XIX

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⚠️Immagini forti⚠️


Gli austriaci temono l'arma, aveva detto una sera il Tenente, mentre i soldati della sua compagnia se ne stavano stesi sulla riva destra del fiume Isonzo. Giovanni nel colpirne uno al petto con la baionetta aveva pensato a quella precisa sera, all'uomo che adesso si era gettato valoroso insieme ai suoi soldati. Seppur la loro artiglieria fosse forte, dieci volte più di quella italiana, come al solito avevano preso a sparare facendo fuoco sui nemici ma anche sui loro compagni. Giovanni si domandò perché, mentre strisciava sul terreno oramai distrutto, mentre strappava dalle braccia fredde di un cadavere un coltello particolarmente lungo ed appuntito; una strategia, per richiamare i fanti alla trincea, per costringerli a tornare indietro così da evitare il massacro imminente. Terrorizzati dalle baionette, dai coltellini che i sardi tengono sempre dentro alla tasca del pantalone o della giubba, inseparabili compagni; gli hanno soprannominati diavoli, per il loro gettarsi addosso al nemico senza alcuna considerazione delle conseguenze, dimonios. Giovanni ha imparato che temono il luccichio della lama più della morte stessa, è l'attimo in cui la baionetta squarcia la pelle a far uscire di testa gli avversari, allora sono costretti a battere ritirata o nel peggiore dei casi ad arrendersi definitivamente. Nonostante la paura questi correvano in avanti, costretti forse dagli ordini dei superiori, forse dall'orgoglio, ad adempiere comunque al loro dovere da soldato. Tornavano numerosi e compatti, spinti dalla forza dei loro cannoni e dal muretto luccicavano le canne di almeno trenta fucili.

Pareva quasi commovente, il modo in cui spinti dal sentimento di solidarietà i soldati rimasti in trincea incitavano i compagni usciti allo scoperto. Gridavano "andiamo!" prima di tornare ad imbracciare la loro arma e continuare a sparare, augurandosi che una di quelle pallottole potesse colpire in fronte l'avversario che aveva appena fatto fuori il loro connazionale. Era divenuto quasi un gioco di spari e di bombe, tanto che Giovanni si sentì improvvisamente un verme, quando notò che il terrore che si annidava negli occhi dell'austriaco che aveva appena accoltellato era identico al suo. La battaglia pareva voler assumere proporzioni parecchio più vaste di quelle previste, ma un imprevisto venne improvvisamente a favore del fronte italiano, nonostante l'incertezza iniziale. Il gruppo di austriaci, coloro che prima si erano gettati valorosi tra le grinfie del nemico, coloro le quali armi ancora grondavano di sangue italico, alzarono improvvisamente le braccia verso il cielo buio. "Coraggio!" continuavano le grida assordanti dei fanti dalla trincea, forse ancora ignari di fronte a ciò che stava accadendo davanti ai compagni. Giovanni riuscì a sentire soltanto una volta fermatosi il dolore alla mano destra, delle fitte lancinanti ed una sostanza fredda e appiccicosa bagnare la pelle sporca, che già pareva infetta dopo aver camminato tra i cadaveri. Ma non volle distogliere lo sguardo dai compagni, il senso di vuoto che pareva aver colto ognuno di loro improvvisamente si sollevò dalle loro menti come un lenzuolo. Gli austriaci avanzavano nella loro direzione, erano circa una decina ed avevano depositato le armi.

Nei loro occhi le fiamme del terrore, le lacrime rigavano la pelle sporca e le braccia tese tremavano per lo sforzo. "Kamaraden!" gridavano già da qualche secondo, ma Giovanni si rese conto di aver sentito per la prima volta la vera voce del nemico soltanto in quel preciso momento. "Presto!" gridò poi il comandante, spingendo coloro che se ne stavano impalati a prendere nuovamente le armi ed a catturare velocemente i nemici che si stavano consegnando, non poco avviliti. Dalla trincea austriaca arrivò nuovamente una bomba, e Giovanni notò con la coda dell'occhio l'individuo che pareva averla appena scagliata tornare immediatamente al suo posto, come per proteggersi dall'esplosione. Infame, avrebbe voluto gridare, ma prima di tutto si dovevano mettere in sicurezza dagli uomini che si stavano consegnando, avrebbero dovuto gettar via le loro armi. La terra prese a tremare nuovamente, poi silenzio assordante, e nel capire che non ci sarebbe stata una nuova azione di artiglieria, gli uomini oramai prigionieri vennero per la prima volta spinti verso la trincea opposta. Anche la mitragliatrice fu recuperata, una volta mansueta la Schwarlohse venne immediatamente prelevata dal suo posto d'origine per essere portata poi in trincea. Tre uomini eseguirono le operazioni, mentre Giovanni, con movimenti quasi meccanici arrivò a gettarsi finalmente nel camminamento italico stanco e ferito. Non aveva visto Pietro, dopo lo scoppio della prima bomba lo aveva completamente perso, e si augurò che fosse tra coloro che erano tornati indietro.

Le lacrime presero a bagnare il suo viso, quando si accorse della ferita alla mano, da dove il sangue sgorgava copioso e non accennava a volersi fermare. Come se avesse potuto sentire il suo richiamo, vide il corpo magro e scosso di Pietro muoversi a tentoni nel buio della trincea, forse alla ricerca del compagno. Appena lo vide, infatti, gli occhi del ragazzo parvero illuminarsi di una gioia mai vista prima, si gettò immediatamente sul terreno ricco di fango; Giovanni osservò per qualche secondo il viso dell'altro, sporco di terra e polvere da sparo. Pietro si portò una mano sugli occhi, strofinando con forza la pelle già irritata, prima di sputacchiare per terra una, due volte. "Giovà!" gridò allora, nel riconoscere immediatamente il compagno, entrambi vivi e vegeti dovettero gettarsi uno al collo dell'altro. "Razza di cani" lo sentì mormorare, scosso ancora dalla paura, con le lacrime che minacciavano di solcare le guance di entrambi e forse confondersi. Giovanni ridacchiò, suo malgrado, mentre tirava su con il naso sentì l'odore pungente del sangue che aveva sporcato ancora di più la divisa di Pietro. Il ragazzo dovette notare il mozzarsi improvviso del suo respiro, perché immediatamente lo lasciò andare per osservarlo bene. "Sei ferito?" domandò, prima di afferrare immediatamente il polso magro di Giovanni, e notando la ferita ancora aperta prese a frugare dentro le tasche del pantalone quasi ridotto a brandelli. "Devo avere delle bende, da qualche parte" mormorò con fare frenetico, Giovanni prese a stringersi il polso, come a voler fermare il sangue che minacciava di renderlo ancora più debole del previsto. Quando Pietro premette forte con la benda arrotolata sulla ferita, strinse i denti e quasi volle staccarsi immediatamente dalla sua presa, "lo so" lo sentì mormorare.

"Ah! L'amor di Patria!" sentì improvvisamente il Tenente gracchiare, quasi commosso dall'eroismo dimostrato dai suoi fanti. Erano tornati in dodici, gli altri erano rimasti indietro, affondati dalla loro stessa forza, probabilmente i cadaveri non sarebbero mai stati recuperati. A loro sarebbe stata intitolata forse una lapide, al ritorno in Patria, oppure una misera preghiera di ricordo da parte dei compagni stessi. L'uomo andò a battere con forza una mano sulla spalla del comandante, colui che aveva accompagnato i fanti in quella spedizione pericolosissima e quasi senza alcuna speranza di riuscita. "E io che mi ero preparato per scrivere a tua madre, per comunicarle la morte di suo figlio" avrebbe detto la mattina dopo, mentre ancora si parlava delle eroiche gesta dei soldati sardi e non. "Fatica sprecata" aveva risposto allora il suo interlocutore, con un ghigno storto che gli adornava il volto, come a volersi quasi pavoneggiare di fronte all'assurdità di quella riuscita. Giovanni aveva aperto gli occhi proprio nel sentire quelle parole squarciare il silenzio delle prime ore del mattino, come al solito il sole era già alto nel cielo, pareva voler anticipare le ore di pioggia e freddo che gli sarebbero susseguite. Pietro non aveva parlato, quella mattina, aveva soltanto recuperato dell'acqua dalla borraccia quasi vuota di un compagno. Aveva tolto le bende dalla mano di Giovanni, per poi sciacquare nuovamente la ferita con l'acqua che in realtà pulita non era. Giovanni lo osservò per bene quella mattina, assicurandosi che l'amico non avesse riportato a sua volta ferite, prima di ringraziarlo sinceramente. Aveva posato la mano sana sulla sua spalla magra, guardando negli occhi di quel ragazzo che in poco tempo era divenuto la sua unica speranza di salvezza, sapendo che Pietro avrebbe riposto su di sé le stesse speranze.

Un ringraziamento velato, si disse, mentre le labbra di Pietro si allargavano per formare un timido sorriso. Il ragazzo tornò poi a sedersi accanto a Giovanni, posando finalmente il fucile sul terreno e abbandonandosi completamente alla stanchezza che lo costringeva a serrare gli occhi di tanto in tanto. I compagni manifestarono la propria approvazione con lo sguardo, a coloro che erano tornati vittoriosi, e Giovanni dovette stringere la mano ad alcuni di loro, quella ovviamente sana. Anche Pietro pareva abbastanza contento del riconoscimento ricevuto da parte dei compagni, quella sera un fante avrebbe imbracciato la chitarra, ed il suono delle corde oramai completamente usurate avrebbe riempito la trincea. Anche i superiori parvero lasciarsi andare ai festeggiamenti, se così si potevano definire, tra lo strimpellare del soldato e le bottiglie di cognac. Gli uomini fatti prigionieri avrebbero dovuto sopportare l'interrogatorio, perché il Tenente da loro avrebbe preteso di conoscere tutte le mosse avversarie, pena la fucilazione immediata. Probabilmente, aveva detto Pietro, sarebbero stati fucilati comunque, anche se avessero cantato quella stessa sera. Giovanni aveva annuito, mentre l'altro gli passava una sigaretta quasi consumata, tabacco scadente arrotolato dentro alla carta di giornale; probabilmente uno di quei quotidiani dove si cantava già vittoria. Ma i fanti sapevano che quella vittoria, per quanto agognata, non avrebbe riportato indietro i compagni deceduti su quelle montagne. 



Mille miglia | Vol. IIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora