3000 Love Songs

Capitolo 22

Now playing: Silver Springs, Fleetwood Mac

Il mal di testa con il quale ero andata a dormire era assolutamente nulla a confronto con quello con cui mi svegliai il mattino seguente.

Non avevo neanche aperto gli occhi e già sentivo le tempie pulsare, ma il fatto che avessi cominciato a sentire rumori intorno a me già da un paio di minuti mi convinse comunque a sollevare, con difficoltà, le palpebre: i raggi del sole provenienti da oltre le vetrate resero doloroso il mio tentativo di guardarmi intorno, ma non appena lo feci notai subito la schiena nuda e familiare del ragazzo che, seduto sul bordo del letto, era intento ad infilare dei pantaloni; si voltò verso di me solo quando mi costrinsi a sollevarmi sui gomiti, un sorriso che comparve in automatico sulle sue labbra mentre si alzava in piedi.

«Hai un aspetto incredibile,» mi prese in giro, aggiustando i pantaloni in vita prima di chiudere la zip ed il bottone, «non credo di averti mai vista più in forma.»

«Sta' zitto.» Harry ridacchiò mentre io mi mettevo lentamente a sedere, prendendomi la testa tra le mani come se effettuandovi abbastanza pressione potessi, in qualche modo, alleviare il dolore. «Che ore sono?»

«Le otto» rispose, la sua voce più vicina di quanto mi aspettassi. Alzando lo sguardo, mi resi conto che mi si fosse avvicinato con un bicchiere pieno d'acqua ed un ibuprofene, esattamente come aveva fatto qualche ora prima. «Hai davvero bevuto così tanto, ieri sera?»

«Sai cosa? No» risposi frustrata, ringraziandolo ed accettando sia il medicinale che l'acqua. «Non c'è alcun motivo per cui io stia così male.»

«Le sbronze dopo i venticinque anni sono micidiali» disse con uno sbuffo. «Credevo che la gente esagerasse fin quando non l'ho sperimentato sulla mia pelle.»

Mi scosse giocosamente i capelli quando feci una smorfia, poi si allontanò per andare dritto verso il bagno. Mi presi allora il mio tempo per mandare giù il medicinale e l'acqua, concedendogli un minimo di privacy mentre intanto cercavo la forza di volontà necessaria per alzarmi e cominciare quella giornata; quando alla fine lo raggiunsi in bagno, lo trovai intento ad asciugare viso e petto disseminati di goccioline.

«Tra quanto devi essere in radio?» domandai mentre mettevo del dentifricio sullo spazzolino.

«Circa mezz'ora» disse dopo aver lanciato un'occhiata all'orologio che aveva al polso, poggiandosi al marmo con un fianco mentre io cominciavo a lavare i denti. «Ho usato di nuovo il tuo spazzolino.»

Scrollai le spalle come per dirgli che non m'importava, vedendo un ghigno illuminargli il viso quando mi vide litigare con una ciocca di capelli che era scivolata sul mio viso e tra le mie labbra. Si spostò allora alle mie spalle e, immaginando perfettamente le sue intenzioni, sollevai semplicemente un polso per permettergli di sfilare l'elastico che utilizzò per legare i miei lunghi capelli in uno chignon.

Osservai quell'intera scena attraverso lo specchio che avevo i fronte e, per tutto il tempo, non riuscii a pensare ad altro oltre al quanto sembrasse estremamente domestica e familiare, come se quella fosse la nostra routine e non si trattasse, invece, di un'evenienza del tutto casuale. In automatico, la mia mente andò ad Hayden ed al fatto che nonostante non avessimo mai convissuto realmente, in cinque anni avevamo condiviso abbastanza mattine da crearci una sorta di quotidianità; eppure, il senso di intimità che provai mentre Harry semplicemente mi legava i capelli per evitare che si sporcassero con il dentifricio, nel vederlo girare a petto nudo mentre andava alla ricerca di deodorante, olio per capelli o creme di vario tipo e nel pacifico silenzio che riempiva quel bagno mentre entrambi ci preparavamo per andare al lavoro, mi risultò più soddisfacente e naturale di qualunque altro tipo di intimità avessi mai sperimentato.