13. La realtà

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Il rumore di alcuni passi che riecheggiarono lungo il corridoio la risvegliò di colpo.
Non sapeva quanto tempo era passato dai racconti di Saleem a quando aveva sgranato gli occhi ma dall'indolenzimento del collo, capì non fosse passato poco tempo.
«Arriva qualcuno» avvisò il vuoto, con voce ancora biascicante e roca per via della gola secca. Si issò in piedi nonostante le vertigini, per questo dovette tenersi aggrappata alle rocce della parete per non cadere.
«Arriva sempre qualcuno» credette di sentire in risposta, ma non ne fu certa dato la lentezza dei suoi sensi.
Si voltò con un cipiglio verso la provenienza della voce di Saleem.
Poi scosse lentamente il capo, come se avrebbe potuto spazzare via quella confusione e quel intontimento, e si mise in posizione di autodifesa. Essendo che non era più ammanettata, avrebbe potuto perlomeno contrattaccare se fossero arrivati per aprire la sua cella.
Il suo piano non era filato liscio, non doveva farsi rinchiudere in una gattabuia e a quel punto George avrebbe dovuto perlomeno ritrovarla. Ma anche se le cose non erano andate come previsto, non si sarebbe fatta torturare da due inutili fantocci.
In cuor suo sperò che i passi che sentiva avvicinarsi appartenessero a George che l'aveva finalmente trovata.
O forse... era Maicol? Se cosi fosse stato, faceva bene a mettersi in autodifesa. Dubitava che non le avrebbe fatto pagare ogni singolo chilometro che aveva fatto per ritornare lì.

Notò presto che chiunque stava percorrendo l'esterno, non era diretto verso di lei. Perché quei passi la superarono senza esitazioni, andando spediti oltre la sua cella. Lo scalpitare di quegli stivali avanzò e fu l'unico suono presente nel seminterrato.
Poco dopo, un rumore di chiavi tintinnò nell'aria stantia. Esse ruotarono nella toppa e appena quel suono placò, susseguirono tonfi ovattati da voci troppo basse per essere distinte o comprese chiaramente.
Rimase in allerta, raffinando l'udito per cercare di capire qualcosa dai pochi suoni che raggiungevano la sua posizione.

«Ecco. Cosi...da bravo» mormorò qualcuno con voce soddisfatta. Nel frattempo che stava mettendo insieme tutti i pezzi, sentì chiaramente un suono che Skye avrebbe sempre ricordato fin troppo bene.
Scattò in avanti, provando inutilmente ad aprire la maniglia della porta che come sospettava rimase inmobile.
«Co-cosa» si schiarì la voce improvvisamente ansimante, poi urlò verso quelle dannate rocce. «Bastardi! cosa gli state facendo?!» un altro tonfo le arrivò alle orecchie facendole formicolare tutta la pelle.
Ad ogni colpo che lui incassava il suo cuore reagiva di conseguenza, come se stessero prendendo a manganellate direttamente lei.
«Luridi pezzi di merda! ve la state prendendo con chi non può reagire?!» inveì, battendo ripetutamente i palmi contro all'acciaio che la divideva da tutti loro.
Se c'era una cosa che Skye odiava più di una prigione senza sole, erano le ingiustizie.
«Bambolina, ti conviene restartene buona se non vuoi fare la sua stessa fine. Non vorremmo mica già rovinare il tuo bel faccino» dal nomignolo suppose fosse la guardia che l'aveva imprigionata.
Gli stava servendo più di un motivo per odiarlo.
«Skye» l'ammonì severamente il suo superiore.
Nonostante si sentisse impotente come non mai, decise di non farsi abbattere da quello.
Doveva reagire. Trovare un modo per provocarli e deviare l'attenzione da lui. Si frizionò le braccia in cerca di un modo.
«Venite da me se ne avete il coraggio» minacciò a denti stretti, la sua voce non era mai stata cosi intimidatoria. Suppose che la sua tattica stava riuscendo perché sentì subito dopo Saleem dissuaderla. «Skye, diamine! Resta zitta!».
Quando sentì di nuovo le chiavi tintinnare e far scattare una serratura, Skye trasse un respiro di sollievo, sebbene per poco.
Sapeva che non avrebbe avuto molte possibilità di vincita, era esausta, affamata e soprattutto disarmata. Ma doveva perlomeno provarci. Avrebbe portato all'estremo ogni suo muscolo pur di liberare chi gli stava a cuore.
Lui non meritava di restare in quella prigione e aveva la costante brutta sensazione che fosse in parte colpevole della sua prigionia.

«Che teneri. Hai sentito Karim?! I due sembrano conoscersi molto bene» nel solo sentir pronunciare quel nome, sentì un'ondata di rabbia gelida travolgerla come una secchiata d'acqua.
Ancor prima che aprissero la sua cella, Skye conosceva bene il viso del soldato che le si palesò davanti.
Quando l'anta in acciaio si socchiuse lentamente, dapprima vide la guardia che l'aveva scortata in cella. Nel vederla ancora lì sghignazzò verso l'amico per ottenere man forte, non notando però che la faccia di Karim era diventata cerea come il lume di una candela.

REVENGEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora