A scuola

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Sono ormai trascorsi dieci giorni dal nostro arrivo a Sydney. L'inizio è stato un pò difficoltoso, anche se facciamo ancora fatica ad ambientarci, specialmente con i vicini di casa che sembrano guardarci dall'alto in basso e poi, a volte, abbiamo delle difficoltà a relazionare e interagire con loro; sì, parlano inglese, ma usano un accento diverso dal nostro, sembra quasi gutturale.
-Svegli Anthony! È il primo giorno di scuola!- Ruth parla a voce alta dal corridoio.
Io mi alzo di malavoglia e immediatamente sento un certo nervosismo dentro di me che, a poco a poco, si trasforma in vera ansia.
Vado in bagno per darmi una rinfrescata e, guardandomi allo specchio, posso notare che ho delle occhiaie così scure da sembrare un vampiro o uno zombie. Ma nonostante questo provo a essere presentabile: sciacqui il volto prima con acqua fredda e poi con acqua calda, pettino i capelli in modo che non siano troppo nodosi o cespugliosi e lavo i denti almeno due volte.
-Sei pronto?- domanda lei da dietro la porta.
-Sì, ho fatto.-
Esco dal bagno e scendo le scale per andare a fare colazione. Mio padre si trova già seduto al tavolo, intento a bere un'enorme tazza di caffè fumante.
-Ecco il mio ragazzo!- esulta come suo solito.
-Ciao papà- saluto, dandogli un bacio sulla guancia.
-Pronto per il primo giorno di scuola?-
"NO". -Sì!- mento. Anche se è palese che sto dicendo una bugia.
-Vuoi che ti accompagni?-
Scuoto la testa. -Non serve, grazie.- Tengo la testa bassa, evitando di guardarlo in faccia.
-Sicuro?- incalza.
Prendo un respiro profondo. -Sicuro...-
Fa una smorfia rassegnata, ma non è del tutto convinto. -Va bene...-
-Però... ehm. Se vuoi potresti darmi un passaggio fino a metà strada.-
Thomas sorride. -D'accordo.-
-Fatto colazione pigroni?- domanda Ruth, scendendo con un cesto di biancheria sporca in mano.
-Sì, mia cara. Tra poco ci apprestiamo ad andare.-
-Bene.- Poi si rivolge a me: -Stai bene? Vuoi entrare oggi o preferisci aspettare un paio di giorni?-
-È tutto a posto mamma. Mi sento sicuro...- Invece ho un nodo allo stomaco così grosso da non essere in grado di mangiare nulla.
-Ok.- Ma non è convinta.
Dieci minuti più tardi, io e mio padre siamo già in macchina e mentre attraversiamo la città, lui ne approfitta per fare un pò della sana conversazione; io ascolto senza mai interrompere i suoi discorsi, al massimo mi permetto di annuire ed emettere suoni.
Giunti poco lontano dal liceo, mio padre mi domanda, per l'ennesima volta, se stessi bene. E ovviamente la mia risposta è sempre la stessa: -Sto bene. Non devi preoccuparti per me.-
Ma lui, non ancora convinto: -Se per caso ti servisse aiuto, chiama pure.-
Lo rassicuro e scendo dalla vettura.

Raggiunto il liceo, mi rendo conto che non è così grande come lo avevo visto la prima volta. Forse in quell'occasione sono stato distratto dalla presenza di mia madre che non ha fatto altro che parlare e parlare per tutto il tempo. L'edificio ricorda molto un dei tanti college che ci sono in Inghilterra. Fatto di mattoni rossi e ampie vetrate.
Osservo il fiume di ragazzi che si apprestano ad entrare e hanno tutti un look abbastanza stravagante, a differenza di me che sembro uscito da un film di terz'ordine.
Entro nell'edificio e la prima cosa che faccio e recarmi in segreteria per capire dove sia la mia aula. La donna che si trova dietro il bancone mi saluta con calore e, molto cordialmente, mi indica la strada giusta da seguire.
Faccio come dice e trovo la classe in fondo al corridoio. Appena varco la soglia trovo un gruppetto di ragazzi intenti a parlare tra loro, ma nessuno si accorge della mia presenza quando prendo posto nelle prime file di banchi.
Uno ad uno i ragazzi fanno il loro ingresso e tutti sembrano ignorarmi. "Meno male. Non avevo nessuna intenzione di fare presentazioni".
La campanella suona e tutti si mettono al loro posto e subito dopo fa capolino un insegnante piuttosto anziano, stempiato e dalla pelle biancastra. Ci osserva attentamente uno per uno ed esclama: -Buongiorno ragazzi e bentornati. Spero che le vostre vacanze siano state piacevoli. Vedo che ci sono delle facce nuove.- Osserva nella mia direzione. Si siede dietro la cattedra, posando il suo enorme registro e altri libri su di essa. -Cominciamo con l'appello...-
Bam... Bam... Bam...
Qualcuno bussa alla porta.
-Avanti!-
-Scusi il ritardo professore. Sa com'è quando la sveglia non suona.-
Non ci voglio credere a quello che sto vedendo. Resto paralizzato sulla sedia quando mi accorgo di chi ho davanti: è Josh. Che per l'occasione indossa una polo rossa e jeans corti. Ho il cuore che batte come un martello pneumatico, così tanto da avere il timore che possa esplodere da un momento all'altro.
-Partiamo male signor Walker. Ora si metta a sedere.-
-Certo...- Appena si accorge della mia presenza dice: -Oh, cazzo!-

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