I • CONCEPTUS

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Il mio conceptus mi impone di respingere tutto ciò che possa minacciare l'integrità dalla ragione. E poiché il nemico, una volta entrato, farà ciò che vorrà e non certo ciò che gli consentiranno i suoi prigionieri, va tenuto ben alla larga dai confini.

«Sei in apprensione» constata Lucio Cornelio Segesto, il mio precettore.

«Non è vero» faccio in tempo a rispondere, prima che l'uomo di fronte a me venga colpito in pieno volto da un rovinoso gancio destro.

Ho idea che, per lui, sarà l'ultimo della giornata. Tra le urla della folla, il poveretto stramazza al suolo proprio ai miei piedi, sputando una boccata di sangue e un paio di denti sul pavimento a mosaico del lussuoso triclinio in cui è stato improvvisato il combattimento.

«Mitte, lascialo vivere. A mia figlia piace» ordina il console Valentiniano all'energumeno che lo ha mandato al tappeto. È il padrone di entrambi gli schiavi. E qui, nell'ala della domus imperiale aperta agli ospiti, si comporta come se fosse anche il padrone di casa. Se ne sta spiaggiato a pancia in giù, con una mano si sorregge la brutta faccia glabra e rubiconda e con l'altra pesca da una ciotola succulenti bocconcini di cibo già tagliati dal lettino tricliniare automatizzato.

L'uomo privo di sensi viene raccolto e portato via e un paio di schiavi si affrettano a ripulire il pavimento dal sangue. Ora che il turpe spettacolo è terminato e con, esso, l'angosciante rullo di tamburi che lo ha accompagnato per tutta la sua durata, dagli altoparlanti incassati nel soffitto affrescato dell'affollato triclinio si diffonde una rilassante musica d'ambiente.

Segesto afferra un grappolo di pizzutello e riesce ad accaparrarsi un posto a sedere su uno dei lettini della sala. Estrae un libro dalla sua toga e comincia a leggere, del tutto incurante dei due uomini che stanno facendo sesso tra di loro a neanche un metro e mezzo da lui, mentre due schiave dai seni nudi fanno loro aria dimenando grossi ventagli di piume rosa.

«Un acino?» mi domanda.

«Grazie» rispondo, lo afferro e me lo caccio in bocca. E mentre lo schiaccio con i denti e lascio che il succo dolce fluisca fuori dalla buccia, lancio un'altra occhiata alla coppia.

I Saturnalia non cominceranno che domani e quindi, nonostante si avverta nell'aria, già da qualche giorno, una certa eccitazione per l'avvento delle festa più importante dell'anno, considerato che oggi è un banale pomeriggio feriale come tanti altri, mi sembra che questi due se la stiano spassando un po' troppo.

«Non cadere in questo tranello, Merula» mi dice Segesto. «Il corpo è un peso e una pena per l'anima. Noi siamo destinati a cose troppo alte per poterci permettere di essere schiavi del nostro corpo».

«Non voglio esserlo» rispondo. «Ma neanche riuscirò mai a esserne del tutto al di sopra».

«Nessun essere umano ci riuscirebbe» conferma.

«Beh, tu sì».

«No, neanche io» mi contraddice, e intanto volta una pagina del libro su cui continua a tenere inchiodato lo sguardo. «Ma non lascio che la carne mi costringa ad atteggiamenti indegni di un uomo onesto. Dopo anni di conceptus, sono semplicemente giunto alla conclusione che il processo decisionale razionale sia sempre preferibile al suo equivalente emotivo».

Gli uomini qui di fianco, intanto, con una serie di agghiaccianti barriti, hanno terminato il loro amplesso. Giusto in tempo per un altro brusco cambio di atmosfera in sala. Ora le luci si sono abbassate e la musica si è fatta più irregolare, cupa e dissonante.

Mi viene spontaneo voltarmi verso Valentiniano. Il letto tricliniare su cui è stravaccato è dotato di sensori di umore per la personalizzazione dell'ambiente. E, infatti, non è più solo: i due attempati senatori che, insieme a lui, costituiscono il Comitato per l'organizzazione dei Saturnalia, gli si sono avvicinati e gli stanno parlottando con una certa concitazione.

SATURNALIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora