Sei giorni dopo...
Il nemico pareva essersi annidato al di là del Bosco Cappuccio. Avendo già conquistato i boschi Lancia e Triangolare, una volta usciti dalla fitta boscaglia la vista poteva spaziare per le desolate distanze del Carso. Ci si poteva almeno fare una idea approssimativa delle zone occupate, e finalmente comprendere perché si veniva colpiti dalle mitragliatrici nemiche; le tattiche austriache erano sempre più creative ed impensabili, tanto che arrivarono ad indossare la divisa dei nemici morti per confondere i fanti avversari. Il bosco in un certo senso, pareva far sentire gli uomini al riparo, ma si rivelò ben presto anche una trappola ricca di pericoli ignoti, e una volta usciti dalla pineta gli uomini poterono tirare un sospiro di sollievo. Adesso, alla sinistra potevano osservare i San Michele, luogo di perdizione e morte per troppi connazionali, che riversavano ancora sul terreno rendendolo sanguinolento e puzzolente di morte. In lontananza, veramente lontana, si poteva scorgere la città di Trieste, che, anche se minuscola da quella distanza già si faceva sentire negli animi dei soldati.
Sul far dell'alba, le vedette notarono quelle macchioline azzurre, troppo lontane perché il tiro del fucile potesse raggiungerle. Ed incuriositi i fanti fecero di tutto per sollevarsi, per poter osservare al di là della protezione e scorgere quella vita nemica che pareva tanto, troppo diversa dalla loro. Gli austriaci parevano quasi dei fantocci, fermi in posizione com'erano, e Giovanni osservava da una feritoria scavata tra i sacchi ed il filo spinato. La terra di nessuno, poi, si ergeva di fronte a loro stracolma di cadaveri e di oggetti di dubbia provenienza, appartenenti ad entrambi gli schieramenti. Pietro, sempre al suo fianco, mormorò qualcosa, probabilmente una bestemmia, prima di tornare alla sua posizione di sempre, con il fucile stretto tra le mani e la testa coperta dalle ginocchia stanche. Giovanni si accorse soltanto allora di aver sentito per la prima volta quella bestemmia sibilata con rabbia uscire dalle labbra del compagno, mai prima d'allora Pietro aveva osato utilizzare parole di quel genere. La guerra avrebbe cambiato anche lui, gli avrebbe modellato e scolpito l'anima fino a renderlo impassibile davanti ad un cadavere e davanti al nome del Padre Eterno scagliato con veemenza.
Improvvisamente si accorse, che tutti i compagni morti, se questi avessero combattuto con abbastanza forza da sopravvivere sarebbero stati chiamati eroi, da coloro che gli avrebbero poi riaccompagnati a casa e da coloro che la guerra non l'avevano vissuta mai. Invece, perdendo la vita, sarebbero stati definiti soltanto vittime, forse della furia austriaca, delle cannonate e delle mitraglie; oppure degli ordini che arrivavano dall'alto. Lasciò perdere la feritoia, stanco di riempirsi gli occhi di quelle immagini raccapriccianti tornò ad occupare il suo posto, e la matita che aveva preso a temperare con la baionetta. Aveva sentito che alcuni soldati erano a conoscenza almeno delle regole base della scrittura, che addirittura alcuni di loro avevano una istruzione, come il generale Pirozzi. Perciò aveva recuperato una matita, l'aveva domandata ad un colonnello di cui aveva già scordato il nome, e per passare il tempo aveva preso a temperarla ogni volta che si sentiva particolarmente annoiato, per non darsi in pasto ai pensieri. Adesso la mina era completamente levigata, appuntita talmente tanto da provocare dolore alle dita che la toccavano leggermente, testandole la durezza e la resistenza. "Non ti sembra abbastanza appuntita?" aveva domandato improvvisamente un uomo che sedeva di fronte a lui, Giovanni aveva battuto le palpebre velocemente, come scosso dalla improvvisa interruzione dei pensieri. L'uomo stringeva tra le labbra una sigaretta, fatta con poco tabacco ed un foglio di carta strappata dal quotidiano risalente oramai a qualche giorno prima, l'unico rimasto in circolazione. Aveva sollevato le spalle magre, prima di accettare quella sigaretta stropicciata che l'uomo gli aveva allungato subito dopo, i fiammiferi gli aveva ancora dentro la tasca della giubba; perciò, se la portò immediatamente alle labbra.
Improvvisamente, dalle posizioni della Brigata Chieti, giunse rauco ed assordante il rimbombo del grido di "Savoia!", e gli uomini iniziarono a saltare fuori dai muretti. Le figure saltavano a turno, e poi correvano e correvano giù per le vallate, disperdendosi, chi a destra chi a sinistra, procedevano avanti con forza. Pareva però trattarsi soltanto di una prima ondata, perché subito dopo un'altra manciata di uomini replicò le stesse azioni, raggiungendo i compagni a passo svelto, i superiori senza fucili gesticolavano. Una volta arrivato alla loro via, al grido del Re i fanti si precipitarono a raccogliere le armi, per seguire i compagni fuori dalla trincea. Giovanni si domandò chi diavolo avesse dato quell'ordine, chi fosse l'artefice di tanta crudeltà nei loro confronti, perché una volta superato il muro di fango si sentì improvvisamente solo. A terra giacevano dimenticati i corpi dei soldati austriaci, che per la prima volta non parvero rispondere all'attacco, dalla loro trincea soltanto assordante silenzio. Giovanni ebbe un dubbio improvviso, che doveva per forza essere quello che era passato dentro alla mente degli stessi comandanti, e generali tutti; che gli austriaci gli stessero tendendo una trappola colossale. Perché quella zona pareva essere stata abbandonata?
"A noi, fortune simili, non ce n'è capitate!" mormorò qualcuno dietro di lui, una volta arrestata la corsa riuscirono ad osservare meglio i soldati nemici, che parevano fin troppo rilassati, al contrario. Dov'erano i comandi?
Furono storditi da un boato di tuono, la terra prese a tremare improvvisamente sotto ai loro piedi, lasciando i fanti totalmente spiazzati ed increduli. Ma no, questa è una bella giornata, al diavolo questa malinconia!
Non si vedeva più nulla di preciso, tutto appariva offuscato, Giovanni si portò immediatamente una mano sul volto, poi con fare preoccupato e nervoso prese a stringere tra le mani il fucile con la baionetta inserita. Puntandolo con fare tremolante verso il nemico che gli stava di fronte, non seppe precisare quanto tempo passò, quei minuti dovettero a tutti sembrare anni. Le esplosioni si fecero tardive, parevano quasi farsi sempre più lontane, ma Giovanni le sentiva appena rimbombare dentro la testa per via del battere frenetico del cuore che pareva voler abbandonare il petto. Il Carso aveva ancora sete, avrebbe detto Pietro più tardi, una volta tornati in trincea. Non si sarebbe fermato nemmeno se tutte le vene del Paese si fossero aperte su di esso.
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Mille miglia | Vol. II
Ficción histórica*Sequel di "Ignaro che ti sto facendo a pezzi"* Nella Sardegna del 1915, scossa dalla scelta interventista dell'Italia e dalle crisi interne all'Isola, Mario sarà costretto ad affrontare ciò che la famiglia ha tenuto per anni nascosto. Giovanni, par...