XXXV

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L'orologio della cattedrale aveva appena annunciato lo scoccare delle ventidue. Giovanni aveva sollevato il viso verso la finestra della sua stanza, il quartiere era già immerso nel silenzio. Durante i primi giorni di novembre, Castello pareva svuotarsi improvvisamente. Gli stessi abitanti si trinceravano all'interno delle loro case, non si udivano più gli schiamazzi dei bambini per le vie, o le chiacchiere delle donne che si recavano al mercato. Si portò una mano tra i capelli scompigliati, tirando leggermente i ciuffi scuri. Era sempre stato particolarmente geloso dei suoi capelli, Giovanni, che aveva sempre evitato di tagliarli troppo. Da bambino Maria Rosa lo costringeva a stare seduto, mentre con ammirevole precisione gli acconciava la chioma scura. La donna lo rimproverava mentre con mani esperte eliminava i parassiti che infestavano la sua cute. Giovanni pareva beccare sempre i pidocchi, probabilmente da sua sorella minore. Da adulto, aveva promesso a sé stesso che non avrebbe più rasato completamente i capelli. Ma Maria Rosa, nonostante l'età, non aveva mai smesso di rimproverare il figlio.
Si voltò leggermente, quel tanto che bastava per recuperare le sigarette. Il suo unico vizio era quello di fumare, l'unico che poteva permettersi, nonostante tutto. Per recuperare il tabacco bastavano pochi soldi, spesso si era ritrovato a sistemarlo dentro alle pagine dei vecchi quotidiani. Si portò la sigaretta alle labbra, ma si accorse solo allora che la scatola dei fiammiferi era vuota.
Il suo era diventato quasi un movimento inconscio, cercava il tabacco anche quando non ne avvertiva veramente la necessità. Sospirò leggermente, voltandosi leggermente dal lato opposto. Il vecchio materasso che aveva recuperato per pochi soldi, che poggiava direttamente sul pavimento, era certamente troppo piccolo per ospitare due persone. Le lenzuola di cotone bianco, parte del corredo matrimoniale dei genitori, erano forse l'unica cosa di valore che possedeva. Non pensava spesso alla sua famiglia d'origine, non gli piaceva lasciarsi andare a sentimentalismi, ma era grato per tutto ciò che grazie a loro aveva. Adesso la stoffa era stropicciata, ma calda nonostante le basse temperature. Indossava un vecchio maglione scuro dalla lana infeltrita e pungente, sotto una maglia a maniche lunghe, anch'essa vecchia. Gli indumenti che indossava certamente non lo aiutavano a mantenere ottima la temperatura corporea, le dita tremavano leggermente per via del freddo. Anche le coperte usurate, ormai, non facevano più il loro dovere.

Il ragazzo che dormiva accanto a lui, invece, pareva sereno. Giovanni si voltò leggermente nella sua direzione, temendo di svegliarlo. Con movimenti lenti e controllati, stendendosi sul fianco si voltò completamente in direzione dell'altro. Una mano sotto al cuscino, e la sigaretta spenta abbandonata sul pavimento freddo. Mario respirava piano, il movimento era quasi impercettibile. Il viso era parzialmente nascosto dalle coperte, i ciuffi chiari andavano nelle direzioni più disparate, mentre gli occhi erano chiusi. I muscoli del viso parevano distesi, talmente rilassati da donare al ragazzo qualche anno in meno. Pareva quasi un bambino, osservò il maggiore, accucciato in quel modo. Er quasi normale, per Giovanni, voltarsi e ritrovare l'altro addormentato sul suo letto. La vulnerabilità della cosa, a volte, lo stupiva. Da addormentato chiunque deponeva completamente le armi, lasciandosi esposto a qualsiasi forma di violenza. Immerso nel silenzio della stanza, Giovanni avrebbe quasi potuto contare i respiri regolari del minore. Si domandò come mai ancora non si fosse svegliato, era certo che Mario potesse avvertirlo anche nel sonno. Era come se l'altro in qualche modo lo sentisse sempre, c'era un qualcosa all'interno dei loro corpi che pareva essere collegato. O forse risiedeva all'interno delle loro anime, pensò correggendosi. Giovanni non amava particolarmente abbandonarsi ai sentimenti, al contrario di Mario. Se lui era il braccio, allora Mario era certo che fosse il cuore. Perché Mario non era altro che l'anima, Giovanni avrebbe finito per desiderare almeno la metà del cuore dell'altro.
"Giovà" sentì la voce dell'altro, ancora impastata dal sonno. Lo vide portarsi una mano sulla fronte, scacciando i ciuffi che nuovamente ricaddero prepotenti. "Mh" rispose soltanto, ed era come se Mario avesse chiamato il suo nome da addormentato ancora. Come se in qualche modo il suo corpo avesse pensato a lui prima ancora che lo facesse il cervello. "Che-" iniziò, ma fu interrotto da uno sbadiglio, "che ore sono?".
"Le dieci e-" mormorò Giovanni, aggrottando la fronte per riordinare i pensieri. "Le dieci" confermò poi. Mario sbuffò sonoramente, carico di stanchezza, poi finalmente liberò il viso dalle coperte. Giovanni lo osservò, bagnato dalla leggera luce che arrivava dall'esterno, sollevare le braccia nude al soffitto.
Si domandò quando si fosse tolto la maglia che gli aveva prestato, e dovette esprimere quel pensiero ad alta voce, perché arrivò la risposta dell'altro. "Non lo so" confessò, "mentre dormivo" mormorò, tornando poi a coprirsi. Giovanni lo osservò voltarsi nella sua direzione e cercare una posizione comoda.

Adesso il viso di Mario era all'altezza del suo petto, il minore aveva nascosto nuovamente il naso sotto alle coperte. Giovanni sentiva il suo respiro in maniera nitida, poteva vedere le rughe di espressione attorno agli occhi serrati, le ciglia lunghe e chiare posarsi delicate sulla pelle. Pensò che Mario fosse tornato a dormire, che avesse nuovamente preso sonno, fino a quando non lo sentì parlare nuovamente. "Che hai?" domandò, nonostante il suo evidente stato di sonnolenza. Giovanni si beccò a sorridere leggermente, e sistemandosi nuovamente con la testa contro al cuscino, posò il mento sopra quella di Mario. I capelli dell'altro adesso gli solleticavano la pelle, ma non gli procuravano fastidio. Aveva un profumo insolito, Mario, o forse gli pareva così soltanto perché non ne aveva sentiti altri. Come i maglioni appena tirati fuori dall'armadio, dopo l'estate. "Non ho sonno" mormorò, "volevo fumare" confessò poi.
Mario aveva sempre detestato quel vizio, non sopportava l'odore pungente del tabacco. Diceva che lo invecchiava, che pareva strappargli di dosso qualsiasi cosa bella. Quando Giovanni lo aveva sentito, aveva capito finalmente di avere anche lui delle cose belle da offrire. Mario non mentiva, non era capace di farlo, gli si leggeva tutto negli occhi. Giovanni invece lo era, mentiva spudoratamente a chiunque senza preoccuparsi delle conseguenze. Soltanto non riusciva a farlo davanti al minore, lo avrebbe disarmato immediatamente.
Lo sentì sorridere leggermente, quasi vittorioso. "Mi dispiace" mormorò poi, e Giovanni immaginò che si stesse nuovamente addormentando. "Non devi" rispose, ma non riuscì a comprendere la risposta dell'altro.
"Tienimi sveglio" disse poi, tornando a posare la testa sul cuscino. Adesso Giovanni sentiva il suo respiro sulla fronte, "raccontami qualcosa". Il maggiore si sistemò meglio, portandosi le coperte fino al mento. "Che cosa? Non ho molte cose da raccontare" disse.
"Una bugia" disse poi Mario, come se avesse potuto leggere nel pensiero dell'altro. Giovanni sollevò un sopracciglio, poco convinto, "mi dai del bugiardo?" domandò. Lo sentì sorridere, lo avvertì ascoltando la sua voce, "soltanto la maggior parte delle volte" disse. "Così non pensi alle sigarette" aggiunse poi Mario, gli occhi ancora chiusi. Dal silenzio che seguì quell'ultima frase, Giovanni capì che stava realmente aspettando la sua bugia.

"D'accordo".

Mille miglia | Vol. IIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora