4.2

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FINALE

2

Diana stava portando un vassoio con un piatto di riso e pollo al curry, un po' di pane e dell'acqua. Quando entrò in camera sua vide Roberto sdraiato sul pavimento, dietro al suo letto.
"Ti ho portato la cena." Disse seccata.
Si avvicinò a lui muovendolo con un piede, ma quello non gemette nemmeno. Poggiò il vassoio sul letto e lo scosse con la mano. "Ehi." Provò a svegliarlo dandogli una serie di schiaffi in faccia, ma quello neanche reagì.
Il corpo era sporco di sangue incrostato, ma era visibilmente pallido e sudaticcio. Lei gli toccò il polso carotideo.
Il battito era quasi assente.
"No no no no!" urlò lei scuotendolo. "Svegliati idiota! Non ti permettere di lasciarmi qui da sola, brutto figlio di puttana!" esclamò alzandolo e mettendolo seduto con la schiena sul letto, ma scivolò senza forze per terra.
Lei si alzò in piedi terrorizzata e con le mani nei capelli. "Cazzo, cazzo! Cosa faccio?" domandò guardandosi attorno. Prese un respiro e focalizzò tutto mentalmente.
Uscì dalla camera lasciandola aperta, e corse a prendere dei farmaci, delle bende, una pezza umida e dell'acqua calda. Tornò di nuovo in camera e lo vide lì, fermo immobile come lo aveva lasciato.
Lui aprì gli occhi, riacquistando un po' di coscienza. Gemeva qualcosa ma la ragazza non aveva idea di cosa stesse farfugliando.
"Ora ti darò questa pillola, ti farà stare meglio."
"Vaffa... nculo..." riuscì a sospirare lui in un tono decisamente molto basso. Lei si innervosì e provò a imboccarla ma lui stringeva le labbra, e la sputava ogni volta che lei riusciva a ficcargliela in bocca.
"Non è veleno, idiota." Lui sembrò guardarla negli occhi azzurri. C'era qualcosa in lui, qualcosa che destava la sua attenzione e curiosità. All'improvviso lei afferrò la pillola con le labbra e baciò lui lasciandolo sconvolto. Ficcò la pillola nella bocca di lui con l'aiuto della lingua, e con la mano poi gli toccò la gola stringendogliela e facendogliela ingoiare.
"Vaffanculo." Riuscì a pronunciare con tono più deciso. Vederlo ingoiare quella pillola, rassicurò di poco la ragazza. Gli diede dell'acqua e lui la bevette per far scendere meglio quella medicina.
Poi passò alla cura del suo corpo. Prese un panno umido e iniziò a passarglielo lentamente e delicatamente sul fisico statuario martorizzato dalle ferite che aveva. Tamponò con molta delicatezza con del disinfettante ogni ferita e la fasciò con cerotti e bende.
Mentre gli ripuliva l'addome perfetto lei lo guardò negli occhi. Uno sguardo lungo e silenzioso. Lei avvertì qualcosa allo stomaco, come una sorta di crampo, gettò la pezza per terra e scappò dalla camera come se nulla fosse successo.
Chiusa la porta si appoggiò ad essa toccandosi la pancia. Si misurò il polso carotideo, aveva il battito accelerato. Stava sudando, e lo stomaco stava vibrando.
Perché si sentiva così... strana? Si chiese lei.
Nel mentre il ragazzo era seduto per terra. L'antidolorifico, o qualunque cosa le avesse dato prima stava facendo effetto perché le ferite ed i dolori vari avevano smesso di bruciargli e fargli male. Si sentiva anestetizzato, ma anche lui avvertiva del sudore ed il cuore che era tornato a battergli all'improvviso con forza, pur non avendo più energie per farlo.
Lui si toccò il petto per capire se stesse avendo un'aritmia o meno. Guardò la sottile finestra a feritoia in alto a tutto dello scantinato. Riusciva ad intravedere un po' di cielo pomeridiano. Essendo sera ed essendo così scuro il cielo il suo cervello attento fece un'osservazione particolare: quell'atmosfera era dello stesso colore degli occhi di Diana.
E poi pensò allo sguardo che aveva lei. Era seriamente preoccupata per lui, non mentiva. Eppure lui sapeva che lei sapeva che non avrebbe ottenuto alcuna informazione. E dunque perché tenerlo lì? Perché non farlo fuori? Voleva veramente tenerlo come animale domestico?
Guardò poi la ciotola vuota che gli aveva servito la giornata prima. Un trattamento animalesco, che nemmeno il peggiore degli esseri umani meritava di ricevere.
L'unica cosa che lo teneva vivo in quella follia e in quella tortura psicologica era il dolore fisico delle sue ferite e delle sue botte, che aprivano nella sua mente vecchi flashbacks. Ma ora, non avvertiva neanche più quello, e quella sensazione di vuoto e di nullità che iniziava ad avvertire iniziava, molto lentamente, a insinuarsi sempre di più nella sua testa.

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