I raggi dell'alba entrano dalle vetrate artistiche della camera, gettano sfumature pallide sul volto di Maissa. L'ancella è seduta a gambe incrociate sul letto a baldacchino e spacchetta il quaderno e i colori che provengono dal mercato di Piazza Obelisco, senza trattenere un sorriso che le arriva fino agli occhi.
Evianne le porge un pastello per convincerla a imbrattare il primo foglio con uno schizzo o con una semplice parola. «Potrai disegnare o scriverci sopra quello che vorrai, così avremo un modo tutto nostro per comunicare.»
Per troppo tempo Maissa ha subito le angherie e le continue offese della sorella, al punto da essersi dimenticata che la vita è bella, lo è ancora di più se la costelli con gesti di gentilezza e ti circondi d'affetto. Recupera il pastello, incredula che quel dono sia destinato proprio a lei, e inizia a tratteggiare una cornicetta di fiori sulla pagina bianca.
Mentre la guarda, Evianne combatte con una vocina avversa della coscienza. Parla tanto di gentilezza, ma il suo non è un gesto disinteressato. Ha scelto di aiutare Maissa anche perché spera di poter contare su di lei per chiudere in fretta la missione.
«Potresti provare a disegnare il volto del principe per me? Appartieni alla casata, quindi devi averlo visto. Kemala dice che ha il naso da caprone, ma credo mi stia soltanto prendendo in giro. Confermi?»
Il tempo di un secondo, un battito di ciglia, e un'aria di gelo si rannuvola tra di loro, avvolge Maissa, la trasforma in un blocco di pietra con dita troppo rigide per reggere il pastello. Il bastoncino colorato scivola dalla presa e si deposita nel centro del quaderno come un segnalibro.
«Va tutto bene?» Evianne prova a capire cosa le stia succedendo. «Maissa?» La chiama piano, la studia con delicatezza, come se gli occhi volessero sfiorarla.
Ma le sue parole non arrivano a destinazione. L'ancella fugge dal letto, gattona sulle mani, scivola sui talloni, le pupille dilatate di un animale impaurito, mette fine a quella corsa frenetica solo quando si rintana nel cantuccio più isolato della stanza. Da lì, ferma tra l'armadio e una poltrona, fissa il quaderno come se dalle pagine potesse uscire un mostro.
Possibile che una semplice domanda l'abbia spaventata tanto? Evianne cerca di rimediare. «Scherzavo. Se ho detto qualcosa di sbagliato... Io... Non devi fare nulla. Scusa.»
Non sa cosa dire per risolvere il guaio, e così si sente quasi sollevata appena Kemala entra senza preavviso nella stanza.
Vestita con la solita tunica azzurra, picchietta una scarpetta di seta turchese sulla soglia, con lo sguardo che fa la spola tra la straniera e la sorella. «Che è successo?» Studia Maissa, indecisa se spendere una parola in suo favore, ma cambia subito idea. «Dèi, che me ne frega? Io non perdo tempo con una storpia.»
«Kemala!» Evianne la supplica di tacere.
«Oh, ma sta' zitta!» Kemala si tuffa sul letto. «Allora? Non mi dici la novità?»
Evianne non ha nulla da dire.
«La Festa dei Mille Soli!» Kemala rilascia scintille di adrenalina pura. Come fa a sapere sempre tutto in anticipo? «Il principe l'ha autorizzata, e tu... Che ci fai ancora in vestaglia? Dobbiamo lavorare, andare dal tesoriere, pensare al vino. Forza!»
Un attimo dopo Evianne si trova spintonata fuori dalla stanza, senza avere modo di togliersi la vestaglia da notte e di indossare un abito decente. «Ma se iniziassimo con la colazione?»
«Non c'è tempo per queste frivolezze. Diciassette giorni! La festa cade il ventuno del Virgulto.» Gli occhi di Kemala sono sgranati, le mani si agitano. Quando parla danno enfasi a ogni frase, seguono il ritmo isterico della voce. «Riesci a capire cosa significhi soltanto diciassette giorni?»
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Una storia di ali e spilli
FantasyLe Bolle di Rovi e Rugiada sono nemiche per un motivo che con il tempo si è scordato. Omicidi, furti e agguati hanno generato una spirale di odio che non è mai sfociata in una guerra aperta, sebbene il terrore di uno scontro sia alle porte. Nella Bo...