IV • AUSPICIA EX CAELO

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Apro un occhio alla volta.

«Merula, dei, menomale» sta dicendo Marcus.

«Siamo vivi?» domando. «Saturno non ci ha folgorati per la nostra empietà?»

«Siamo vivi» conferma, e io mi aggrappo alle sue spalle per rimettermi in piedi. «Ma non riesco a capire cosa sia successo».

Sul pavimento immacolato del comitium sono ben evidenti i segni del recente impatto con il fulmine.

«Non riesco a capire» ripete, osservando quel cratere nero proprio al centro del foro. «Un fenomeno elettrico di tale intensità...»

«Dove sono Fumilla e Segesto?» gli chiedo.

Tutto intorno a noi c'è il caos. Alcune persone sono prive di sensi, altre sono in piedi e si dirigono avanti e indietro come se non sapessero che direzione prendere, scontrandosi gli uni con gli altri e gemendo.

«Dobbiamo trovarli» insisto. «Andiamo».

«Perché fa così caldo?»

Ha ragione. Non ci avevo fatto caso. Ma la temperatura sembra aumentata di almeno dieci gradi rispetto a cinque minuti fa.

«Forse il dispositivo di scongelamento ha ripreso a funzionare» rispondo, distrattamente, liberandomi del mantello.

Decido di ignorare i farfugliamenti scettici che ne conseguono. La priorità è trovare Fumilla e Segesto. Per metterci seduti a interrogarci su questioni a cui non sappiamo trovare una risposta ci sarà tempo dopo, forse. Oppure mai.

«E questo posto... non ti sembra svuotato? Era pieno da scoppiare, mentre ora sembrano rimaste solo un pugno di povere anime parche—»

Faccio in tempo a sentire mio fratello imprecare sommessamente mentre inciampa su qualcosa, prima di vederlo rovinare a terra, ruzzolare per i due o tre scalini della gradinata che ci separano dalla base del foro e schiantarsi sulla pavimentazione in travertino bruciacchiato.

«Marcus!» urlo, attonita. «Ti sei fatto male?»

«No, no, tutto a posto» risponde, e si affretta a rinfilarsi gli occhiali persi durante l'impatto.

Un rantolo ai miei piedi, però, mi costringe a distogliere l'attenzione da lui.

«Mehercle!» esclamo, porgendo la mano alla povera anima parca che mio fratello ha letteralmente calpestato. È un Àugure. «Stai bene?»

«Diciamo di sì» risponde, si mette a sedere e si massaggia una spalla. Poi, quando si accorge di essere senza cappuccio, si affretta a ricalarselo sopra i capelli biondi tagliati un po' a casaccio e mi lancia un'occhiata torva e vagamente imbarazzata, come se mi avesse beccata a spiarlo mentre era nudo. «Grazie».

Lo osservo alzarsi in piedi e guardarsi intorno. Ha il piercing al setto e non dimostra più di vent'anni ma è alto e rinsecchito proprio come tutti i suoi simili. E, col cappuccio in testa, ha riassunto immediatamente l'aspetto di quel certo tipo di crudele rapace che assottiglia gli occhi malvagi alla ricerca di un cadavere su cui avventarsi per fare merenda.

Però, in realtà, credo di aver capito cosa sta cercando.

«Dove sono finiti gli altri Àuguri?» chiedo.

Eppure dovrebbero essere piuttosto facili da individuare, filiformi e ricurvi con le loro grezze vesti nere in mezzo alle decine di mantelli in colori pastello finemente drappeggiati su corpi pieni di gioielli e impinguati dall'ozio.

Non mi risponde. Non ci sono.

«Merula!»

Conosco questa voce. Mi volto lentamente e me lo ritrovo davanti. L'imperatore Nerva, ritto nella sua statura davvero impressionante e con una sola Penula Blu al seguito, è fermo proprio davanti a me.

SATURNALIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora