XIII • SUPRA CAESAREM

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Vomitare.

È l'unica cosa che avrei voglia di fare di fronte allo spettacolo che mi si è palesato davanti agli occhi una volta raggiunto il luogo dell'attacco, nel cuore della foresta.

Abbiamo aspettato che il sole fosse alto nel cielo per tornare qui a recuperare il ragazzo aggredito. Sono stata io a sollecitare la spedizione. Se il ragazzo fosse stato ancora vivo, avrebbe avuto senz'altro bisogno di aiuto. Se fosse stato morto, lo avremmo riportato alla radura e gli avremmo dato una degna sepoltura.

Mi era già capitato di vedere un cadavere, prima di oggi. L'imperatore Druso, il giorno del suo omicidio, è stato il primo. Poi mio padre, l'anno successivo. Senza contare le svariate autopsie a cui sono stata costretta ad assistere, insieme a Marcus, su precisa richiesta di Segesto.

Fino a poche ore fa, in effetti, ero assolutamente certa di aver studiato abbastanza per essere pronta ad affrontare qualsiasi eventualità, fino alla più sventurata.

Ma niente avrebbe mai potuto prepararmi a questo.

«Stai bene?» mi sussurra Corvus.

«Sto benissimo» rispondo.

Dei, sto uno schifo. Se avessi qualcosa nello stomaco lo avrei già rimesso.

«Però hai un aspetto davvero orribile» aggiunge, poi mi prende con discrezione una mano tra le sue. Spinge il pollice su un punto preciso al centro del mio polso ed effettua un paio di movimenti circolari. «Tieni premuto qui» bisbiglia, lanciando un'occhiata all'imperatore Nerva. «Anche se, sinceramente, dopo la faccenda del Lisciachiappe penso che la situazione tra voi due potrebbe solo migliorare, se gli vomitassi addosso».

«Non avrei dovuto raccontartelo» rispondo, ma faccio come mi dice. Non so perché, ma funziona: la nausea si attenua. Per quanto sia possibile, viste le circostanze.

È apparso subito evidente a tutti che non sarebbe stato fattibile riportare indietro il corpo. Così l'imperatore ha comandato di scavare una fossa e seppellire qui ciò che ne rimane e Bulla Aurea e i suoi scagnozzi della Suburra si sono subito messi all'opera.

«Posso parlarti un secondo?» mi domanda Nerva, mentre Corvus raggiunge la fossa e comincia a borbottare qualche preghiera.

«Sì, certo».

«Vieni» mi dice, guidandomi a qualche metro di distanza dallo scempio. «Sei pallida come uno straccio».

Prendo un paio di respiri profondi e continuo a premere il dito nel punto del polso che mi ha indicato Corvus. La lontananza da quell'odore mi procura un sollievo immediato e lo sguardo preoccupato che Nerva alza su di me con i suoi stupefacenti occhi verdi, per un attimo, mi consente di estraniarmi dall'ambiente circostante.

Ma il sollievo dura poco.

Giusto il tempo di consentire al ricordo sopito di stanotte, momentaneamente sepolto sotto l'orrore di quel corpo fatto a pezzi, di riaffiorare e di colpirmi come uno schiaffone. Ho perso completamente il controllo. Il bacio, la dichiarazione, la faccenda del lisciachiappe... e non ero neanche ubriaca.

«Non sono venuti a prenderci, infine» mi sussurra, guardando fisso davanti a sé.

«Infine, no» confermo, lieta che il suo pensiero sia comprensibilmente rivolto al nostro futuro e alla nostra potenziale orribile morte tra questi alberi e non alla mia sconcertante dichiarazione della scorsa notte.

«Ho bisogno di parlarti di una cosa molto importante» aggiunge, a voce ancora più bassa.

«Noi abbiamo finito, Cesare» annuncia Bulla Aurea, del tutto incurante del fatto che qui si stesse svolgendo una conversazione confidenziale. È tutto sporco di sangue e di terra e di chissà cos'altro.

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