25. La Festa dei Mille Soli

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Mese del Virgulto

Shadee odia la Festa dei Mille Soli. La sfilata che a Spinarupe ha portato alla morte di sua madre è ancora un incubo che lo tormenta quando è troppo stanco per alzare le barriere dell'inconscio. Decide di tenersi alla larga dai preparativi e cerca di non pensarci. Sa che sarà un evento splendido – di notte mille lanterne costelleranno la cittadina per donare al dio Zeme un giorno infinito –, ma dopo l'attentato a Spinarupe non riesce più a guardare quella festività con gli occhi di un bambino. Così, per cacciare i brutti ricordi, si butta a capofitto nella ricerca del fiore viola di cui gli ha parlato Chanti.

Anche quella notte si sono dati appuntamento alle serre. Shadee sfoglia un grande libro, le scapole che premono contro il tronco dell'arancio. Chanti riposa accanto a lui e di tanto in tanto lascia cadere la testa sulla sua spalla. È un'abitudine che ha sviluppato di recente, un gesto che si concede quando sono soli, come se sapesse che le regole della casata non lo consentono. Un tempo Shadee l'avrebbe rimproverata, ma adesso no: per un assurdo motivo che non ammetterebbe nemmeno sotto tortura, quel contatto è piacevole. La straniera profuma di cose buone, di natura e aria pura, riesce a fargli credere che nell'orizzonte del suo futuro non ci sia per lui soltanto tempesta.

Di quella loro inattesa vicinanza Shadee apprezza tutto, perfino gli attimi in cui gli stritola il braccio e punta il dito su una pagina perché crede di avere intravisto un indizio.

«È una prova!» strilla scuotendolo con foga. «Guarda, la coltivazione dell'aconito si concentra nella zona attorno a Spinarupe, presso le Dieci Messi.»

In effetti c'è qualcosa che odia delle loro serate: non sopporta quando accusa senza troppi veli la sua famiglia. «Non vuol dire niente. La mia casata non va in giro a uccidere innocenti.»

«La notte in cui sono morti i miei genitori, c'era un uomo che indossava un cappuccio di spilli.»

«Chiunque potrebbe nascondersi sotto un cappuccio.» Anche un finto erede al trono. «Non è una prova, non può essere una condanna.»

Chanti sbuffa in segno di rassegnazione e lui si sente un mostro. Non sta facendo queste ricerche per aiutarla. Le fa per dimostrare che la sua gente è innocente perché Shadee conosce quel fiore. Quando ha visto il disegno, qualcosa è scattato in lui come un ricordo incastrato in un cassetto della memoria che non riesce ad aprire completamente, però è lì, esiste, e tra sé e sé sa che non lo può ignorare. Cerca di ricordare con tutte le sue forze dove lo ha visto, a Spinarupe è innegabile, a Reggia Blu, l'unico posto che conosce come gli spilli del suo cappuccio. E poi? In un affresco, in un quadro, nella decorazione di una terracotta. Niente. Non ne viene a capo.

Chanti non lo deve sapere. Non vuole mentirle ma in fondo a che servirebbe aprire il vaso dei segreti? Soltanto a soffrire. La verità non le restituirà sua madre. "Come odiare i Secondi non ti restituirà la tua." Shadee si rifiuta di ascoltare quel suggerimento interiore.

Accanto a lui Chanti rilascia un respiro pesante che gli solletica la pelle sensibile del collo. «Guarda. Storia di un avvelenamento di mezza estate. Un tuo antenato, re Calao, ha sterminato un distretto di Secondi colpevoli di avere barato a dadi. Stando alla fonte, li ha avvelenati con dell'aconito sciolto nel vino e sulle tombe ha fatto incidere il fiore come avvertimento per i posteri.»

«È un aneddoto per tenere buoni i bambini» nega Shadee. «E poi il disegno è diverso.»

Chanti è troppo presa a sfogliare libri per accorgersi che sta boicottando ogni pista. Continua a sviarla anche nelle sere successive quando lei sviluppa una strana ossessione per i casi di scomparsa, soprattutto se le vittime sono bambini stranieri.

Una storia di ali e spilliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora