Parlami di te

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Bip... Bip... Bip...
È questo il suono che ha sempre rimbombato nella mia testa negli ultimi sei mesi, un suono dal ritmo sostenuto e che mi ha accompagnato nella lunga degenza al General Hospital di Londra. La mia nuova casa. L'unica dimora dove ho potuto essere al sicuro dopo quello che è successo. Dopo che la mia vita è precipitata in un abisso oscuro dal quale sto ancora facendo fatica a risalire.
Era una notte di dicembre. La neve stava cadendo in abbondanza quella sera e mia madre mi telefonò per avvisarmi di un'imminente tempesta che si sarebbe abbattuta di lì a poche ore. Sbuffando e sapendo che lei mi avrebbe dato il tormento finché non fossi rincasato, finii di bere il mio drink alla frutta, misi il giubbotto e lasciai il MagicRainbow: un locale non lontano da Hyde Park frequentato dalla comunità LGBTQ+ di Londra. Non stavo parlando con nessuno, non ne avevo voglia in quel momento, mi andava solo di stare in mezzo alla gente.
Appena fuori, venni avvicinato da un ragazzo molto alto, dinoccolato e avvolto in un lungo soprabito scuro. Strizzai gli occhi cercando di vedere bene il volto di quello che sarebbe diventato il mio aggressore. Ma la folta nevicata mi impedì di poterlo osservare con minuziosa precisione.
-Ragazzino! Non hai vergogna a uscire da un posto del genere?- biascicò alterato.
Era chiaro che fosse ubriaco. Lo superai facendo finta di non sentire i numerosi insulti che mi propinava alle spalle mentre acceleravo il passo per poterlo seminare. Ma lui mi restava dietro come un leone quando insegue la sua preda. In quel momento una sensazione di paura prese possesso di me e delle mie facoltà mentali; così tanto da farmi venire un vero e proprio attacco di panico.
Il ragazzo mi afferrò per le spalle, costringendomi a voltarmi nella sua direzione, urlando parole sconnesse e prive di un significato logico.
E da quell'istante, l'ultima cosa che ricordo è un dolore lancinante alla faccia e all'addome, poi il freddo e il buio che mi avvolgeva lentamente.

-Molto bene Anthony. Sono contenta che tu abbia deciso di raccontare cosa accadde quella notte. Se ricordo bene non eri molto incline a volerne parlare. Ti mettevi a piangere ogni volta che te lo chiedevo, ma ora guardati... hai fatto molti progressi in queste ultime sedute.- La dottoressa Hardin posa il taccuino sul mobile di fianco a se e mi osserva soddisfatta.
- In effetti mi sento più forte ultimamente- Ammetto. Quasi fiero.
-Stai svolgendo delle attività particolari? Mi avevi detto che eri interessato al nuoto.-
-Ho preso in considerazione quella disciplina, ma ho cambiato idea quando, una mattina, mi è venuta la brillante idea di correre- rido di me stesso. -Cosa che non avevo mai fatto.-
Annuisce. -E come ti sei sentito?-
Prendo un bel respiro e dico: -Libero... molto libero.-
-Questo mi fa molto piacere e spero che tu possa continuare a farlo anche nella nuova città.- Sgrana gli occhi e chiede: -Mi ricordi dove andrai con la tua famiglia?-
-A Sydney, in Australia!-
-È molto lontano.-
-Sì, ma è meglio così. Questa città, purtroppo, porta con se dei brutti ricordi. E non mi riferisco solo all'aggressione, ma a tutto quello che è successo nel corso dei miei diciassette anni: la morte di mia sorella, le delusioni d'amore e il rapporto conflittuale con i compagni di scuola.-
-Ti riferisci a quando sei stato vittima di bullismo?-
Annuisco.
La dottoressa si sistema gli occhiali sulla punta del naso e dice sorridendo: -Io sono certa che la tua nuova vita in Australia sarà migliore di quella che hai vissuto qui.-
-Lo spero molto dottoressa.-
È un'utopia che mi auguro si avveri. Non importa quanto tempo dovrà passare.

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