2.7

47 2 0
                                    

PARTE Seconda

7

"Ancora non capisco come hai potuto permettere al sottoclan di intervenire." Pronunziò Miguel nervoso, mentre faceva fisioterapia a casa.
Il padre gli sorrise. "Non esagerare con l'esercizio fisico o ti si riapriranno i punti." Lo ammonì. Il ragazzo dai capelli castani si fermò e si sedette a tavola col padre mentre sorseggiava un caffè e gli venne servita una mela su un piatto.
"Come va?" domandò poi l'uomo. "Tutto bene ora che sono tornato a casa, decisamente mi sento meglio."
"No, non parlo della ferita. C'è... qualcosa di diverso in te." Notò il padre, con uno strano tono accusatorio. "Lo vedo nel tuo sguardo. Hai avuto quello stesso sguardo quando te la facevi con..."
"Cosa c'entra questo ora?" domandò Miguel sentendosi alle strette e deglutendo. Iniziò a sudare freddo.
"Sai, avevo un bellissimo coltellino svizzero sempre con me. Non so se te lo ricordi. Era bello piccolo e molto affilato. Tagliava qualunque cosa e lo usavo per qualsiasi cosa, anche per tagliare le mele per tua madre." Ricordò con un sorriso in volto mentre sbucciava e tagliava la mela con un coltello d'argento.
"Poi mi sono reso conto che il coltello non aveva più il filo, perché il succo dolce delle mele lo aveva fatto... arrugginire. Dentro le leve si era fatta tutta ruggine marrone, e oltre ad essere diventato rigido nei movimenti era anche diventato poco tagliente. Un coltello che non taglia è un coltello inutile." Disse passandogli la fetta di mela che il moro afferrò.
"Non so se ho reso l'idea." Lo guardò passandogli la fetta di mela dalla punta del coltello. Miguel la prese e la masticò lentamente, annuendo.


Nik stava seduto sul divano di fronte a Miguel che aveva una semplice maglietta bianca con lo scollo a V, con l'infermiera che stava eseguendo gli ultimi controlli.
C'era decisamente troppo silenzio tra loro, e il moro iniziò a sentirsi un po' a disagio.
"Come ti senti?" chiese per smorzare un po' di imbarazzo. "Bene, ora che sono a casa." Standardizzò la sua risposta con un tono decisamente freddo e distaccato rispetto all'ultima volta che si erano visti di persona.
"Beh, ora hai tutte le cure necessarie qui." Commentò cercando di riempire quel silenzio. "Come te, no?" domandò con un tono un po' accusatorio.
Nik crucciò le sopracciglia cercando di capire cosa stesse speculando.
"Ho sentito che il sottoclan vi sta trattando bene." Si esplicò. E in quel momento, era tutto chiaro come il sole.
Nicolas roteò gli occhi al cielo, e accavallò le gambe, mantenendosi il ginocchio con le mani.
"Sì. Hanno offerto persino da bere durante un pasto normale."
"Allora è vero." Confermò cono palesemente scazzato e un po' deluso, che fece innervosire Nicolas. Erano giorni che faceva questo.
"In quella famiglia a stento si percepisce la gerarchia. Non ci sono schemi, programmi. L'autorità non è così schiacciante. C'è un clima amichevole, oserei dire. E ti dirò di più: quel mocciosetto di tuo cugino Paco, mi ha chiesto scusa per avermi fatto punire, sottolineando che una strigliata da parte mia era meritata."
"tsk." Miguel negò col capo e guardò altrove con disprezzo. "Inoltre, a fine missione sarò ricompensato. Già." Annuì col capo lentamente. "Diana mi ha promesso una moto. Un BMW S1000R, nera. Personalizzata, con led retroilluminati blu e violacei lungo le bordature. È nella top five dei motori più potenti nella nostra era. Generosi."
"Vogliono una guardia del corpo o una moglie?" chiese sempre più seccato. Nicolas rise, avendo scoperto il punto dolente.
"Sei forse geloso, Miki?" chiese, poi. Miguel si rese conto del tono accusatorio e arrossì, voltando la faccia dalla parte opposta offeso come se non volesse far notare il suo rossore, e Nicolas riconobbe quanto fosse divertente prenderlo in giro per così poco, pensando che quella gelosia fosse dovuta al fatto che Miguel avesse paura di essere abbandonato. Ma solo lui sapeva che non aveva pensato di abbandonare Miguel neanche se gli avessero regalato altre dieci di quelle moto.
Una bussata alla porta li interruppe e Diana entrò. "Mi spiace disturbarvi ma abbiamo una riunione. Ho trovato il collegamento con il tizio del porto che si è occupato di chiudere un occhio per la questione del furto della droga. Forse sa dove si trova Don Scotto." Esordì entrando sempre con il suo tacco a spillo.
"Fa' ciò che vuoi, è la tua guardia del corpo ora." Parlò profondamente offeso e risentito.
Quelle parole spensero il sorriso di Nicolas. Aveva sentito bene? Si chiese. Se l'era davvero presa sul personale per tutta quella questione?
Non sapeva come fare, si era sentito come messo da parte, quel tono gelido gli arrivò addosso come un'improvvisa doccia fredda e inaspettata. Certo non voleva che combattesse per lui davanti la cugina, ma non si aspettava neanche così tanta indifferenza.
Nicolas sospirò e si alzò in piedi, cercando invano il suo sguardo fino all'ultimo prima di sparire dietro la porta.
Miguel digrignò i denti e diede espressione alla sua rabbia una volta chiusa l'entrata. Aveva uno sguardo inferocito e voleva veramente mettere le mani al collo della cugina. Si limitò a lanciare un cuscino per aria, con tutta la violenza che possedeva in corpo. Si alzò in piedi e si mise le mani nei capelli, controllando il respiro.
"Non darci troppo peso alle sue parole, Miguelito è fatto così." La ragazza sembrò quasi giustificarlo mentre percorreva il periodo verso l'uscita dalla tenuta al fianco del moro.
"Teme che io possa appropriarmi di te, e che ti tenga con me per sempre." Ammise lei, cogliendo nel segno. Nicolas la guardò mentre lei continuava a guardare in avanti e a camminare imperterrita a passo sicuro, con una sicurezza tale che avrebbe potuto farlo tranquillamente anche ad occhi chiusi quel percorso quasi labirintico.
"No, non credo sia solo questo..." confessò un Nik preoccupato mentre si mordeva le unghie nervoso, cercando di trovare una giustificazione per quel carattere al quanto lunatico di lui. "Beh, un po' lo capisco, prima era diverso..." annunciò lei.
"Okay, ora basta." Si bloccò nel mezzo del corridoio. La castana fece un altro paio di passi e poi si voltò indietro per guardarlo.
"Cosa significa quel 'prima era diverso'? Tutti lo stanno ripetendo una continuazione, ma ogni volta che chiedo spiegazioni, nessuno mi risponde e mi sa dire nulla. Ogni volta che provo ad indagare nessuno sa mai niente, dicono che qualcosa è successo. Ma non sanno cosa."
Diana lo squadrò non dall'alto in basso, ma come a giudicare se fosse pronto per sentire la verità. "Non è una cosa che sanno tutti ma... Miguel un tempo aveva una stretta relazione con un certo Francisco Silva. Erano migliori amici, compagni di università, stavano sempre insieme. Costantemente. Miguel nutriva una forte simpatia per questo ragazzo, al punto tale che quasi convivevano e facevano tutto assieme." Iniziò a raccontare lei. "Voci di corridoio dicono che fossero più intimi di due amici. E beh, da quello che ho visto, potrei confermarlo." Sussurrò all'orecchio lei, facendo venire brividi di eccitazione al castano che si riprese e poi si mise in allerta, percependo in anticipo la storia avesse una svolta negativa. "Comunque sia, i due spendevano davvero molto tempo insieme, ma dopo un po' il parassita nel cervello di Miguel si svegliò e iniziò a dubitare del rapporto che aveva con questo Cisco. E pensava che forse, la natura della loro, chiamiamola 'amicizia'..." Virgolettò per aria lei, insinuando che tra di loro ci fosse una vera e propria relazione d'amore. "...Fosse dovuta al fatto che lui appartenesse a qualche gang o qualche mafia e che fosse una semplice spia mandata dal suo capo per percepire i segreti di famiglia e i suoi." Raccontò lei.
"Quindi immagino che si siano 'lasciati' in malo modo ed è diventato freddo, cinico e diffidente." Virgolettò anche lui e concluse mettendosi le mani in tasca e allineando un pezzo del puzzle. Ora era giustificabile il suo comportamento, pensò tra sé e sé.
"Beh, un po' infantile a pensarci, no?" rise il ragazzo riprendendo a camminare. Diana rimase ferma a guardarlo, e lui si voltò non sentendo i suoi passi seguirlo. Aveva un volto cupo e si leggeva sulla sua faccia che stava combattendo sul dirgli qualcosa o meno.
"A dire la verità, non si sono semplicemente lasciati." Iniziò lei, mordendosi un labbro.
"Miguel lo ha ucciso."
Nicolas si impietrì. La sua espressione rimase bloccata, ma sentì il sangue gelarsi dentro le vene, e i peli di tutto il corpo rizzarsi.
"Da quel momento, non si è mai più fidato di nessuno. Me compresa." Aggiunse poi, lasciandolo lì e abbozzando un ghigno.
Non aveva mentito, ma aveva disseppellito un cadavere rimasto sepolto con uno scopo ben preciso, sperando di essere riuscita nel suo intento.
Nicolas la osservò allontanarsi lungo il corridoio e poi si guardò indietro. Era tentato di chiedere al diretto interessato di quella faccenda se fosse un fatto reale o inventato, ma poi il suo cervello formulò una semplice domanda: Perché Diana avrebbe dovuto mentire su una cosa del genere?
E la risposta conseguente fu: Non c'era nessun perché.


Miguel era in compagnia dei suoi due soliti amici, ma era come se fosse assente. Ritornò in sé solo quando Esteban, l'amico eccentrico nel vestirsi e nell'atteggiarsi, lo chiamò una serie di volte.
"Sei più pensieroso di altre volte, oggi." Osservò, mentre lui si passava il pollice sul labbro inferiore, riportando la sua mente tra loro mentre vagava alla ricerca di Nicolas e della paranoia che Diana se lo potesse prendere con sé.
"Come stai?"
Miguel roteò gli occhi al soffitto e sbuffò pesantemente. "Cristo me lo state chiedendo tutti, oggi." Notò frustrato mentre passeggiava in lungo ed in largo in camera sua.
Esteban e Fabio si guardarono. "È chiaro che c'è qualcosa che ti turba." Disse Fabio mentre si versava da bere.
"Resta solo da capire dove..." completò Esteban attirando l'attenzione di Miguel che lo guardò incuriosito.
L'amico eccentrico poi puntò prima alla ferita sulla spalla e poi scese più in basso e a sinistra, sul cuore.
"È inutile che cerchi di nasconderlo." Parlò Esteban. "Ti conosciamo da troppo tempo ormai, mio caro." Disse alzandosi dalla poltroncina vicino all'entrata del balcone per buttarsi sul letto dell'amico.
"Sappiamo che tendi a complicare tutto, anche le cose più semplici." Parlò.
"L'amore è amore." Esordì l'altro che osservava la lussuosa stanza minimalista. "Forzarlo e complicarlo è una stronzata."
"Siete diventati dei consulenti d'amore o dei laureati in psicologia all'improvviso?" chiese palesemente irritato, non sopportando di essere letto così facilmente.
Si rese conto del tono forse troppo passivo-aggressivo e si realizzò con cinismo che loro due in effetti non avrebbero potuto venderlo tanto facilmente, quindi poteva confessare loro mezze verità rimanendo coperto, e per un momento nella sua mente balenò l'idea che comunicare lo avrebbe fatto sentire meglio.
"Ho paura di commettere lo stesso errore." Ammise infine.
Esteban si mise seduto composto. "Secondo me, è giunta l'ora di lasciarti andare un po'. Lo so che sei ancora ferito per ciò che è successo ma... il passato è passato. Non sono la stessa persona." Comunicò.
"Ah e non fare la stessa cazzata che ho fatto io." Aggiunse Fabio mangiando un confetto che stava lì sul mobile. "Non usare questa persona come rimpiazzo della vecchia. Libera il tuo cuore incatenato da troppo tempo." Consigliò caldamente.
Miguel non sapeva che fare. Tutte quelle parole erano senz'altro utili ma seguirle e applicarle sul serio equivaleva a fare un passo da un punto in cui non si percepiva la profondità dell'acqua: certo poteva essere fortunato e sarebbe stato abbastanza profondo da farlo riemergere senza danni, ma sarebbe potuta andare male e cadere dritto sulla scogliera, e sarebbe rimasto ferito gravemente.
Ironicamente, la sua mente a seguito di quel paragone gli ricordò di quella scena di quando era ammanettato con Nicolas, dove si erano spogliati di pantaloni e con le magliette arrotolate dietro le spalle come due idioti. Nik lo aveva preso. Aveva avvicinato il proprio bacino al suo avvolgendo con la mano libera la schiena nuda di lui, e con quella ammanettata aveva intrecciato le loro dita.
Gli occhi ambrati dagli spettacolari riflessi gialli si incrociarono con i suoi verde brillante contornati da un blu scuro per quello che nella sua mente sembrava un'eternità. Ricordava la vicinanza delle due labbra, dei due volti. I loro addomi combaciati. E poi il vuoto allo stomaco, l'impatto dell'acqua fredda e i polmoni che chiedevano aria.
Si sentiva come l'inverno che si fingeva aprile. Contrastato, incoerente, confuso.
"Fidati di me." Diceva lui prima del tuffo.


Diana camminava verso camera sua, scalza e con una vestaglia di seta rosa.
Roberto la seguì a passo felpato, entrando in quella che era l'area residenziale di camera sua. Svoltò l'angolo solo quando fu certo che lei non ci fosse.
Sbirciò tra una porta e l'altra e poi si guardò attorno.
"Sta andando tutto secondo i piani." Scrisse Roberto a Miguel.
"Abbiamo solo una notte, in realtà." Replicò istantaneamente. Roberto imprecò mentalmente, sorpreso. "Perché? È successo qualcosa?"
"Temo che ci sia una talpa tra di voi, che sta in contatto con Diana. Dobbiamo investigare." Rispose.
All'improvviso sentì come se l'aria dietro di lui avesse vibrato, come se fosse elettrica, appena si voltò la vide, lì in piedi, con le braccia conserte.
"Hai un ottimo passo felpato, non mi stupisce che tu sia una delle migliori guardie di mio cugino." Si complimentò lei. "Però sei un po' stupido a seguirmi fin qui per poi fermarti nel bel mezzo del corridoio a scrivere dei messaggi." Aggiunse.
Roberto non increspò il volto di mezzo millimetro. "Cercavo campo, e dato che questo è l'ultimo piano, ho pensato che prendesse meglio qui." Provò ad inventare una scusa. "E poi, non mi pare di aver letto che fosse zona vietata." Puntualizzò.
Lei ghignò. "Sei molto più sveglio di quanto pensassi." Ammiccò con uno strano entusiasmo. "Posso accompagnarti sulla terrazza, se devi inviare quei tuoi messaggi."
"Mi farebbe molto piacere, signorina Serrano." Ghignò di risposta, guardandola intensamente negli occhi. Uno sguardo così magnetico ed intenso che i due ci misero un po' prima di staccarsi per allontanarsi.


"Cosa stai facendo?" gli chiese Nicolas affacciato fuori all'enorme terrazzino della sua nuova camera, che era a tutti gli effetti una camera padronale immensa, degna di una suite in un hotel a cinque stelle. "Sto per andare a dormire. Come mai hai chiamato? Qualcosa ti turba? Ci sono problemi con Diana?" domandò Miguel.
Nicolas sorrise e pensò a quello che voleva dirgli, scartando tutte le opzioni troppo romantiche della serie mi manchi, volevo sentire la tua voce optando per un semplice e secco: "Volevo chiamarti."
Miguel si prese una lunga pausa prima di commentare. "Non riesci a dormire neanche tu, eh?" inquisì con tono quasi premuroso.
Davvero non lo capiva quel ragazzo, si disse Nicolas.
"Cerca di riposare, domani sarà una giornata piuttosto impegnativa." Lo ammonì con tono improvvisamente serio, e poi non ricevette risposta.
"Miguel?" lo chiamò. "Oi? Pronto?" disse e guardò il cellulare notando che aveva attaccato.
Si sentiva un idiota, e provò rabbia e rammarico. "Che coglione che sono..." si biasimò con tono triste. "E pensare che uno come te..."
"Uno come me cosa?" gli chiese una voce dietro di lui, il moro si voltò spaventato.
Era lui. In carne ed ossa, che indossava una camicia porpora ed un pantalone nero, scarpe eleganti, il capello castano mosso e sistemato con gel e lacca. Lo sguardo furbo e divertito, ed il fascino da attore di drama adolescenziali che faceva impazzire tutti, perché Nik lo vedeva come lo guardavano soprattutto le donne e le ragazze agli eventi sociali.
Nicolas arrossì e lo vide avvicinarsi dietro di lui. "Sei venuto nei bassifondi del sottoclan... come mai?" domandò incredulo cercando di non guardarlo negli occhi e nascondendo la felicità che stava provando per averlo lì, combattendo contro l'istinto di abbracciarlo a sé e baciarlo.
"Sono scappato di casa, le infermiere mi stavano facendo impazzire." Ammise poggiandosi con la schiena sul bordo del terrazzo, dando le spalle alla visuale.
Nicolas ci poggiò i gomiti invece. "E a dire il vero sono venuto qui per darti una cosa." Confessò guardandolo negli occhi.
Adorava quello sguardo ingenuo e sbalordito che aveva nei suoi confronti ogni volta che lo guardava. Sfilò da dietro la schiena la pistola e gliela porse.
"Horatio." Disse Nicolas afferrandola. "La tua pistola importante." Completò.
"Prenditene cura mi raccomando."
"E se non lo facessi?"
Miki se la rise. "Lo farai, perché quando avrai finito tornerete e me la restituirai. Se vorrai." Affermò con sicurezza, quasi come se avesse letto le intenzioni nella sua testa.
Nicolas lo guardò negli occhi e notò il volto preoccupato di Miguel, che provava a mostrargli un sorriso rassicurante. Era davvero bello quando sorrideva.
"Sperando sempre in positivo." Aggiunse poi il castano accarezzandogli la guancia con il pollice, e poi, istintivamente avvicinò la testa riccia alle sue labbra, e con le dita gliela inclinò in avanti.
Miguel gli stampò un bacio sulla fronte e Nicolas sentì il cuore palpitargli e iniziare a battergli talmente forte che aveva paura gli saltasse fuori.
Dopo il bacio, Miguel strofinò la propria fronte con la sua ad occhi chiusi e pensava soltanto:
"Ti prego, torna da me una volta finito."
I loro volti erano così vicini, e le labbra di Nicolas cercavano quelle di Miguel. Afferrò la mano del più alto e se la strinse sulla guancia prima che il moro si allontanasse per tornare da dov'era venuto, lasciandolo lì, sul balcone della suite.

TiltDove le storie prendono vita. Scoprilo ora