XXVII

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La testa gli girava dalle prime ore del mattino. Non aveva potuto mettere niente dentro allo stomaco, se non un misero pezzo di pane duro. I soldati incaricati dei rifornimenti non avevano potuto raggiungere la trincea, per via dei cecchini austriaci. Questi si spostavano già dalle prime ore del giorno, da dietro il reticolato puntavano i loro fucili carichi. Raramente qualcuno riusciva a scampare a quegli appostamenti, come era accaduto proprio quella notte.
Giovanni sbuffò leggermente, notando le mani nuovamente sporche di fango e sangue ormai asciutto. Recuperò la borraccia, ancora piena a metà, abbandonata sulle tavole di legno.
Distese lungo il camminamento tremavano di tanto in tanto ad ogni minimo spostarsi di uomini o oggetti.
Era una mattinata particolarmente calma, dopo gli spari della notte l'attenzione si era spostata tutta sugli ordini. Questi sarebbero dovuti arrivare a momenti, consegnati a mano dai fanti che avrebbero attraversato quelle terre conquistate in precedenza. Il foglio sarebbe stato consegnato poi ad altri uomini, e per arrivare tra le mani dei comandanti ci avrebbe messo almeno mezza mattinata.
Di tanto in tanto, degli spari squarciavano il silenzio, come un avvertimento al fronte nemico.
"Non ci siamo dimenticati di voi", "siamo ancora qua, dove ci avete lasciati" parevano voler dire. 
Appena l'acqua toccò la pelle ruvida, Giovanni sentì un leggero bruciore. Ci volle quale secondo, stringendo i denti e sfregando le mani velocemente, per togliere almeno il fango.
Improvvisamente si accorse del tanfo che il suo corpo emanava, dei capelli sporchi appiccicati sulla fronte e sulla nuca. Si voltò piano verso Pietro, sempre seduto accanto a lui come un animale fedele.

Il ragazzo stava osservando il compagno accanto, questo scriveva velocemente parole dettate da un altro soldato. Era uno di quelli che sapeva scrivere, almeno in maniera abbastanza comprensibile. Giovanni non ricordava il suo nome, forse qualcosa come Attilio. Eppure ogni volta che si dovevano mandare lettere alla famiglia era sempre pronto ad aiutare gli altri. Passeggiava sereno per la trincea, come se si trovasse per le vie del suo paese; scherzava con i compagni e a tutti rivolgeva un sorriso sbilenco.
I denti rovinati e storti gli donavano una leggera simpatia, così come i capelli rossicci perennemente spettinati. Il naso e le guance erano contornati da delle leggere lentiggini scure, che si sposavano perfettamente con il colore dei suoi occhi.
Le mani del ragazzo si muovevano svelte sul foglio, posato sopra al suo stesso ginocchio duro. Il pennino era forse quasi consumato, lo aveva utilizzato per scrivere fin troppe leggere nelle ultime ore.
Pietro aspettava impaziente il suo turno, Giovanni lo vedeva seguire con lo sguardo il pennino sul foglio. Stringeva tra le mani una cartolina vuota, una di quelle che si era fatto prestare da qualcun altro.
Giovanni osservò la sua, un foglio macchiato di quella che pareva terra, recuperato dalla divisa di un compagno deceduto. Se la guerra non lo avesse reso così insensibile, avrebbe preferito tagliarsi le mani, ripensandoci.

Adesso il ragazzo dai capelli rossicci aveva preso a scrivere di fretta ciò che Pietro dettava. Le parole incerte lasciavano le labbra tremanti del ragazzo lentamente, la voce più bassa del solito. Giovanni percepì la sua incertezza, il suo sentirsi quasi in difetto di fronte alle conoscenze dell'altro.
Pietro aveva abbassato gli occhi scuri, per focalizzarsi sulla mano svelta del fante di fronte a lui. Attilio, se così si poteva chiamare, si stringeva tra i denti il labbro inferiore. Il volto contratto in una espressione di concentrazione, e quando l'altro smetteva di parlare sollevava un sopracciglio. Come per domandare "c'è dell'altro?", ma dopo la terza volta Pietro aveva già finito le parole.
La cartolina era quasi vuota, probabilmente il ragazzo non aveva mai dovuto inviare una lettera prima dall'allora.
O forse, immaginò Giovanni, non aveva voluto raccontare tutta la verità alla famiglia. Una scelta che condivideva, finché si poteva avrebbe preferito tacere le verità. Ciò che era accaduto dentro alla trincea, doveva stare dentro alla trincea. Era un patto stretto silenziosamente tra di loro, tra i fanti del reggimento.
Non solo quelli sardi, ma anche tutti gli altri.
Giovanni avrebbe spezzato quella promessa soltanto con Mario. Erano mesi che non vedeva l'ora di poter finalmente raccontare tutto all'amico. Gli mancavano le chiacchierate con l'altro, le serate passate in piazza Carlo Alberto, oppure seduti giù al porto. La brezza fresca che arrivava dal mare, sentire i capelli scompigliati del minore tra le dita.
Sospirò rumorosamente, soltanto per accorgersi che il ragazzo era passato dalla sua parte, adesso. Lo osservava con gli occhi gradi e chiari, un sopracciglio alzato in una tacita richiesta. "Vuoi che lo faccia anche per te?"
Giovanni dovette sorridere leggermente, prima di passare anche a lui la carta che teneva tra le dita. Non sarebbe comunque stato in grado di riportare su carta tutte quelle parole. Sperò che anche i genitori potessero trovare qualcuno in grado di leggere tutto, sicuramente sarebbe stato Mario a farlo.

«Cara madre, caro padre.

Mi dovrete scusare, se vi mando le lettere senza il sello. Sapete, a volte mi trovo in certi punti dove non si possono comperare. In trincea, non si può abbandonare il posto da soldato per nessun affaro.

Credetemi, quando vi dico che stiamo tutti bene. Chi si allontanerà verrà punito dal codice penale, ed io farò sempre il mio dovere da soldato.

Mandatemi presto delle lettere. Salutate Elena.

Vostro figlio,

Giovanni»

Disse, per poi domandare al ragazzo di cambiare cartolina. Questa volta un'altra vuota, e osservarlo affannarsi per rimettere il foglio ormai pieno di parole dentro alla tasca della divisa. Si sarebbe occupato lui poi, di portare le corrispondenze ai portalettere.
Una volta completata l'operazione, tornò ad osservare il viso di Giovanni. La stessa espressione, lo stesso sopracciglio alzato, anche questa volta mordendosi il labbro rosso di sangue.

«Caro Mario,

Dechisono partito da Cagliari, i giorni passati sono tanti. Ma mi pare dei anni, che siamo partiti.
Abbiamo marciato come le capre, in fila ci siamo nascosti tra gli alberi dei monti. Come banditi abbiamo camminato soltanto al buio, nascondendoci dalle pallottole.

Adesso mi trovo in trincea, almeno qua siamo protetti dai cannoni dei austriaci. Sparano a tutte le ore, ma il mio dovere da soldato mi impedisce di lasciare il posto. Combatteremo fino alla morte, perché solo così si esce.

Tutte le mattine, nello spuntar del sole, adesso il mio primo mestiere sarà quello di mandarti una lettera. Prendere il pennino ed inviarti i miei saluti, intanto che vivo.

Desidero ricevere tue notizie.

Giovanni»

Mormorò, come se pronunciare quelle parole gli costasse fatica. Il ragazzo dai capelli rossi, non parve preoccuparsi molto. Lo vide scrivere le ultime righe, prima di aggiungere l'indirizzo e sorridere leggermente. Lo congedò con un leggero movimento del capo, aggiustandosi l'elmetto sul capo si allontanò. Veloce come il vento passò immediatamente all'altro soldato, come un rito che non poteva essere spezzato.
Voltandosi verso Pietro, si accorse che questo aveva gli occhi lucidi, gonfi e grondanti di lacrime. Probabilmente, quella prima lettera gli aveva provocato un dolore troppo grande per poter essere nascosto. Perciò posò la sua testa contro la spalla magra di Giovanni, mentre le lacrime gli bagnavano il volto arrossato.
Non parve fare troppo caso ai restanti fanti, come se tutti gli altri non esistessero prese a singhiozzare. Giovanni non poté fare altro, se non portare una mano sul volto del compagno, costringendolo a nascondere i suoi singhiozzi contro la pelle gelida.

Dal cielo nuvole scure parevano preannunciare nuovamente la pioggia. Giovanni sperò che arrivasse presto, portandosi con la mano libera la mantellina sulle spalle. La stoffa era quasi completamente ridotta a brandelli, sporca di terra e sangue dei feriti. Si domandò come avesse fatto, quel liquido dal sapore così antipatico, a raggiungere la stoffa.
Si rispose brevemente che non avrebbe avuto senso, soffermarsi troppo su quel pensiero. Non avrebbe comunque potuto trovare una risposta, e preferiva di gran lunga approfittare della calma per prendere sonno. Pietro aveva smesso di singhiozzare, adesso delle strisce lucenti gli contornavano le guance, segno del dolore patito.
Portò la testa ancora coperta dall'elmetto all'indietro, fino a toccare la parete di fango. Gli occhi rivolti verso il cielo si chiusero con un movimento lento e fin troppo sereno.
L'ultima cosa che vide, furono le nuvole scure che mosse dal leggero vento, aprivano un varco nel cielo. La leggera luce gli impedì di osservare ancora, perciò sperò di poter recuperare le ore di sonno perse.

Mille miglia | Vol. IIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora