II • COMITIUM

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Il comitium è una grossa piazza rotonda lastricata in travertino, ricostruita sul modello del suo omonimo originale. Proprio come tutto il resto della nostra città, d'altronde.

Tutta l'Urbe, comitium compreso, è sormontata da una cupola di sofisticati pannelli solari di serviosite che proteggono dalle intemperie, mantengono una temperatura pressoché primaverile e, nel frattempo, catturano le radiazioni solari da trasformare in energia. Energia che viene impiegata per rendere artificialmente abitabili anche i territori periferici limitrofi, sprovvisti di cupola ma dotati di un intricato reticolo di serpentine e radiatori in cui l'acqua calda circola senza sosta sotto il terreno e all'interno delle pareti degli edifici.

Ovviamente, vista dall'esterno, dalla periferia, la cupola appare come una vera e propria mostruosità, una tetra calotta colata sulla cima del colle Palatino su cui l'Urbe è arroccata, edificata per il benessere di pochi nel totale disprezzo di qualsiasi disamina estetica di tutti gli altri.

D'altronde, non è abitudine dell'uomo ricco preoccuparsi di come appaia visto dall'esterno.

Abbraccio con lo sguardo tutta la scalinata i cui gradini si innalzano in ranghi capaci di assicurare una visuale indisturbata sul foro centrale sottostante, illuminato a giorno da quattro imponenti riflettori. Questo comitium, comunque, è un posto davvero suggestivo. Riesco a immaginare tutti gli uomini togati dell'Urbe sedere per discutere e deliberare riguardo il futuro dell'impero.

Solo che, stanotte, di uomini togati non se ne vede neanche l'ombra e gli spalti, piuttosto, sono letteralmente assediati da una folla infreddolita e lamentosa che si agita e si ammassa su se stessa nel tentativo di scaldarsi. Àuguri e Senatori, liberi cittadini e schiavi.

Si sente ancora suonare la sirena di allarme civile, in lontananza.

«Accidenti» mi dice Marcus, mio fratello, alla fine del mio racconto. È schiacciato al mio fianco e riesce a stento a muoversi per passarsi una manona paffuta sul viso rotondo e lisciarsi la poca barba castana che ha sulle guance come fa sempre quando non è a suo agio. «Non riesco a credere che un Pensatore debba essere costretto ad assistere a spettacoli del genere».

Io e Segesto ci siamo ricongiunti con lui e Fumilla, la mia ancella, proprio qui al comitium, il luogo designato in cui la cittadinanza è tenuta a radunarsi in caso di allerta civile. Poi, una volta giunti, per ingannare il tempo e il freddo, ho fatto loro un dettagliato resoconto della mia serata, compreso l'increscioso spettacolo vietato ai minori a cui mi sono trovata ad assistere con l'infelice dissertazione di Segesto riguardo la superiorità del processo decisionale razionale rispetto a quello emotivo come sottofondo.

«No, no, devi credermi» insisto. «È stato un amplesso breve ma paurosamente intenso, una cosa che neanche due animali scappati dalla bioarca avrebbero potuto—»

«Non parlavo dell'amplesso, Merula» mi interrompe lui, «ma del combattimento. Ti sembra giusto che due uomini vengano scagliati ad ammazzarsi uno contro l'altro?»

«È ovvio che mi sembra ingiusto» gli rispondo, e intanto mi aggrappo al braccio di Fumilla che fuoriesce dalla mantella di lana rigenerata in cui si è intabarrata.

Anche Fumilla indossa un collare elettrico. La zia Domiziana l'ha regalata a Marcus due anni fa, per il suo diciottesimo compleanno, affinché ne facesse la sua schiava di letto. È stato così che, per la prima volta, la mia famiglia ha accolto in casa uno schiavo.

Lei era terrorizzata. Anche dopo giorni, benché fosse ormai evidente che Marcus non avrebbe mai neanche preso in considerazione l'idea di abusare di lei, continuava a sobbalzare per ogni minimo rumore e a torturarsi le unghie e le pellicine fino a farsi sanguinare le dita.

SATURNALIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora