sconvolto sparire all'interno della sala privata.
"Devo andare un momento in bagno, per... prepararmi." Le fece l'occhiolino, lasciandola andare avanti, mentre lui cercava nella sala.
"Sono dentro." disse poi nell'auricolare. "Mio Dio fai schifo."
"Ottimo lavoro Nicolas. Ora individua il bersaglio." Si complimentò Adrian. "Josè, mi copri?" disse facendo un gesto con la mano dietro la schiena. "Ora sì." Rispose.
Nel mentre il ragazzo dai capelli ricci si fece il giro della piccola sala. "Ore quattro." Disse Nicolas. "Sì, sembra essere la figura che è entrata prima."
Nico lo seguì, si stava addentrando nel bagno e quando fu dentro, chiuse la porta bloccandola. Aprì la porta dove lo colse di spalle e coi pantaloni calati e lo sbattette contro il muro. L'uomo protestò e Nico gli mise un avambraccio sotto al collo rubandogli l'auricolare e mettendoselo nell'orecchio libero.
"Brutto stronzo di un marito, viscido traditore, fai sempre questo, immagino tu stia al casinò." Parlava una voce femminile. Nico fu confuso.
Appena si ribellò Nik lo spinse con più forza nel muro facendogli mancare il respiro. Frugò nel taschino della giacca e trovò dei soldi.
"Chi ti ha dato questa giacca?"
"Un tipo... mi mi ha pagato per d-darmela." Borbottò. "Maledizione, ci ha preso in giro." Parlò all'auricolare.
"Fermi tutti o vi faccio saltare in aria!" gridò un tipo tra l'angolo bar ed il tappetino da gioco di Roberto.
Pedro si rimase ferma in mezzo alla folla che scappava, e subito entrarono delle altre guardie travestite come loro con abiti casual.
Roberto lanciò il mazzo di carte in faccia ad uno e gli diede un laterale in volo che lo fece volare via. Nicolas scattò verso la sala principale raggiungendo i suoi compagni che si stavano dando alla lotta, corse verso il target che aveva una bomba in mano e stava scappando. Lo afferrò tenendogli la mano chiusa per non far esplodere la granata e cercò di fare resistenza.
"Josè evacuami l'edificio."
"E come diavolo faccio?" chiese, pensando in fretta, e attivò il sistema di irrigazione antincendio. "Mi serve una stanza priva di gente." Urlò mentre teneva occupato il tipo che lo spingeva verso le colonne di marmo che avevano l'angolo che si infilava sull'osso sacro.
"Un attimo." Lavorò sulle immagini delle telecamere. "Non trovo stanze libere, che vuoi fare?"
"Trovare un posto dove far saltare in aria questa cosa senza uccidere nessuno." Digrignò fra i denti mentre si spingevano.
"Se non mi lasci andare mi farò saltare in aria con tutti voi."
Minacciò.
Fu allora che Nicolas compì un gesto estremo, gli tirò una testata violenta sul naso costringendo l'altra persona ad allentare la presa sulla granata, e Nik la afferrò cercando di tenere l'anello ancora intatto. Si guardò attorno. "Josè, quello sgabuzzino lì." Disse guardandolo.
Josè lo analizzò. "Non so se reggerà. Ma è vuoto."
"A TERRA!" gridò con tutto il fiato che aveva in gola. Nicolas corse verso lo stanzino, aprì la porta, lanciò la granata in aria, lo chiuse e si lanciò per terra.
Un'esplosione alle sue spalle gli stordì le orecchie che fischiarono e un'ondata di calore intensa dietro la schiena, facendogli pensare che stesse prendendo fuoco.
"Il target sta scappando." Gemette il moro rialzandosi con la mano sinistra sotto la costola destra accusando la caduta. L'obiettivo stava correndo verso una porta ma all'improvviso gli arrivò un calcio in faccia.
Uno stacco di coscia femminile con tacco potentissimo ed elegantissimo. Diana sbucò da dietro la tenda con un abito cinese, col trucco impeccabile ed i capelli legati stretti a chignon, mentre manteneva una borsetta sul grembo con due mani.
"Vi serviva una mano?" chiese salvando la situazione in tempo. Il tipo gattonò in direzione opposta ma lei cacciò rapidamente dalla borsetta una minirevolver e sparò a pochi centimetri dalla sua testa.
"Non ti conviene muoverti." Suggerì lei in tono minaccioso, camminando con stile verso Nicolas che stava ancora piegato in due. Gli accarezzò il volto e con quegli occhi verde ipnotico gli chiese se stesse bene.
Nik annuì in silenzio e basta. "Portiamolo via." Ordinò lei alle altre guardie che presero il soggetto di forza e lo trascinarono in auto.


"L'abbiamo preso. Sembra un membro della mafia italiana, del clan di Scotto." Spiegò Nicolas guardandolo da dietro le sbarre.
"Vado a prenderlo."
"Sai dove si trova il signor Scotto?"
"No, ma ho intenzione di scoprirlo."
"Non penso che potrai scoprirlo facilmente, sapendo del caos al casinò si sarà ben nascosto. Se prima aveva paura e si nascondeva, ora rintracciarlo sarà impossibile." Spiegò Miguel all'altro capo del cellulare.
"Otterremo qualcosa, Diana ha detto che..."
"Diana?" domandò. Nik si morse la lingua. Forse non avrebbe dovuto fare il suo nome. "Sì. Diana è intervenuta e ci ha aiutato a cattura-"
Attaccò la linea. "Ma che cazzo?" si domandò Nicolas.
"Pensavo di essere stato chiaro." Dichiarò davanti il PC togliendo il muto. "Ho tutto sotto controllo, credo di sapere bene cosa fare." Disse Miguel al padre in videoconferenza.
"Abbiamo solo pensato di esservi utili. Vista l'urgenza della cosa." Parlò lo zio presente nella stessa stanza. "Se non fosse stato per Diana beh, i tuoi non sarebbero riusciti a catturarli." Aggiunse poi.
"Non serve che ti preoccupi per il momento, pensa a guarire la tua ferita." Commentò lo zio come se fosse una strana frecciatina. "E poi, Diana sa il fatto suo in materia di estorsione di informazioni." Balbettò.
Miguel era rimasto in silenzio, con gli occhi pieni di rancore. "Siamo una famiglia, Miguelito. Non importa chi fa il lavoro, giusto fratello?" Gli ricordò lanciando poi una lunga occhiata al signor Serrano che non rispose.
Nello stesso momento in cui stavano discutendo nella grande e sfarzosa sala riunioni, ad un paio di metri sotto terra la tenuta, Diana indossava una di quelle tute di contenimento da inquinamento biologico, mentre usava pinze e seghetti su quell'uomo che non cedeva un'informazione.
A Nico rimase impresso come una ragazza così aggraziata, dai modi di fare gentili e delicati potesse essere così spietata e sadica, arrivando a metodi di tortura di cui non sapeva neanche l'esistenza.
Non riusciva neanche a guardare lo spettacolo e le grida raccapriccianti gli facevano accapponare la pelle, per non parlare dell'enorme quantità di sangue che gli usciva dalla bocca.
Quasi nessuno guardò quella tremenda opera di tortura, se non Diana che la stava eseguendo col massimo della rudezza. Alla fine, dopo un agonizzante ed interminabile ora di agonia, gli estrasse il dente.
"Ecco a voi." Disse abbassandosi il cappuccio e togliendosi mascherina chirurgica e occhialini insanguinati. Mostrò il dente. "So chi può conoscere la posizione di don Scotto." Disse con uno sguardo fiero.
Nicolas notò come fosse elegante anche con una tuta da contenimento addosso, e mentre si spogliava da essa constatò quanto fosse dannatamente elegante. "Ora se non vi dispiace, vado da mio zio." Disse poi dando il dente in mano a Pedro che trattenne uno sforzo di vomito. A quanto pare non era così forte come voleva far credere, pensò Nik.
Giunta alla sala riunione esordì con un trionfante. "Ho delle buone notizie." Poi notò il faccione del cugino in videoproiezione. "Oh ci sei anche tu, bene. È importante che tu ascolti." Disse poi avvicinandosi all'altro capo del tavolo, poggiando le mani sui bordi e chinandosi di poco come a simboleggiare una presa di potere sulla situazione.
"Don Scotto sta facendo affari loschi e sottobanco con la Yakuza. Si parla di carichi di droga."
"Quelli destinati a noi." Sottolineò il signor Serrano. "Esatto. In particolare, stanno facendo affari con il signor, come ha detto che si chiama... ah sì. La signora Nakamura."
Miguel ebbe uno sguardo deluso. Nemici su tutti i fronti, pensava.
"Posso individuare delle persone collegate con la Nakamura, se non proprio con il responsabile del carico di droga e riuscire così a stanare don Scotto. Io e il mio sotto-clan abbiamo quel tipo di contatti." Parlò lo zio. "Sì, ma resta un problema. Una volta individuati? Che faremo?"
"Ho già in mente un piano, zio." Rispose la ragazza ghignando. "Ma, ho bisogno di un favore." Sorrise poi guardando negli occhi Miguel per osservare la sua reazione alla proposta.


Era giunta la sera. Nicolas entrò in ospedale e si infiltrò nella stanza di Miguel.
"Ehi." Lo salutò trovandolo sempre in piedi sullo stesso punto. "Ehi." Rispose teneramente guardandolo entrare con la sua divisa da camicia bianca e pantalone e gilet nero, mentre lui indossava sempre il solito pigiama da ospedale.
"Come stai?" gli chiese Nik. "Bene. Mi manderanno a casa domattina, per fortuna. Sembra essere tutto in regola."
"Sono contento." Disse prendendo una pausa di silenzio. "Tu come stai?" domandò poi Miguel. "Bene, bene. Un po' indolenzito per il combattimento con quello stronzo, ma sto bene." Gli sorrise.
Quello era ciò di cui aveva bisogno, quel suo sorriso da bambino, che mostrava i denti bianchi, dall'allegria ed il buon umore contagiosi.
Quel momento di felicità però duro poco, perché doveva dirgli quella cosa che in quel momento lo turbava non poco.
"Diana ha ottenuto delle informazioni, e ha un piano su come far uscire allo scoperto Don Scotto." Confessò. "Bene, sono contento."
"Vuole che tu la assista nel suo folle piano." Ammise diretto, sentendo le budella contorcersi. "Io non volevo mandartici, ma mio padre ha deciso così."
Nicolas si avvicinò avvertendo lo sconforto nelle sue parole. "Perché? Cosa ho di speciale?"
Miguel si strinse nelle spalle. "Io credo che lei lo faccia a posta, sa che mi dà fastidio quando si toccano le mie cose." Rispose. "Intendevo..." provò a correggersi quando usò la parola cose. "Lo so cosa intendevi, ho capito." Lo tranquillizzò. "Fa così perché c'è una concorrenza tra il clan principale e quello inferiore. Se riuscisse a farmi fuori, passerei come un perdente, un fallito e mi renderebbe debole e perderei la mia reputazione." Spiegò brevemente avvicinandosi con un passo al castano, afferrandogli un riccio e spostandoglielo.
"Se il piano non dovesse riuscire..." parlò avvertendo una fitta al cuore al solo pensiero se si fosse avverato ciò che stava per dire. "... potresti non tornare mai più."
Nicolas distolse lo sguardo. "Promettimi che tornerai da me. Qualsiasi cosa accada." Gli disse tra i denti.
Nik lo guardò stupito e sentì il cuore battergli a mille per quella dichiarazione. Gli sorrise e tentò un abbraccio.
Miguel inspirò il suo odore più forte che poteva, e si lasciò stringere nonostante i punti facessero un po' male. Quella era la sua medicina in quel momento, averlo lì, davanti.
"Lo prometto." Giurò sussurrandoglielo nell'orecchio. Poggiò il mento sulla spalla di lui e Miguel si lasciò abbandonare tra le forti braccia del ragazzo più basso di lui, accarezzandogli la nuca e sentendo i capelli ispidi tra le sue dita.


L'auto accostò di fronte un vicoletto, dove all'angolo li aspettava Diana in persona, vestita con un lussuoso top rosso e dei jeans a vita alta, lasciandole scoperto l'addome alto e la schiena. Aveva i capelli avvolti in una treccia per quell'occasione ed il volto contornato da un filo leggerissimo di trucco che serviva ad accentuare ancora di più il suo aspetto femminile.
"Addirittura mi scorti tu di persona." Salutò scendendo dall'auto
"Certo, è casa mia, devo fare gli onori." Ammiccò.
"Non sono da solo." Disse facendo spegnere il sorriso di lei. "Ho pensato di dovermi portare anche altri migliori di me, sono ancora un novellino senza esperienza." Fece ingenuo, aspettando che Josè e Roberto uscissero dall'auto. Lei li guardò dall'alto verso il basso seccata dalla loro presenza. "Bene. Seguitemi." Disse addentrandosi nella traversa.
Da lì attraversarono una serie di entrate tra una palazzina e l'altra, passando persino per alcuni corridoi delle case popolari, fino a giungere ad un enorme complesso di palazzi che aveva un enorme giardino al centro perfettamente curato, con una gigantesca tavola imbandita e tutte le guardie del corpo di lei che stavano pranzando assieme in compagnia. Le sue guardie del corpo non erano per niente come loro.
Non tutti erano in forma fisica smagliante, né sembravano persone di cultura, né sembravano seguire alcuna regola del galateo.
"Qui non siamo così rigidi con le nostre guardie." Spiegò lei sedendosi a tavola. "Siamo come una grande famiglia. C'è rispetto reciproco. Le trattiamo come se fossero nostri pari, e loro riconoscono la nostra autorità." Esplicò. "Hanno la massima libertà, possono fare quello che vogliono, sono autogestiti. Se vogliono uscire, escono. Dove vanno e cosa fanno nel loro tempo libero, a me non interessa. Basta che mi giurino fedeltà assoluta." Illustrò mentre si sedeva vicino ad uno di loro che la salutò con riverenza. Lei fece cenno a Nicolas di sedersi di fianco. "Non hanno bisogno di turni rigidi prestabiliti o programmi giornalieri militari. Se vogliono allenarsi, abbiamo la palestra alla fine del viale, tutta a nostra disposizione. Vogliono un'auto per farsi un giro con la fidanzata? Vanno in concessionaria o dal meccanico qui alle spalle. Io so tutto e non so niente. Autogestione e massimo della libertà." Ribadì con un sorriso in volto. Stavano servendo della deliziosa paella e Diana servì un piatto a Nicolas.
Tutto ciò era estremamente gradevole. Un capo che trattava i suoi sottoposti come parenti e non come servi era decisamente un ambiente positivo. Lo si avvertiva già dall'aria che tirava, caotica, divertente. Udì persino delle fragorose risate provenire dai corridoi del palazzo. Era pur sempre vero che loro vivevano nel pieno della città in mezzo ai civili, mentre con la famiglia principale si trattava di una tenuta, sempre nel quartiere residenziale, isolati su una collina, dove la vita era praticamente l'opposto, silenzio e ricchezza delle ville attorno. Inoltre, erano monitorati costantemente, esaminati e non potevano lasciare la struttura se non per le missioni, per ferie o per motivi giustificati che passavano tutti sotto il naso o del signor Serrano o di Miguel stesso.
"Ah, ho un regalo per te, a missione compiuta." Sussurrò nell'orecchio di lui, mentre si scolava un calice di sangria proponendo un brindisi ai suoi due ospiti e a Nicolas, augurandosi che la permanenza fosse quanto più lunga possibile.

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