Il ricordo di quella notte di dieci anni fa è ancora così vivido nella mia mente che, se chiudo gli occhi, riesco a riviverlo come fosse accaduto ieri.
«Perché stai piangendo, Merula?» mi domanda Segesto.
«Perché nostro padre è morto?» gli risponde Marcus, poiché io non riesco a smettere di singhiozzare. Abbiamo dieci anni. Abbiamo solo dieci anni.
«Piangere per la scomparsa dei propri cari è normale. Purché si rimanga nei giusti limiti».
Le parole del nostro precettore mi rassicurano. Marcus, invece, scalpita.
«La perdita di una persona tanto amata abbatterebbe anche gli animi più forti. Anche gli animali soffrono. Ma ricordate il muggito della vacca che aveva perso il suo vitello, alla bioarca? Quanto è durato? Un giorno? Due? Ricordate lo stridio degli uccelli nelle voliere davanti ai loro nidi vuoti? Non c'è nessun animale che non soffra per la perdita dei propri cari; eppure nessuno lo fa tanto a lungo quanto l'uomo, che è colpito dal proprio dolore non nella misura in cui lo avverte, ma in quella che ritiene opportuna».
Marcus è inquieto. Marcus non accetta che il conceptus ponga dei limiti al suo dolore. Persino a quello.
«Lui ci ha abbandonati» sibila. Non lo guarda. Non l'ha guardato neanche una volta, da quando è successo. «È stato vile ed egoista».
«Non è vero, lui era un bravo Pensatore» dico io.
Maximus Claudio Metello, nostro padre, era un bravo Pensatore. No, lui era un grande Pensatore. Non si era mai lasciato dominare dalla bramosia di morire. Non disprezzava la vita né ne accusava il peso. Ma aveva deciso di tenere aperta quella porta. Una sola è la catena che ci tiene avvinti, diceva, ed è l'attaccamento alla vita.
«Il lutto colpisce tutti, indistintamente. Ma, davanti alla stessa disgrazia, c'è chi reagisce in un modo e chi in un altro». Segesto sposta molto lentamente lo sguardo da me a Marcus, «a seconda di quanto si è lasciato indebolire dalla spaventosa valutazione preconcetta di cose che il saggio non ha ragione di temere».
Sì, Maximus Claudio Metello, nostro padre, era un grande Pensatore. E, come tutti i grandi Pensatori, aveva ridotto al minimo il suo attaccamento alla vita in modo che, se e quando le circostanze lo avessero richiesto, niente gli avrebbe impedito di essere pronto a compiere subito ciò che prima o poi si sarebbe compiuto comunque.
«Amate i vostri cari». Le mani magre e ruvide di Segesto si poggiano sulle mie spalle e mi allontanano con delicatezza dal cadavere di mio padre. «Ma amateli tenendo sempre bene a mente che non vi è stata fatta promessa di sorta sulla loro permanenza in questo mondo. Ricordate che non è il cadere dell'ultima goccia che svuota la clessidra» aveva concluso. «E che niente vi è garantito fino a stanotte».
«Pensatrice».
La voce atona e cantilenante di Segesto che riecheggia ovattata nella mia testa si deforma in quella nitida, roca e sgraziata di Bulla Aurea. Apro gli occhi.
«Pensatrice, che cazzo stai facendo?» mi domanda. «Ti pare il caso di metterti a dormire in mezzo alla foresta?»
Mi tiro su e mi metto a sedere. Ho delle foglie tra i capelli. E degli uomini della Suburra tutti intorno a me.
«Avanti, alzati» mi intima.
Ha la pistola legata alla cinta, ma non la sfodera.
«Alzati» ripete. «Devi venire con noi».
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SATURNALIA
Science FictionDopo la Grande Glaciazione, gli abitanti di Nova Roma-II sono tutto ciò che rimane dell'umanità. Umanità che riesce a sopravvivere solo grazie a sofisticati sistemi di scongelamento e che, negli ultimi cento anni, ha edificato un rigido sistema so...