XXXII

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Cagliari, 1910

Alla sera gli ultimi raggi del sole avevano preso ad illuminare, in maniera quasi sbilenca, le facciate delle abitazioni. Il quartiere pareva essersi già spento per la notte, nonostante questa tardasse ancora ad arrivare. Davanti ai portoni erano già state posizionare le sedie e gli sgabelli di legno. Le donne già sedevano su di essi e si riempivano le bocche di parole che, da quella distanza, Giovanni non avrebbe mai potuto comprendere. Erano le ultime giornate d'agosto, ed il passare di questo mese lo si riconosceva dai colori del cielo. Adesso tinto di un giallo vivace, quasi tendente al rosso, talvolta si colorava di rosa e di viola. Le leggere nuvole si spostavano pigramente in avanti, Giovanni sollevò il capo dalla lastra in pietra dove era seduto per osservarle. Dovette strizzare gli occhi più volte, cercando di mettere a fuoco quel movimento impercettibile. Il parlottare delle donne però continuava a catturare la sua attenzione. Sbuffò leggermente, per poi osservarle mentre prendevano posto sugli sgabelli. Anche la donna che lo aveva messo al mondo le aveva raggiunte, Maria Rosa sedeva sullo sgabello più basso, quello solitamente destinato ai bambini piccoli. L'ampia gonna dal tessuto scuro che indossava copriva le sue gambe fino alle caviglie sottili, mentre il busto era coperto da una semplice camicia color panna. I capelli scuri erano stati fermati prima dentro una treccia, tramutatasi poi in una crocchia alta. Giovanni sapeva che si sarebbe lamentata dei dolori alle ginocchia, una volta finita la conversazione a tarda notte e finalmente arrivato il momento di raggiungere la propria abitazione. 

I capelli scuri e scompigliati del ragazzo ricadevano a ciuffi bagnati dal sudore acre, a causa del lavoro nei campi, dove il sole continuava a battere feroce sopra alle teste dei lavoratori stanchi. Giovanni era il più giovane tra gli operai, aveva deciso di accettare quella proposta quando aveva capito che Melchiorre, in realtà, avrebbe tirato ancora per le lunghe la questione della paga settimanale. Gli pesava certo, non trovava un momento per stare in pace se non a tarda sera, quando gli veniva concesso di tornare a casa e di abbandonare finalmente ogni responsabilità legata al mondo degli adulti. Perso nei suoi pensieri osservò la sorella minore sgattaiolare fuori dalla porta alle sue spalle, inciampando quasi nel saltare dal gradino di ingresso alla strada, e dovette sorridere leggermente. La bambina stringeva tra le mani una bambola fatta di stracci, creata dalla madre in fretta e furia uno dei tanti pomeriggi d'estate, Giovanni osservò il groviglio di stoffa e si domandò come avesse fatto ad arrivare integro fino alla fine della stagione. Avrebbe voluto avere la sua stessa resilienza, si disse tra sé e sé, mentre la bambina continuava a strattonare l'ampia gonna della donna che l'aveva messa al mondo, domandando la sua attenzione in maniera quasi petulante. I capelli spettinati di Elena ricadevano tutti a ciuffi più o meno lunghi sulle sue spalle magre, scosse dai movimenti veloci, e Giovanni la richiamò a sé in maniera quasi impercettibile quando notò che aveva sciolto la treccia. "Elena" disse a voce alta, finché la bambina non puntò i suoi grandi occhi scuri nella direzione del fratello maggiore, il viso contratto in una smorfia; forse una tacita richiesta, quella di essere lasciata alle sue faccende. "Vieni, la aggiustiamo insieme" propose, e la bambina immediatamente lasciò la gonna della madre per andare ad accovacciarsi tra le gambe del fratello, dandogli così le spalle. 

"Il vestito si è rotto" sussurrò poi, voltandosi quel tanto che bastava per far vedere al fratello il dito che in maniera furba aveva sollevato contro alle sue stesse labbra. Giovanni ridacchiò, sollevando il viso velocemente verso Maria Rosa, che pareva però non essersi accorta minimamente della presenza di entrambi i figli. Giovanni tornò ad osservare il vestito che la sorella indossava, uno dei tanti cuciti dalla madre all'inizio dell'estate, effettivamente la bambina non si era sbagliata. Il tessuto presentava uno strappo quasi netto proprio sul fianco, dove la gonna e la maglia superiore si incontravano quasi alla perfezione, adesso le cuciture erano completamente lacerate. Scosse leggermente la testa, per poi infilare le dita tra i capelli pieni di nodi di Elena, che si lamentò quando questo prese a tirare indietro tutti i ciuffi, nel tentativo di raccoglierli almeno in una coda. "Mamma non lo sa, immagino" mormorò, parlando con la bambina come se fosse un adulta, mentre con le mani aveva preso a roteare i lunghi capelli per poi sollevarli sul capo. "No" disse semplicemente lei, sollevando le spalle magre e lasciando cadere a terra la bambola di stracci, in maniera quasi sbadata. "Vedi di non rompere anche quella" la ammonì immediatamente il maggiore, lasciando perdere i ciuffi scuri in quello che pareva piuttosto un nido abbandonato. Elena lo colpì con tutta la sua forza da bambina sul ginocchio destro, facendo oscillare la gamba del fratello per qualche secondo, per poi tornare ad accovacciarsi in silenzio. "Lo aggiusti tu!" esordì nuovamente, senza pensare troppo a ciò che stava dicendo e costringendo così il maggiore a sorridere e scuotere nuovamente il capo. "E' una cosa da donne" rispose, la bambina non dovette ribattere, probabilmente abbastanza soddisfatta della risposta tornò a concentrarsi sugli stracci.

Mille miglia | Vol. IIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora