Aveva preso a giocherellare con la collana di perle bianche che teneva tra le dita. Antonia non aveva prestato particolare attenzione all'omelia del sacerdote, si era persa nei suoi pensieri dopo aver recitato il rosario. Le parole avevano lasciato le sue labbra come già impostate, come se fosse stata un macchinario da fabbrica. Il Padre parlava, ripetendo parole che non avevano raggiunto le orecchie della donna. Antonia si era ritrovata a storcere leggermente il naso, quando questo aveva sollevato le mani in alto, verso il soffitto della chiesa.
Dalle sue aperture non entrava più la luce del sole, già tramontato da un po', e l'edificio sacro si era fatto buio. Le fiamme delle candele tremavano come spinte da una forza invisibile, Antonia temette che potessero spegnersi.
La porta non era stata chiusa del tutto, e da fuori arrivava il vento freddo. La donna poté sentire i brividi leggeri farsi strada lungo il suo corpo stanco, quando l'aria raggiunse la sua figura, quasi rannicchiata sulla panca. Le mani giunte davanti al viso, coperto dal fazzoletto nero, nascondevano gli occhi dallo sguardo quasi timoroso. Il crocifisso ricadeva sul petto della donna, oscillando di tanto in tanto seguendo i suoi movimenti. Sollevò il viso quel tanto che bastava per tornare ad osservare il Sacerdote, non curandosi troppo delle panche vuote attorno a lei. Pareva che nessun'altra si fosse voluta accomodare accanto a lei, come se attorno si fosse creata un'aurea che in realtà non le apparteneva. Antonia era sempre stata una donna chiusa, a tratti schiva e diffidente. Schiava dei suoi stessi silenzi e dei segreti che non aveva mai osato rivelare.
E proprio in quel momento, mentre la donna pensava a quel segreto che per una vita intera l'aveva tenuta sotto scacco; il parroco alzò la voce, scandendo le parole come se stesse parlando a lei direttamente."Poiché non vi è nulla che sia nascosto se non per essere manifestato; e nulla è stato tenuto segreto, se non per essere messo in luce."
Nell'udire quelle parole, Antonia abbassò lo sguardo incredulo verso la gonna scura che le copriva le gambe. Le mani tremarono leggermente seguendo la figura che avrebbe voluto scomparire. Nessuna delle presenti avrebbe potuto comprendere ciò che si nascondeva in realtà dietro a quelle parole, ma non il sacerdote. Il parroco era l'unico dentro quell'edificio sacro, ad essere a conoscenza di tutto. Antonia non conosceva i testi sacri, era stata da sempre abituata ad ascoltare; e se anche avesse voluto, non sarebbe comunque stata capace di leggere. Sapeva che quella precisa frase era stata detta soltanto per lei, il parroco l'aveva osservata soltanto per qualche secondo.
L'uomo aveva poi riportato le mani sull'altare, e prima che Antonia potesse rendersene conto, la celebrazione era finita. Le donne iniziarono ad abbandonare la chiesa, alzandosi a fatica dalle panche di legno scuro, per raggiungere l'acquasantiera.
Anche Antonia fu costretta ad alzarsi, le gambe che tremavano per lo sforzo, e portare immediatamente il rosario contro al petto. Era combattuta, avrebbe voluto raggiungere il sacerdote, domandargli il perché di quella scelta. Ma si disse che non aveva tempo da perdere, sarebbe dovuta tornare a casa per preparare la cena. Probabilmente avrebbe già trovato Mario ad attenderla, e non lo vedeva dalle prime ore della mattina. Completamente assorbita dai suoi pensieri, si strinse lo scialle scuro sulle spalle magre, per poi abbandonare la postazione che aveva occupato per tutta la sera.
Il grande portone della chiesa era stato lasciato aperto, l'oscurità aveva completamente inghiottito la città. Antonia lo raggiunse a passo svelto, la gonna scura che indossava oscillò seguendo i suoi movimenti. Una volta arrivata all'acquasantiera sollevò una mano tremante, bagnandola con il liquido benedetto, per poi fare un veloce segno della croce prima di abbandonare definitivamente l'edificio.Scese le scale tenendosi la gonna con una mano, osservando attentamente i gradini per non cadere. La strada era già deserta, come se le donne che avevano assistito con lei alla celebrazione fossero svanite nel nulla. Antonia camminò decisa a non aspettare ancora, nella via che l'avrebbe condotta a casa la scarsa illuminazione le permetteva a malapena di vedere dove stesse mettendo i piedi. Ma ormai conosceva quella strada a memoria, l'avrebbe potuta riconoscere anche con gli occhi chiusi.
Una volta arrivata di fronte al vecchio portone di legno, si voltò ancora una volta verso la strada deserta. Notando l'avanzare della notte, scosse leggermente il capo prima di entrare in casa.
L'abitazione era buia, come l'aveva lasciata, ma poteva sentire dei rumori provenienti dalla cucina. Senza annunciare il suo arrivo, posizionò il gancio di metallo lungo il portone, bloccandolo dall'interno. Si tolse velocemente lo scialle scuro, per poi raggiungere la stanza dove aveva abbandonato le sue faccende.
I rumori che poteva sentire erano prodotti dal figlio minore, Mario indossava ancora gli abiti da lavoro, e sul tavolo aveva risposto dei pezzi di formaggio appena tagliati. Il ragazzo sollevò il capo verso la donna, salutandola con un cenno della mano prima di agguantare un altro pezzo di cibo.
Antonia sollevò un sopracciglio, con fare poco convinto, prima di raggiungere velocemente la dispensa. "Dov'è tuo padre?" domandò in fretta, e la risposta di Mario tardò ad arrivare. Il ragazzo dovette mandare giù il boccone prima di voltarsi nuovamente verso la donna, che adesso gli dava le spalle. "Non mi ha detto dove stava andando, siamo tornati insieme, ma non è entrato in casa" spiegò, sollevando le spalle.
Antonia sospirò rumorosamente, era sicura che Raimondo avesse iniziato a bere più del solito. Aveva iniziato a sospettare che lo facesse già da un po' di tempo, e spesso si assentava da casa. Evidentemente l'uomo non era riuscito a reggere il peso di quello che stava per accadere, forse la paura di poter tornare al passato lo aveva sopraffatto. Antonia sentì una leggera punta di rabbia, che non era abituata a gestire, farsi strada lungo la gola secca. Dalla bocca dello stomaco si sentì come un bruciore, che andava ad espandersi fino al petto magro. Il respiro si fece irregolare, costringendola a portarsi una mano sul petto quando avvertì il cuore mancare un battito. Non avrebbe avuto il tempo necessario per tirare fuori il marito da ciò in cui si era cacciato, non questa volta. Si disse che avrebbe dovuto imparare, l'uomo, a cavarsela da solo.
Raimondo era sempre stato fragile, nonostante all'apparenza potesse sembrare un uomo forte, non era mai stato in grado di salvare nemmeno sé stesso.
Mario nel frattempo aveva preso a pulire alla svelta il tavolo, lasciando che le briciole cadessero dentro al caminetto spento. Antonia lo sentì abbandonare la stanza, e sospirando di voltò nuovamente nella sua direzione. "Mario" lo chiamò, pronunciando finalmente il suo nome a voce alta e costringendolo a fermarsi nuovamente. "Io dovrò uscire nuovamente, andrò-" si bloccò per qualche secondo, come per mettere in ordine le parole. "Andrò a prendere quel mulo" mormorò poi, quasi vergognandosi di aver parlato così tanto. Mario sospirò senza dare troppo nell'occhio, e si portò una mano a massaggiare le tempie doloranti.
Era dalle prime ore del mattino che avvertiva un leggero mal di testa, e davanti alla frase della donna sentì immediatamente le tempie pulsare più del necessario. Gli occhi stanchi si serrarono per qualche secondo, facendogli avvertire un leggero capogiro. "No, andrò io" rispose, deciso a lasciar riposare la donna almeno per qualche ora, prima del ritorno del marito.
Antonia si voltò nella sua direzione, "sei sicuro?" domandò, e lo vide annuire con fare convinto. La donna si arrese allora, tornò alle sue faccende, pensando improvvisamente di dover preparare qualcosa per cena.
Mario abbandonò la voglia di tornare nella sua stanza, avrebbe voluto tanto stendersi per recuperare un po' di forze, dopo la giornata di lavoro. Ma decise di vestirsi nuovamente la giacca scura, e uscire per raggiungere l'indirizzo che l'uomo gli aveva lasciato.Fortunatamente non si trovava troppo distante dalla sua abitazione, si disse che avrebbe potuto raggiungerlo prima in bicicletta. Ma sarebbe stato difficile poi, tornare a casa con il mulo e la stessa, perciò si incamminò a piedi.
Il passo era lento per volontà sua, che preferiva prendersi del tempo per pensare a ciò che stava per fare. Non conosceva per niente quel signore che si era presentato a casa sua, offrendogli quel mezzo. Il foglio stropicciato era ancora dentro alla tasca della giacca, lo poteva tastare con le dita tremanti.
L'aria fredda andò immediatamente a raggiungere la pelle lasciata scoperta dalla giacca, provocandogli dei leggeri brividi. La strada a quell'ora della sera era sgombra, non si vedevano persone o animali in circolazione. Ma dalle case del quartiere dove abitava poteva sentire gli schiamazzi, era questo che amava di quel posto. Il potersi sentire connesso ad altri, anche se di fatto non gli conosceva personalmente. Era come se le persone che abitavano Castello fossero una cosa sola, per certi versi. Se gli fosse mancato anche solo un pezzo di pane, era sicuro che avrebbe potuto bussare alla porta della casa più vicina, per domandarlo. Non gli sarebbe stato negato, e avrebbe saldato poi il debito qualche giorno dopo, magari con un pezzo di carne o di formaggio. Era così che si viveva all'interno di quelle vie strette, un modo di esistere che negli altri quartieri era quasi sconosciuto. Castello era come un piccolo paese dentro ad una grande città, ed il pensiero di abbandonarlo quasi gli fece paura. Certamente aveva trovato quel leggero coraggio soltanto vedendo la determinazione di Antonia. Non sapeva come avrebbero affrontato quel viaggio, quanto tempo ci avrebbero messo, e dove sarebbero poi effettivamente andati a finire.
L'unica cosa che gli restava di fare era fidarsi della donna che lo aveva messo al mondo, se avesse recuperato il mulo quella sera stessa, forse sarebbero potuti partire prima del previsto. Sentì una leggera sensazione d'ansia farsi strada sul suo petto, la conosceva bene. Mario non aveva però mai imparato come gestirla, come fermare le mani tremanti, oppure come cacciare indietro le lacrime ogni volta che queste bussavano alla porta dei suoi occhi.
Pensò per un breve lasso di tempo a Giovanni, l'amico al fronte, e si dannò per non avergli dedicato anche solo un minuto prima. Si era ritrovato perso dentro alle sue stesse faccende, a ciò che la vita gli stava presentando, senza tempo da dedicare ad altri. E forse era stato meglio così, si disse, meglio che piangere per la mancanza dell'altro. Avrebbe forse avuto altri motivi per piangere, più avanti, perché era sicuro che qualcosa avrebbe scoperto. Sperava soltanto che non fosse niente di troppo grande, niente di troppo doloroso da gestire. Ingoiò il rospo che aveva nella gola, sospirando, e quando arrivò di fronte all'abitazione si fermò per qualche secondo.Facendo un respiro profondo, un altro, camminò lentamente verso il portone nuovo di zecca. Colpendolo per qualche secondo, sperò che l'uomo fosse in casa, e che non si offendesse. Soltanto allora si rese conto dell'orario, e quasi gli venne voglia di tornare indietro per non farsi trovare. Ma quando sentì la serratura girare dall'altro lato, prese a guardare il pavimento con fare timido, vergognandosi anche dei suoi stessi abiti. Ad aprire fu una donna, una che non aveva mai visto prima; era bella, forse fin troppo, talmente tanto da farlo sentire fuori posto. Il viso era armonioso, le guance leggermente arrossate e gli occhi azzurri contornati da ciglia lunghe e chiare. I capelli erano coperti da un fazzoletto e stretti dentro una crocchia alta, soltanto due ciuffi chiari ricadevano lungo il suo viso. Le sopracciglia sollevate in una espressione stupita, e le mani avevano le unghie curate e laccate di un rosso vivo. Mario non aveva mai visto niente del genere, prima d'allora, e si domandò brevemente che diavolo fosse quella roba colorata che la donna aveva applicato sulle unghie.
"Buonasera" mormorò, sentendosi balbettare improvvisamente scordò tutte le parole che conosceva in italiano corretto. La donna però, pareva averlo in qualche modo riconosciuto, forse l'uomo era un suo parente e le aveva raccontato tutto. Sorridendo leggermente si spostò dal portone, rivelando la gonna lunga e la camicia immacolata che indossava. "Prego, ti stavamo aspettando" disse, con voce serena, e Mario quasi pensò che potesse essere una melodia, tanto era bella. La donna si spostò dalla porta, invitandolo ad entrare in casa, e rivelando l'uomo del mulo che si avvicinava anch'esso per accogliere l'ospite.
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Mille miglia | Vol. II
Historical Fiction*Sequel di "Ignaro che ti sto facendo a pezzi"* Nella Sardegna del 1915, scossa dalla scelta interventista dell'Italia e dalle crisi interne all'Isola, Mario sarà costretto ad affrontare ciò che la famiglia ha tenuto per anni nascosto. Giovanni, par...