XXXI • AUSPICIA ADVERSA

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Non ero neanche consapevole di essere in grado di correre a una velocità del genere. Né avrei mai pensato che potesse esistere un essere vivente capace di scatenare in me un simile terrore.

Eppure dispongo di tutto ciò che mi serve per non cadere vittima di un sentimento tanto ignobile.

Per esempio, so che le cose che ci spaventano sono sempre di più di quelle che ci minacciano realmente. So che soffriamo molto più spesso per i nostri timori che non per i fatti e che i mali che temiamo come imminenti forse non arriveranno mai.

Che, in effetti, sono tutte nozioni molto utili quando sei al sicuro tra le mura confortanti della tua casa, sotto la cupola, minacciato da null'altro che dalla possibilità di cadere in balia di qualche tormento inconsistente, ma lo sono notevolmente meno quando stai correndo in mezzo a un bosco, in piena notte, schivando arbusti e radici, con un mostro alle calcagna.

Non ho mai avuto paura della morte. Eppure, per qualche motivo, sono assolutamente terrorizzata da quella cosa.

A giudicare dal rumore dei rami schiantati alle nostre spalle, è di sicuro molto più lento di noi. Però è tenace, accidenti. Sembra sempre più lontano a ogni nostro passo, ma continua a puntare nella nostra direzione.

«Da questa parte, sbrigati» dico a Settimo, senza fiato, spingendolo nel Lupercale.

Se Corvus e gli altri sono nel laboratorio, ci apriranno non appena sentiranno le nostre voci. Se invece, per qualche ragione, dovessero essere usciti—

«Che accidenti è successo?» mi domanda Corvus, facendo capolino sulla soglia, con il bastone in mano, mentre noi ci precipitiamo dentro.

«Richiudi! Presto!»

Con un inquietantissimo rumore di meccanismi poco oliati, la lupa si richiude rapidamente alle nostre spalle.

«Poi un giorno mi dirai come fai» rantolo, poggiandomi le mani sulle ginocchia per riprendere fiato.

«Il mio bastone funziona come un passepartout per ogni—»

«Ho detto un giorno» lo interrompo. «Adesso ho bisogno di riprendermi».

E ci impiego, comunque, molto meno di quanto avrei temuto

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E ci impiego, comunque, molto meno di quanto avrei temuto.

Forse perché la visione di Marcus, Fumilla, Derclide e Coso, vivi e vegeti e in nostra attesa, mi rincuora subito.

Forse perché tra le spesse mura rocciose di questo laboratorio sotterraneo, insieme a tutte queste persone che fino a poche settimane fa neanche conoscevo ma con cui mi sono ritrovata a condividere così tanto, mi sento al sicuro.

O forse perché mi è sufficiente guardare un attimo Corvus negli occhi per capire che ha scoperto qualcosa.

La penombra del laboratorio non mi impedisce di notare lo scintillio nel suo sguardo reso ancora più azzurro dalle fioche luci di emergenza a soffitto. Quello con cui continua a fissarmi per tutto il tempo che mi ci vuole per raccontare agli altri del nostro incontro con il Tacito. Ma non è stupito.

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