XXV • QUI PUNIRI DEBUIT

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Il conceptus non ci lascia impreparati di fronte alla morte. Il conceptus ci esorta a pensare a essa continuamente.

A non perdere mai di vista il fatto che, ciascuno di noi, dal momento in cui ha visto per la prima volta la luce, è entrato nella strada che conduce alla morte.

«Merula».

A non cadere nell'errore di pensare che soltanto gli anziani si dirigano verso la morte, poiché verso di essa ci porta subito l'infanzia, poi l'adolescenza, poi il resto della vita.

A diffidare della saggezza di chi non attenda la morte come il miglior ritrovato della natura.

«Merula».

Ai grandi spiriti non è mai cara una lunga dimora nel corpo.

C'è una cosa che diceva sempre Segesto, a proposito della morte: che concluda una vita felice o ne tronchi una misera, che ponga fine alla stanchezza di un vecchio o che si porti via il fiore della giovinezza nel momento in cui sono più belle le speranze, nessuno le deve essere più grato di coloro ai quali arriva prima che l'abbiano dovuta invocare.

«Merula» Silia, mi sta scuotendo. «Dobbiamo andarcene subito».

Forme nere e indistinte continuano ad affiorare dalla foresta. Si riversano nel comitium come una colata d'inchiostro su un foglio bianco.

«Non possiamo lasciarlo qui». Le mie mani sono serrate intorno alle sue spalle. «Ne faranno scempio».

«Faranno scempio anche di noi se non ci sbrighiamo ad andarcene, cazzo» grida Corvus e, intanto, mi strattona per un braccio costringendomi ad alzarmi, mentre io mi dimeno nel vano tentativo di sottrarmi alla presa salda dei suoi artigli.

«Domina, ci penso io. Ci penso io». Gallius si passa una mano sul viso tastandosi i lineamenti deformati dal dolore, poi si volta a guardare Silia e le porge la propria mitragliatrice. «Tienimi questa».

«Dobbiamo sbrigarci» ripete Corvus.

Gallius se lo è caricato sulle spalle. Ma è già troppo tardi. Sono troppo vicini. Ci prenderanno. O, almeno, prenderanno me. Perché sono la più lenta e la meno atletica e, anche se Corvus mi sta trascinando su per gli alti scalini del comitium, non riesco a tenere il passo. Infatti cado. Corvus perde la presa sul mio braccio e qualcun altro, immediatamente, mi afferra da dietro.

Dovrei implorare di lasciarmi andare. Solo gli dei sanno cosa potrebbero farmi se riuscissero a tirarmi giù. Ma, chissà, forse potrebbe essere addirittura ciò che mi merito.

Comunque, non ho la forza di lottare. Quindi chiudo gli occhi e lascio che quelle mani sconosciute mi trascinino verso il basso.

Almeno fino a che non sento delle grida confuse e del sangue schizzarmi addosso e non mi rendo conto che Silia sta tremando col mitra di Gallius fumante ancora in mano.

Corvus ne approfitta per riagguantarmi e per spintonarmi fuori dal comitium.

E allora corriamo nel bosco, lasciandoci alle spalle un vano trambusto e un caos privo di senso. Corvus mi traina lontano, lungo un percorso improvvisato, un sentiero che Gallius sta aprendo per noi a suon di spallate e improperi. L'imperatore è sulle sue spalle. Le sue braccia penzolano contro la schiena larga di Gallius, la sua testa ondeggia e rimbalza a ogni suo passo.

«Per di là». Corvus gracchia ordini e indicazioni. «Ecco, siamo arrivati».

La grotta con la lupa. Il Lupercale.

«Lasciatemi passare». Corvus smanetta con il suo bastone, digita un codice, l'imponente statua bronzea si scosta rivelando l'ingresso di una sala sotterranea. «Entrate, presto».

SATURNALIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora