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PARTE Terza:

5

"È da tanto che non ci vedevamo, Miguel." Salutò Cisco seduto su un letto ammanettato da un solo polso. Miguel lo guardò con indifferenza: "Pensavo di averti ucciso." Pronunciò.
Nik che stava in quella camera assieme a José passava lo sguardo tra uno e l'altro. Vedeva lo sguardo freddo del castano e sapeva per certo che quella non era indifferenza, ma c'era una nota di dolore nei suoi occhi, come una ferita che si era aperta decisamente troppo velocemente.
"Anche io lo pensavo. Ma dopo che mi hai lasciato lì in quella casa sono arrivati gli italiani, e mi hanno preso. Mi hanno curato, e tenuto prigioniero. Dicono che sono stato fortunato, non c'era foro d'uscita e ha tamponato la ferita che se fosse stata solo un decimo di millimetro più in là... sarei morto." Raccontò. "Interessante, quindi loro conoscevano la tua posizione anche in quella casa." Intuì. "Di che mi stupisco, dopotutto hai sempre lavorato per loro." Aggiunse guardando con sguardo deluso il ragazzo dai capelli scuri, poggiando le mani sui fianchi.
"Avevano preso di mira la mia famiglia e mi hanno minacciato. L'unica cosa che potevo fare era dargli ciò che volevano... informazioni sulla tua famiglia. Non avevo altre opzioni." Raccontò con voce spezzata. Si alzò in piedi e istintivamente Nicolas lo tenne a distanza con un braccio sull'addome.
"Mi dispiace Nicolas. Ti ho mentito." Pronunciò in una smorfia di dolore e dispiacere. "Ma non ho mentito su quello che provavo per te. Sul fatto che io ti amassi."
Nik guardò negli occhi Miguel che lo fissò per un momento e accusò il colpo di quelle parole feroci. "Cosa ti serve?"
"Stavo cercando di avvicinarmi a te da giorni. Volevo isolarti perché sapevo che le tue guardie non mi avrebbero mai lasciato venire vicino a te. Ho bisogno di aiuto, Miguel. Sono in pericolo, vogliono uccidermi perché ho delle informazioni sul nuovo capo della mafia italiana."
Miguel si avvicinò in modo minaccioso. "Non è l'unico che vuole ucciderti." Obiettò.
"Se mi offri protezione... giuro che ti rivelerò chi c'è dietro la mafia italiana. Ho delle prove." Propose. Il ragazzo dagli occhi verdi lo studiava in ogni minimo movimento del volto. "Fidati di me ancora una volta." Pronunciò con labbro tremolante e spaventato.
"Domattina prenderò una decisione. Tenetelo sotto controllo." Ordinò a Nicolas e ad Alejandro, voltandosi ed andandosene.


"Stronzate!" sbottò isterico Guillermo. "Stronzate! Stronzate! Stronzate!" protestò con tono di voce alto. "Guillermo." Lo richiamò il padre seduto sulla poltrona del suo studio.
Il ragazzo dai capelli lunghi afferrò il calice di vino rosso e ne bevette un sorso per calmare la sua isteria. "Ti ha già fottuto una volta, e l'hai ucciso. Cosa è cambiato in questi anni? Eh? Perché dovrebbe essere sincero 'sta volta?" esplose gesticolando in maniera teatrale.
"Per me devi ucciderlo. Definitivamente." Scandì ogni sillaba di quella parola, sorseggiando di nuovo.
Il padre incrociò una gamba sull'altra e poi raccolse le mani intrecciando le dita.
"Se non siamo mai riusciti ad incastrare gli italiani, un motivo c'è. Ed è probabilmente questa figura di cui tanto parla Francisco." Guardò il primogenito. "Se fosse vero che costui ha delle informazioni sul vero boss degli italiani, potremmo finalmente porre fine a tutto, e capire chi è il loro supporto."
"Come il sotto-clan." Commentò infastidito Guillermo. "Ad ogni modo, la sua presenza qui potrebbe essere un'occasione da poter cogliere." Disse poi guardando il secondogenito in carica.
Il primo ghignò. "Il solito scacchista. Quindi tu vuoi tenerlo. Io ucciderlo. 1 a 1, palla al centro. E tu, da che parte stai, fratello?" lo interrogò.
Miguel si allungò verso il tavolino più basso e sorseggiò il suo amaro whiskey ponderando entrambe le versioni. Sì. Lo aveva tradito e voleva ucciderlo per toglierlo da mezzo. Però doveva guardare al bene della famiglia, e quindi potersi sbarazzare degli italiani sarebbe stato il piano perfetto che cercava di attuare da anni.
Era ad un en-passe.
"Se posso permettermi." Intervenne all'improvviso Pedro che era entrato senza permesso. "Sono stato al servizio di Miguel per un po' e sono stato il primo ad accorgersi che c'era qualcosa che non andava in quel Francisco. Sono andato ad indagare prima da solo e poi con il supporto del signor Serrano, per cui..."
"Ma insomma ti sembra il modo di irrompere nella Triade?" domandò Guillermo palesemente scazzato dall'irruenza di Pedro. "Come ti permetti di disturbare la nostra assemblea, così."
"Guillermo, lascialo finire." Ordinò il padre. "La ringrazio, signor Serrano e mi dispiace averla offesa signorino Serrano." Disse chinando il capo.
"Ad ogni modo. Mi accorsi da tempo del tradimento di Francisco Silva. E non mi sono sbagliato. Così come anche di altri. Ho abbastanza istinto in queste cose, e credetemi signori Serrano, questa storia non promette nulla di buono. Signor Miguel." Lo chiamò poi attirando la sua attenzione. "C'è del veleno in quella bocca di serpe. Lei lo sa quello che ha fatto. Sono stato al suo fianco mentre vi frequentavate, e sa benissimo che non ci si può fidare di questa persona." Aggiunse guardandolo negli occhi e parlando con un tono decisamente serio e preoccupato. "Grazie per il tuo intervento Pedro." Concluse Miguel, afferrò il bicchiere e bevette tutto in un sorso, sentendo la tensione accumularsi sulle sue spalle e sulla sua testa che iniziava a stringergli tutta attorno come una morsa.
"Signori Serrano." Intervenne Alejandro irrompendo nella sala di corsa. "È il signor Silva... è stato avvelenato."
"Cazzo." Pronunciò sottovoce Miguel senza scomporsi.


Il medico che lo aveva controllato gli aveva prescritto solo una fiala di soluzione salina perché il veleno che aveva in corpo era a minime dosi non letali, che nel loro campo era un chiaro e semplice messaggio. Sapevano che era vivo e che era lì, una talpa, qualcuno delle guardie si era intrufolato ed era pronto per ucciderlo.
"Mi era mancato questo posto." Parlò con un flebile tono di voce il ragazzo allettato rivolgendosi a Nik che stava vicino a lui dandogli le spalle. "Sono sicuro al cento percento che il consiglio, o per meglio dire la Triade, sta decidendo delle mie vesti." Aggiunse poi, riprendendo fiato fra una frase e l'altra.
"Tu sei la loro nuova guardia del corpo eh?" chiese poi osservandolo. Nicolas si voltò verso di lui e lo scrutò. Si guardarono negli occhi.
"Si vede che sei nuovo. Io conosco questa famiglia da anni. E so già, che se stanno parlando di me, e so che stanno parlando di me, Guillermo lo squilibrato vorrà uccidermi. Mentre il capo no. Il signor Serrano è... lungimirante. Guarda avanti, agli affari. Lui vede oltre. Probabilmente vorrà darmi la protezione che io cerco. Quindi la decisione starà a Miki." Lo chiamò con quello stesso nomignolo che fece urtare i nervi di Nik il quale si dovette controllare prima di dargli una risposta.
"Il signor Serrano sa cosa fa. Sono sicuro che qualunque sia la sua scelta sarà dettata dal suo eccellente raziocinio e dalla sua spiccata capacità di stratega e di vedere le cose in grande."
"Deciderà col cervello? O col cuore?"
Suonava come una strana provocazione, e Nicolas si voltò in avanti quando lo vide finalmente entrare.
"Se vuoi la nostra protezione, dovrai darci quelle informazioni." Esordì mettendosi le mani nella tasca. Il ragazzo dai capelli scuri annuì. "Appena mi sento meglio, ti darò ciò che cerchi." Chiarì. Miguel se ne uscì così come era entrato. Pedro che era rimasto lì lo guardò disgustato e con aria decisamente nervosa. Fu in quel momento che Nicolas si rese conto dell'astio che quella guardia del corpo stava provando per il ragazzo allettato, e capì perché forse gli stava antipatico. Forse, per qualche bizzarro motivo, Pedro aveva visto delle somiglianze tra lui e Cisco, e conoscendo la sua natura diffidente, come quella del suo capo, gli stava antipatico per questo e per questo era anche molto duro e severo.
Inoltre, gli sembrò di percepire uno sguardo familiare... uno sguardo che rasentava la gelosia.


Miguel entrò nella sala comune, dove alcune guardie si stavano godendo una pausa dalle loro attività.
Si avvicinò a Mateo, Josè e Roberto e chiamò quest'ultimo con sé. "Mi dica, signor Serrano."
"Ho bisogno che lavori per me." Disse. "Devi tenere d'occhio Diana, probabilmente sa della presenza di Cisco."
Il biondo annuì. "Devi fare come l'ultima volta. La segui e la tieni d'occhio. Aggiornami su ogni suo movimento, voglio sapere tutto di lei. Chiaro?" chiese. "Roberto." Lo chiamò poi prima di congedarlo. "Sì, capo?"
"Mi fido di te. Sei una delle mie guardie migliori. Non mi deludere." Disse poi prima di ritornare nella stanza di Cisco, il quale si stava sistemando dei vestiti che gli avevano dato.
Gli lanciò il cellulare sul letto. "Credo che questo ti appartenga." Mormorò poi.
Nik che stava facendo lì da guardia gettò lo sguardo. "L'ho trovato nel bagno."
"L'hai tenuto?" disse con aria stupita. "Ci sono tutte le nostre foto!" esclamò con l'eccitazione di una ragazzina che aveva appena ricevuto i fiori dalla sua crush.
"Guarda." Gli disse poi facendogli vedere delle foto. "Qua è la sessione estiva della triennale. Stavi studiando la tesi." Gli ricordò guardando quella foto nel giardino che si erano scattati.
"Mi ricordo che discutemmo su quale magistrale volevamo fare, indecisi se tra Amsterdam o... qual era l'altra?" chiese.
"Parigi. La Sorbonne." Ricordò lui, cercando di inscatolare tutto quel misto di emozioni. Nicolas acuì le orecchie non appena sentì nominare la sua città natale.
"Sì è vero... e che faccia facesti quando ti dissi che mi sarei messo con un parigino. Ricordi? Ricordi che mi dicesti?" lo interrogò. A Miguel venne subito in mente cosa gli aveva risposto e si imbarazzò perciò non replicò. "Dai... impossibile che non ricordi. Dicesti proprio 'odio i francesi. Sono tutti così arroganti e presuntuosi. Si credono i padroni del mondo.'" Imitando la sua voce un po' più profonda. Miguel arrossì. "Era tanto tempo fa, le cose cambiano negli anni." Disse rivolgendosi più a Nicolas che stava origliando il tutto e faceva smorfie disgustate e deluse alle loro spalle, che all'ex. "Nah, tu li odi ancora i francesi, ne sono convinto. Certe cose non cambiano così facilmente."
"Credo che sia ora di andare per lei." Intervenne seccato Nicolas, calcando come non aveva mai fatto prima d'ora il suo accento francese. Miguel lo guardò confuso. "Ha una riunione, no? Signor Se-rr-ano." Calcò la erre moscia francese e usò un tono riverente particolarmente infastidito dall'eccessiva interazione dei due.
"Oh sì. Allora vado." Disse poi uscendo dalla camera.
Cisco guardò poi il volto turbato e infastidito di Nicolas e ghignò sdraiandosi sul letto e mordendo la mela. "Mhhh, deliziosa." Gongolò.
"Affogati, figlio di puttana." Commentò uscendo dalla camera, con un solo pensiero: Cisco stava facendo il doppiogioco, e ne era più che convinto.
Non sapeva perché ma reputava la presenza di quel ragazzo una minaccia. Non gli piaceva gli sguardi che lanciava a Miguel, né tantomeno il modo di come gli si rivolgeva. Anche il castano aveva strani modi nei suoi confronti. Certo era freddo, ma al contempo era come se ci fosse qualcosa, e questo lo fece insospettire.
Cos'era quella strana sensazione che provava ogni volta che era nei paraggi di Cisco? Si chiedeva. Quella voglia di prenderlo a pugni, e che si sentiva bollire il sangue nelle vene ad ogni parola o occhiata che lanciava al suo capo. Era intollerabile.


La porta bussò, e Nik andò ad aprirla trascinando Miguel con foga per la camicia.
"Oh." Sbottò quando fu sbattuto al muro. "Ciao." Lo salutò con un ghignò Nicolas. "Ciao." Ghignò di risposta Miguel, che tornò per un momento serio a gettare uno sguardo nella camera.
"Roberto non c'è. Sta con tuo fratello." Lo rassicurò.
"Oh... bene..." lo guardò negli occhi castani dai fantastici riflessi giallo ipnotico e fu tentato di baciargli quelle labbra rosa e sottili che contrastavano con la sua pelle olivastra.
"Quindi... di cosa mi volevi parlare così tanto urgentemente dal farmi correre nel tuo appartamento?" gli chiese in tono sensuale, aggiustandogli un riccio dietro all'orecchio.
"Volevo te." Lo baciò con foga e premendolo contro al muro. A Miguel eccitò come il più piccolo prendeva il controllo della situazione, e poi si staccò. "Non era meglio farlo nella mia stanza?" chiese mentre si lasciava baciare il collo.
"Perché paura di essere scoperto?" domandò. Miguel gli afferrò i polsi e lo sbattette sulla parete di fronte facendolo espirare. "No. A dire il vero..." avvicinò il suo volto a quello del moro che cercò le sue labbra rosse e carnose. "... mi eccita l'idea di essere scoperto." Sussurrò con tono sensuale mordendogli l'incavo del collo facendolo gemere.
I due si sbattettero fino ad arrivare sul divanetto, dove fu Nik ad avere la meglio e a farlo cadere per primo. Si spogliò completamente lasciando vestito lui, il quale stava per togliersi la camicia, ma appena sbottonò l'ultimo bottone si mise a cavalcioni su di lui e gli bloccò le mani dietro la testa iniziando a strusciare il proprio bacino con quello di lui per provocarlo ancora di più.
Voleva farlo lento e voleva avere il controllo e a Miguel andava bene così. Aveva lo sguardo rivolto verso l'alto alla ricerca dei suoi occhi mentre baciava il suo corpo che continuava a muoversi su di lui in maniera decisamente lenta e sensuale. C'era molto contatto ma troppi vestiti e questa cosa lo facevano protestare perché ogni volta che provava a mettersi una mano sui pantaloni, Nicolas glielo impediva.
Voleva decidere lui quando e come. Lo baciò infilando la lingua nella sua bocca, inseguendola con passione ed erotismo. Sentiva il suo respiro affannato e suoi gemiti e avvertiva come volesse di più. Alla fine cedette e lo svestì completamente, lo fece sdraiare e lui si mise sopra, prendendo il controllo sul suo corpo. Le mani di Miguel si poggiarono sui fianchi di Nicolas per aiutarlo a seguire il ritmo. La mano del moro scorreva sul suo addome, mentre le dita del castano salivano e si fermarono sul suo collo stringendolo delicatamente per avvicinarlo e baciarlo.
In quel momento, fu come se la gelosia che provava per Miguel fosse stata spazzata via come delle foglie al vento. Si sentì immediatamente meglio e più sicuro.
Una volta finito, uscì dalla camera sua per andare verso la sala comune dove erano soliti mangiare o bere qualcosa le guardie del corpo. A quell'ora della notte era deserta, ma c'era solo Cisco lì in piedi che si stava preparando una tazza di the caldo.
"Dov'è Alejandro? Dovresti essere sorvegliato h24." Parlò con tono arrogante e superiore, per fargli capire chi comandasse in quel momento e che non era un ospite ma un prigioniero. Francisco lo guardò con un ghigno compiaciuto. "Era stanco, l'ho lasciato dormire. E poi... ci sono le videocamere ovunque io vada."
"Ciò non ti dà diritto a muoverti ovunque tu vada a tuo piacimento." Sottolineò Nicolas avvicinando a Francisco senza paura, guardandolo con occhio di sfida, spalle larghe e petto aperto sicuro di sé. Le loro mani si sfiorarono per prendere lo stesso cucchiaino. Cisco la ritrasse per primo, così che Nik potesse prenderne uno e zuccherare il proprio the caldo.
L'ex non potette non notare la pelle del collo arrossita e i capelli ricci ancora più scombinati di quanto non fossero, e in più quello sguardo soddisfatto che diceva tutto. E Nicolas lo aveva notato come lo stava squadrando e come stava guardando i suoi marchi sulla pelle.
"Sono solo venuto a prepararmi una camomilla. Non riesco a dormire." Si giustificò con tono innocente. Persino quella voce era irritante e Nik ebbe la sensazione che stesse mentendo, se lo sentiva nelle ossa che era così. "Anche tu non riesci, a quanto pare." Commentò poi girando la sua tazza per far sciogliere lo zucchero.
"Sai... i fattori dell'insonnia sono molteplici: ansia, paura, sensazione di sentirsi minacciati. I miei sono questi visti gli anni passati con gli italiani ed il bersaglio gigante che ho sulla mia testa, più che giustificato se permetti." Raccontò come se stesse incalzando un discorso sulla psicanalisi, ed era proprio quello il suo obiettivo in quel momento. "Ma te? Quali di questi tre fattori è? Paura che inganni di nuovo Miki? Ansia che possa succedere qualcosa? O ti senti minacciato da qualcuno in particolare?" scoccò la sua freccia.
Nicolas continuò a girare il suo thè, poi fece un sorso con il cucchiaino e lo leccò tutto. "Mh... delizioso." Gemette con tono di voce suadente, proprio come aveva fatto lui quel pomeriggio con la mela. Sfilò il cucchiaino dalla bocca e lo fece scivolare nella tazza di camomilla di Cisco, udendo un 'plop' ed il tintinnio dell'alluminio sulla ceramica. Versò poi il the nel lavandino, e mise la propria tazzina nel cesto delle stoviglie sporche quasi vuoto.
Lo guardò a lungo prima di lasciarlo lì, in piedi con una tazza fumante di camomilla con due cucchiaini dentro. Gli lanciò uno sguardo soddisfatto e poi tornò in camera sua.
Cisco strinse un pugno e trasformò la sua espressione indifferente in un volto di rabbia e di gelosia. Lo maledisse sottovoce e pensò ad una cosa sola: si sarebbe dovuto sbarazzare di lui, in un modo o nell'altro.


Roberto stava seguendo i movimenti di Diana che camminava in lungo ed in largo per la città, senza che lei facesse nulla di particolare. Anzi, sembrava che stesse facendo un tour di saluti in giro per il quartiere limitrofo. Ammirava i fiori dei negozi, salutava i signori del cantiere che fischiavano al suo passaggio, ogni tanto scambiava qualche chiacchiera con i passanti, si fermava ad aiutare le anziane donne che portavano la spesa da un marciapiede all'altro. Quasi sembrava una principessa per come si comportava con tutti, e la cosa era decisamente troppo sospetta. La seguiva debita distanza, e con passo felpato, senza farsi notare. Ogni tanto cambiava outfit al volo, per cercare di passare quanto più inosservato possibile. Si infilò in un altro vicolo distaccandosi da lei.
"Signore." Sussurrò. "Nulla di rilevante."
"Va, bene, tienila d'occhio per un altro po' e poi torna qui." Ordinò. "Ricevuto. Passo e chiudo." Rispose attaccando. Si cambiò la giacca ed il cappello gettandoli nel bidone dei rifiuti e si mosse sul viale principale.
L'affascinante ragazza era sparita. "Merda!" esclamò con sé stesso. Era certo che fosse entrata in quel negozio ma non la vedeva più. Si avvicinò a passo di marcia come le persone che aveva attorno, era addestrato per quello.
Di sfuggita fece finta di osservare le vetrine, ma di quelle tre teste femminili che c'erano all'interno, non c'era quella di Diana.
"Devo dire che hai delle capacità di segugio non indifferenti." Commentò una voce femminile alle sue spalle.
Era lei. "Cazzo." Pronunciò sottovoce, bloccandosi. Era stato scoperto. Lui si voltò guardandosi attorno come se non sapesse chi avesse parlato.
"Oh avanti, Johnny Depp, puoi smetterla di interpretare la tua parte, sappiamo benissimo che mi stai pedinando." Disse la ragazza venendogli incontro. "Oh, signorina Serrano, salve. Non l'avevo riconosciuta." Sudò freddo.
"Puoi smetterla di mentirmi, Roberto. Lo so che mi stavi seguendo." Pronunciò il suo nome in modo abbastanza strano, quasi imponente. La donna si avvicinò a lui e gli sistemò la camicia, abbottonandogliela e stirandogliela sul petto scolpito. Poi lo guardò negli occhi. "Mi domando perché Miguelito abbia chiesto di pedinarmi." Pronunciò suadente avvicinando il suo volto a quello del ragazzo alto e muscoloso.
"Non me l'ha ordinato lui... sono venuto qui per andare in chiesa." Pronunciò il ragazzo cercando di controllare la sudorazione ed il disagio che lei gli stava provocando con quella mano piccola e delicata ferma sul suo petto, dove batteva il cuore, il quale continuava a battere regolarmente.
"Non pensavo fossi credente." Parlò lei continuando ad osservarlo nell'anima, alla ricerca della verità.
"Mia madre lo è."
"Ti crederei se non fosse per il cambio dell'outfit repentino che hai fatto pur di seguirmi. Ho visto i tuoi cambi di vestiti lungo la strada. Ottima tecnica, te l'hanno insegnato nei servizi segreti?" chiese lei.
"Cambio di vestiti? Mi avrà scambiato per qualcun altro..." sviò la conversazione. Lei ghignò. "Avanti, perché devi mentire così quando ti ho palesemente sgamato."
Roberto sospirò e si arrese. "E va bene, sì la stavo seguendo. Era il mio giorno libero, sono venuto veramente per pregare e l'ho vista. Sono stato tentato di seguirla per vedere dove andasse perché... ecco... non lo so perché a dire il vero." Si strinse nelle spalle.
La ragazza lo fissò per qualche minuto e si stizzò così tanto nel capire se le stesse mentendo o meno. "In ogni caso, stavo andando in chiesa. Vieni a farmi compagnia." Suonò quasi come una pretesa e il biondo non vedendo altre alternative, la seguì.
Ascoltarono l'omelia del prete e il ragazzo la guardava con la coda nell'occhio, studiando i suoi modi e i suoi atteggiamenti. Sembrava una persona normale, se la si vedeva. Una sorta di Biancaneve che era gentile con tutti, disponibile e molto rispettava e ben voluta. E poi... era capace di estrarre denti senza anestesia come forma di tortura alle persone, facendo schizzare sangue ovunque e senza mostrare alcun rimorso o esitazione mentre la sua vittima implorava pietà.
Del resto, era così da sempre. La famiglia principale era quella che si occupava di affari più "puliti": cerimonie, aste a nero, conversazioni, spionaggio. La sotto-famiglia invece si occupava del lavoro sporco.
Come poteva una persona del genere essere credente e professare una fede, si chiedeva il biondo. Lui aveva smesso di credere in Dio da anni, e di solito accompagnare la madre che al contrario era molto credente. E poi sapeva che tutto ciò che faceva sicuro non meritava il perdono di una divinità per il mestiere che faceva e soprattutto per ciò che aveva fatto nel suo passato.
"Obbedienti alla parola del Salvatore e formati al suo divino insegnamento, osiamo recitare il Padre Nostro." Comandò il prete alzando le mani. La ragazza dai lunghi capelli castani gli afferrò la mano e la strinse a sé recitando la preghiera. Quel contatto lo fece innervosire ma resistette all'impulso di ritirare la mano, rimanendola unita a lei. Finita lei lo lasciò e le ricongiunse, quando poi si scambiarono un segno di pace ci fu un momento di sguardi. Lei si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia. "Che la pace del Signore sia con te." Gli sussurrò all'orecchio facendolo rabbrividire.
Fu talmente surreale, che per un momento Roberto pensò di essersi sognato quella scena perché lei era tornata nell'esatta posizione di cinque secondi prima, con gli occhi fissi all'altare e le mani giunte sul petto in segno di preghiera.

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