XXIII

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Il sale scendeva dagli occhi color del miele. Il ragazzo dai capelli spettinati si era lasciato scivolare contro alla parete spoglia, quella della stanza che fino a mesi prima abitava con il fratello maggiore. Rimasto solo in quella che si era abituato a definire "la sua casa", ma che mai aveva percepito come tale, adesso quasi sentiva che quella morsa che gli stringeva lo stomaco stesse per arrivare al cuore. L'organo vitale aveva preso a battere velocemente come se volesse vincere una gara, adesso lo sentiva pulsare persino agli angoli della testa, da dove le gocce di sudore acre scendevano rovinandosi contro le labbra screpolate. La bocca tremolante, dalla quale uscivano dei singhiozzi quasi strozzati, rilasciava il respiro mozzato dallo spavento e dal dolore. Mario portò immediatamente una mano lungo la fronte, quando sentì il vecchio portone venire chiuso nuovamente per la notte, un tonfo sordo che consacrò definitivamente la casa all'assenza di rumore. Non sapeva quale fosse il reale motivo dietro a quella pietosa sceneggiata, e ringraziò in parte il Signore per essersi almeno ritrovato ad essere il solo spettatore della stessa. 

Adesso Mario sentiva di aver perso tutto ciò che aveva di più caro. La famiglia pareva starsi sgretolando a poco a poco, piegata da una forza che pareva essere l'unico a non poter vedere, aveva perso il migliore amico di una vita, colui che in modo totalmente naturale riempiva le sue giornate, e non aveva la minima idea di che fine avesse fatto. Non aveva trovato il coraggio di presentarsi nemmeno una volta alla porta di quella casa che lo aveva accolto come se fosse la propria, per domandare se almeno coloro che lo avevano messo al mondo fossero venuti a conoscenza di qualcosa. Non aveva ricevuto alcuna comunicazione, nemmeno una lettera, ed era andato avanti ripetendosi le parole di Antonia come un mantra, "le notizie brutte arrivano sempre prima di quelle belle". Adesso anche Julia pareva volerlo destabilizzare ancora, la ragazza aveva forzato le sue labbra contro a quelle di Mario con prepotenza, quasi a volergli strappare quel briciolo di fanciullezza che ancora deteneva. Perché il ragazzo non lo aveva mai fatto prima, certo lo aveva immaginato, anche grazie ai racconti di Giovanni; ma prima di quella sera non si era mai avvicinato, di sua spontanea volontà, ad una ragazza. Raimondo gli avrebbe detto che le lacrime non portavano da nessuna parte, che piuttosto sarebbe stato più dignitoso soffrire in silenzio. Ingoiare il dolore fino a soffocarne lo avrebbe forse reso più debole, non avrebbe certamente alleviato la sofferenza, ma avrebbe almeno impedito agli altri di prendersene gioco

Erano più o meno state queste, le parole dell'anziano padre, in quell'afoso pomeriggio in cui si era ritrovato a dover fare da balia al figlio minore. Raimondo non aveva la minima idea di come si crescesse un bambino di quell'età, così se lo era portato dietro per le campagne, così da adempiere almeno per quelle poche ore al suo dovere di padre. Un dovere che calzava come una camicia troppo larga, che lo faceva sentire inadeguato, e non perché lui i figli non gli avesse voluti; semplicemente perché Mario, era così distante da lui da sentirlo quasi assente, delle volte. Mario sarebbe sicuramente cresciuto con il vuoto, sospeso tra i silenzi e le parole che avrebbe dovuto imparare a leggere nelle menti dei familiari, impossibilitato nel sentirle trapassare l'aria. E Mario il peso di quei silenzi lo sentiva ancora, aveva imparato che il tempo avrebbe soltanto potuto insabbiare le cose, come quando si tenta di nascondere la polvere sotto al tappeto senza lavarla via. Adesso il ragazzo aveva quasi smesso di piangere, ma soltanto perché il suo corpo pareva aver prosciugato tutti i liquidi, tanto da avvertire improvvisamente una sete impossibile da controllare. La gola si era fatta secca, quasi come se avesse camminato per ore sotto al sole cocente, costringendolo così ad alzarsi dal giaciglio che si era conquistato sul pavimento freddo. Mario quasi barcollava, l'andatura nonostante i pochi passi che lo separavano dal letto non era dritta, ciondolava trascinando il peso del corpo stanco ed affaticato. Poteva sentire nuovamente il respiro farsi affannoso, almeno fino a quando non si gettò faccia al materasso, impedendo così ai singhiozzi di continuare a scuotere il petto magro. 

Il materasso era vecchio e duro, le lenzuola e le coperte erano sgualcite e ormai non tenevano più il calore, perciò Mario non si mosse quando iniziò a sentire i brividi leggeri farsi avanti a scuotere il suo corpo. Era abituato lui, a sentire il freddo pungente delle mattinate d'inverno, ma adesso il suo corpo pareva essersi stancato di colpo, aveva incassato il dolore che gli aveva però prosciugato le forze. Provò a serrare le palpebre stanche, dalla finestra riusciva a vedere il cielo scuro illuminato soltanto parzialmente dalla luna, che si nascondeva a poco a poco dietro alle nuvole mosse dal leggero vento. Non aveva mai compreso, Mario, quale fosse il reale funzionamento di tutti quei corpi celesti, a malapena conosceva i loro nomi; a casa di Costantino non aveva mai trovato libri che parlassero di questo. Non sapeva che ore fossero, ma a giudicare dal vento che si era fatto sempre più forte, doveva essere tarda sera; la casa era piombata nuovamente nel silenzio, trascinandosi anche la sua mente appesantita. Il cuore non era leggero come lo era stato un tempo, e avrebbe fatto meglio a farsene una ragione; forse Raimondo non si era sbagliato, nell'abituarsi al dolore doveva esserci per forza qualcosa di corretto. Forse era stato lui a non rendersene conto prima, forse era stato Mario ad essere ancora troppo attaccato alla sua fanciullezza, il passaggio all'età adulta doveva essere per forza segnato dalla sofferenza.

Mille miglia | Vol. IIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora