XIV • LUBRICO

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Stasera mi sento particolarmente indifferente di fronte ai muscoli di Settimo. Dopo tutto ciò che è successo nelle ultime ore, assalti pseudosessuali all'imperatore e cadaveri sbudellati compresi, non saranno certo un paio di addominali, benché esageratamente scultorei, a farmi vacillare.

«Ho fatto» annuncio, mentre sfilo l'ultimo punto.

«Grazie» dice e, nonostante negli ultimi giorni mi sia sembrato sempre risentito nei miei confronti, ora pare sincero. «Per aver medicato me e per aver aiutato Derclide, soprattutto. Non sei così male come sembri».

«Beh, ti ringrazio» dico, anche se non sono del tutto convinta che sia un complimento. «Vado a portare la corona all'imperatore».

Settimo non risponde. Ma, dal modo in cui mi osserva sotto le folte sopracciglia aggrottate, sono certa che ci sia qualcosa che mi sta tacendo.

«Avanti, di' quello che stai pensando» lo esorto.

Derclide e Fumilla stanno chiacchierando e non ci ascoltano.

«Vuoi che gliela riporti io?» mi domanda, a sorpresa.

«Non è necessario» rispondo. «Non stare in pena per me».

«Non sto in pena per te» precisa. «Sto in pena per lui».

«Beh, non fare neanche questo» taglio corto. «Sono solo un triste Pensatore inoffensivo che non può arrecare nessun danno al tuo preziosissimo imperatore».

«Nessun danno, tranne quello di convincerlo di essere un problema».

«Un problema?»

«Un problema per te» precisa. «Un'indesiderata deviazione dalla tua ferrea via della rettitudine. Il terreno sdrucciolevole su cui temi di rovinare».

«Il problema non è lui» ribatto, anche se non capisco come sia arrivata a intraprendere un simile discorso con lui.

«No, certo. Il problema è la tua anima, che non è abbastanza salda nella virtù».

«Sì, infatti, è proprio così» confermo, «ma non mi aspetto che tu capisca».

«Ti sbagli» risponde, serio. «Lo capisco benissimo, invece. Quello che non capisco è come sia possibile che tu non ti renda conto che, se trovassi il coraggio di affidargli questa tua anima per cui tanto temi, lui ne avrebbe più cura di quanta non ne abbia tu stessa».

 Quello che non capisco è come sia possibile che tu non ti renda conto che, se trovassi il coraggio di affidargli questa tua anima per cui tanto temi, lui ne avrebbe più cura di quanta non ne abbia tu stessa»

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Il tetto del Macellum è letteralmente l'ultimo posto in cui mi verrebbe mai voglia di ritirarmi per meditare. È interamente ricoperto da cigolanti pannelli auto-orientanti di serviosite che, dopo il tramonto e in attesa dell'alba, riassumono la loro posizione di riposo quasi orizzontale, lasciando tra di essi un passaggio stentato e angusto e permeando la notte di inquietanti scricchiolii di assestamento.

«Cesare?» chiamo perché, nonostante la notte sia serena, la fioca luce lunare non mi è sufficiente a identificarlo in mezzo a quella lugubre distesa di serviosite.

SATURNALIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora