XXXIX

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Non sentiva più il frastuono della trincea, le voci dei compagni, gli spari degli austriaci. Gli occhi si erano fatti talmente pesanti da non permettergli di osservare il mondo circostante. Non sentiva più neanche la voce di Pietro, e quasi gli era mancata la sua stretta quando questo si era improvvisamente allontanato. Ma l'amico non poteva averlo abbandonato; Giovanni era sicuro che, se solo avesse trovato le forze necessarie per riaprire gli occhi, lo avrebbe visto proprio accanto a lui.
Ma quella pace non pareva portare niente di buono, quasi lo destabilizzata. Improvvisamente parve mancare la guerra, ed era quasi sicuro di non ricordare un mondo al di fuori di quella. Doveva essere per forza la morte, quella assenza di tutto, si sarebbe ritrovato tra non molto di fronte all'Altissimo.
Ci aveva pensato tante volte a quel momento, più di quante avrebbe osato ammettere a sé stesso. Temeva che questo avrebbe potuto giudicarlo, per tutti gli austriaci che aveva ammazzato con il suo fucile. Di molti a stento ricordava i visi, e di questo era stato grato alle circostanze, la sua coscienza non avrebbe retto. Ma era certo che Dio aveva osservato tutto, come sua madre gli aveva sempre raccontato. Sua madre, la donna che lo aveva messo al mondo non avrebbe mai saputo della sua morte. Se non settimane dopo, e con un misero pezzo di carta firmato da un altrettanto misero funzionario del Comune di Cagliari.
Magari gli avrebbe ritrovati tutti in paradiso, nemici compresi, si sarebbero stretti la mano e dall'alto del cielo avrebbero concordato sull'assurdità della guerra che loro stessi avevano combattuto. Oppure i dissapori sarebbero stati gli stessi, una barriera troppo grande da oltrepassare. Ciò che è nato dallo scoppio di un proiettile non potrà mai finire in altro modo, se non con lo scoppio di un'altra pallottola.

Gli pareva di aver quasi perso il controllo del suo stesso corpo, tanto che il tremare dello stesso lo sentiva appena. Ma percepiva il tessuto bagnato della divisa, il pulsare della spalla dolorante e l'odore acre del sangue. Doveva averne perso molto, perché l'aria si era fatta pesante e la mente offuscata. Pensò poi di essere quasi troppo lucido per trovarsi dinnanzi alla morte. Si ricordò di Mario, della promessa che l'amico gli aveva strappato prima di partire. Quella di tornare indietro apposto, possibilmente vivo e reggendosi sulle sue stesse gambe.
Ma si sentiva sempre più pesante, come se avesse ripreso a sentire il peso del suo stesso corpo. E la testa gli doleva talmente tanto da costringerlo a mugugnare leggermente, il primo verso che emetteva da quando aveva abbandonato definitivamente la trincea. Il suo ultimo pensiero non sarebbe quindi stato rivolto a Mario, ma certamente sarebbe stata una bella storia da raccontare. Un giorno, se solo fosse riuscito a tornare indietro.
Non udiva voci, ma lamenti continui, respiri irregolari, odori di corpi putrefatti e sangue vivo. Lo colpirono immediatamente, risvegliandolo da quel torpore, si accorse così di trovarsi sopra un mezzo in movimento. Doveva essere certamente un autocarro dello stesso esercito, a giudicare dall'andatura storta ed instabile. Ad ogni curva veniva spinto fino a toccare lo stesso fondo del mezzo, probabilmente dal compagno seduto accanto. Si disse che almeno era tra i fortunati, coloro che avevano avuto una seduta. Chi giaceva a terra, certamente si trovava in condizioni ben più gravi. Dai rantoli non poteva essere che così, si disse brevemente. Allora era stato ferito, certamente lo era stato, ma doveva essere un qualcosa di grosso. Se gli era stato permesso di abbandonare la prima linea, doveva certamente aver riportato una ferita abbastanza invalidante.
Per qualche secondo, si ritrovò a sperare che questa potesse tenerlo quanto più a lungo possibile lontano dalla trincea.

Una leggera fitta al costato lo fece immediatamente destare dai pensieri, e ritrovò quindi anche la forza di aprire gli occhi. Doveva trovarsi dentro ad un autocarro, dove gli uomini erano tanti e stipati contro le pareti del mezzo, senza alcuna possibilità di movimento. Sul pavimento giacevano in condizioni disperate uomini con ferite gravi. I volti quasi sfigurati grondavano di sangue, in alcuni casi erano stati tappezzati da garze oramai sporche, quasi inutilizzabili. Un ragazzo, con indosso un camice bianco, faceva del suo meglio per assistere i feriti. Ma il suo aiuto non bastava, perché tutti lo chiamavano e tiravano il suo camice bianco. Giovanni lo lasciò fare, rassegnato a dover attendere ancora fino all'arrivo. Quando gli venne passata una bottiglia di Cognac, dal compagno seduto accanto, non la rifiutò. Questo aveva riportato una ferita d'arma da fuoco sulla gamba sinistra, che non avrebbe potuto allungare per via dei corpi riversi a terra. Di tanto in tanto serrava gli occhi e stringeva i denti, il sangue scendeva copioso lungo la sua divisa, appiccicata alla carne viva.
Giovanni distolse immediatamente lo sguardo, e mandò giù il resto del Cognac direttamente dalla bottiglia. Il liquido bruciò la sua gola, e per qualche secondo parve attenuare il pulsare della ferita.

Mille miglia | Vol. IIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora