8. Il suo centro di gravità

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Quando i quattro attraversarono il confine, il cuore di tutti batteva forte per l'adrenalina. Skye smaniosa continuava ad aprire e chiudere i palmi sudati delle mani, il respiro corto le rendeva impossibile incanalare abbastanza aria nei suoi polmoni.
Guardò l'amica alla sua sinistra, intravedeva chiaramente l'impugnatura della sua nuova arma fuoriuscire appena dalla tasca posteriore della tuta aderente che indossava, quella che gli aveva fornito Cami, la sorella di George. Era ancora strano per lei abituarsi ad una Koraline armata fino ai denti e con indosso delle vesti da combattimento.
Come se percepisse il suo sguardo, l'amica si voltò verso di lei e la tuta sembrò cambiare colore sotto al fascio di luce che attraversava i finestrini semi abbassati del veicolo. Gli occhi di lei sembrarono abbinarsi perfettamente con il tessuto. Colta in flagrante, si sforzò di regalarle un sorriso incoraggiante che vacillò.
In quel momento forse non era opportuno pensare che infondo la sua dama era troppo giovane per combattere quella guerra. Aveva pressappoco la stessa età di Finn e proprio come lui era un po' minuta sebbene avesse tutte le curve al posto giusto. Le labbra a forma di cuore assieme ai suoi grandi occhi blu le conferivano un'aspetto quasi angelico, sebbene ci fosse un netto contrasto tra i suoi capelli scuri e la sua pelle nivea, un colore insolito rispetto a quello abbronzato che quasi tutti sfoggiavano per il deserto circostante.
Notando il suo sguardo persistente, Koraline si corrucciò prima di chiederle premurosa «Tutto bene?» probabilmente le aveva posto quella domanda per via di tutta l'agitazione che Skye provava. Era diventata cosi palese da essere chiara a chiunque la guardasse?
No. Non stava bene. Avrebbe voluto rispondere. Stava costantemente ricacciando indietro lo smarrimento che precedeva un attacco di panico. Ripassò in mente il piano, sebbene non fosse molto rincuorante pensare che la loro unica speranza era quella di ritrovare intero e alla loro mercé un elicottero abbandonato, che per giunta non avevano neanche la certezza fosse ancora funzionante.

Erano spacciati ancora prima di iniziare e nessuno di loro sarebbe potuto più ritornare indietro. In più, la presenza di Cal e della sua dama la rendevano più vulnerabile, perché aveva più cose da proteggere e da non rischiare di perdere.

«Sì» mentì infine, cercando di essere perlomeno convincente.

L'amica annuì poco decisa e deviò lo sguardo riportandolo sulla strada che stavano percorrendo, come se da un momento all'altro si aspettasse che delle truppe nemiche saltassero fuori dal nulla e li facessero già prigionieri. Cosa non proprio cosi irrealistica d'altronde.
«Abbiamo da poco varcato il confine, come immaginavo non ci sono guardie a perlustrarlo» comunicò George con voce asciutta. Da quel momento in poi però non era escluso che ne avrebbero potute trovare lungo il loro cammino.
Guardò anche lei l'esterno, capendo perfettamente del perché non vi erano guardie. Chi decideva, di sua spontanea volontà per giunta, di addentrarsi in un territorio nemico in piena guerra?
«Come mai non ce ne sono?» chiese comunque Cal al suo fianco, guardava da lontano il deserto verso la quale si stavano dirigendo, il vento che scivolava dalla fessura dei finestrini lasciata un po' aperta andava incontro e scompigliava dolcemente i suoi capelli color sabbia, essi erano in perfetta armonia con le dune poco distanti.
Nonostante si percepisse nell'aria l'ansia e la preoccupazione per la riuscita del piano, il cuore di Skye rallentò fino a smettere di agitarsi quando vide l'enorme distesa desertica estendersi fino all'infinito.

Quando si era risvegliata fra le lenzuola bianche dell'ospedale di Dover, aveva seriamente dubitato di poter rivedere un domani di nuovo quello che definiva ormai casa sua. Invece, in un modo che le sembrava ancora surreale, Skye era ritornata nel suo deserto.

Il petto le si gonfiò pensando che qualsiasi cosa fosse successa da lì in poi, sarebbe avvenuta sotto al suo regno. Allo stesso cielo che sovrastava lei e il Re.
«Ci sono diverse ipotesi, una di queste è che hanno pochi alleati e di conseguenza un esercito mediocre. Oppure ne hanno persi molti durante la battaglia. La seconda ipotesi invece...è che a Maicol non interessa chi entra, ma è più interessato su chi esce» elencò pensieroso, Cal sul sedile del passeggero mormorò «Oppure nessuno di loro crede che delle persone sane di mente entrerebbero» e questo la diceva lunga su loro quattro.

REVENGEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora