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Ho sognato di annegare nell'oceano.

C'era un'uomo, su uno scoglio. Mi guardava e mi tendeva una mano. Ma lui stava prendendo fuoco. Stava bruciando, e la sua pelle si stava carbonizzando. Li ho preso la mano, ma si è ridotta in cenere e sono affogata.

Mi alzo di scatto dal letto, e mi metto seduta.
Odio fare incubi.
I sogni sono qualcosa di affascinante, quindi perché non posso sognare i fiori? Oppure il mondo "bellissimo"?
No, sarebbe troppo semplice.
Devo sognare di affogare, oppure di bruciare viva. Come se la mia vita non fosse già un casino.

Metto le gambe fuori dal letto per scendere, mi alzo in piedi, ma mi lamento e zoppico avendo calpestato qualcosa.
Abbasso lo sguardo, sposto il piede, e a terra c'è un pezzo di roccia con un gessetto.
Afferro la roccia, e la osservo ad occhi spalancati.
C'è un disegno sopra.
Un disegno di un fiore.

Ha un gambo sottile, con delle piccole spine sopra. E poi ha dei bellissimi petali, che racchiudono il bocciolo.
E a fianco, c'è scritta la parola: "rosa" firmata con una "H"

Rosa, rosa come il colore. Questo fiore si chiama rosa? Forse perché i suoi petali sono rosa. Che nome originale. È come se chiamassi il sole "giallo" solo perché è giallo.

Chissà se tutti i fiori si chiamano con il colore che hanno. E se un fiore a più colori? I fiori possono avere più colori? E in quel caso come si chiamerebbero?

Chissà chissà chissà e chissà.

Il mio cuore inizia a battere quattrocento volte al secondo. Sono stata così presa dal fiore rosa che mi sono dimenticata un piccolo dettaglio: chi ha fatto questo disegno? E chi è "H"?

Stringo la roccia con il disegno al petto, e mi avvicino alla vetrata. Faccio passare un dito attraverso la finestrella e tocco la spalla della guardia. Lui si volta di scatto, mi sa che l'ho spaventato.

«Grazie.» Sussurro. «È bellissimo.»
Lui annuisce, e si volta.
«Si chiama rosa perché i suoi petali sono rosa?» Chiedo.
«I fiori possono avere più colori? E in quel caso come si chiamano?» Non aspetto neanche che mi risponda, che aggiungo un'altra domanda.
«Il tuo nome inizia con la H? Pensavo fossi l'unica.»

«Oddio, ma parli anche con i muri?» Sbotta voltandosi di nuovo verso di me.
«Pensavo che con quello saresti stata zitta, ma a quanto pare ho solo peggiorato le cose.»

«Allora? Puoi rispondere almeno ad una domanda?» Inclino la testa d'un lato, e aspetto.

«Dio... maledizione, Heaven» lo sento mormorare una decina di imprecazioni.
«I petali sono rossi, ma si chiama rosa.»

«Che cosa?» Sbotto alzando un po' troppo la voce.

«Cazzo, vuoi farci uccidere?» Ringhia con tono severo.

«Scusa» sussurro.
«Ma perché si chiama rosa se i petali sono rossi?» Lo guardo confusa.
«È come se chiamassi una roccia "verde" anche se è grigia.»

«Gesù...» Si passa una mano sulla maschera, e poi dice: «E io come faccio a saperlo? Non l'ho inventato io il nome.»

Mi guarda negli occhi, e so che in questo momento lui sta vedendo come sia il mio aspetto.
Vorrei chiederli di dirmi di che colore ho gli occhi, vorrei chiederli di descrivermi, ma decido di stare zitta.

Li ho già fatto troppe domande, e se gliene porgo altre mi conficca sicuramente un proiettile nel cranio. Ad H non piacciono le domande, a quanto pare. E se non ha intenzione di dirmi come si chiama, continuerò sul serio a chiamarlo H.

Vorrei che si togliesse la maschera.
Voglio vedere il suo volto.
Ma so che lo ucciderei.
Voglio mettermi ad urlare.

«I fiori non prendono il nome dal colore che hanno.» Dice lui. «E si, possono avere più colori.»

Lo guardo sorridendo, mi ha risposto alla domanda. Mi sta parlando dei fiori. Penso che in questo momento il mio cuore potrebbe scoppiare dalla felicità, e frantumarsi in miliardi di pezzettini. Potrebbe esplodere con la stessa potenza del big bang.
Sì, potrebbe proprio succedere.

«Il tuo nome inizia con la H? Come il mio?»

«Può darsi di sì. Come può darsi di no. Chi lo sa?»

«Avanti, altrimenti ti chiamerò H d'ora in poi.» Non so come sono finita a ricattare la mia guardia. Proprio non lo so.

«Vacci piano, fiorellino.» Si avvicina ancor di più alla vetrata, e si mette il fucile sulla spalla.
«Non dovresti prendere tanta confidenza con me. Posso ucciderti, lo sai?»

35000 sono le volte che sto sbattendo le palpebre.
497000 sono i battiti che ho al secondo.
22700 sono i respiri che sto prendendo.
17400 solo i pezzetti in cui il mio cuore si è frantumato.

È possibile che il detto "le farfalle nello stomaco" sia effettivamente vero?
Perché se è così le ho sentite.

Ma adesso non ci sono più.
Hanno preso fuoco, bruciando con una fiamma così potente da far riscaldare il mio intero corpo.
Sono bollente. Come se stessi prendendo fuoco da un momento all'altro. Come se fossi stata appena tradita dai miei stessi poteri, tradita dal mio stesso calore.

«Anch'io posso ucciderti.» Sono le uniche parole che mi escono, senza rischiare di rimanere soffocata con la mia stessa saliva.
Senza rischiare di affogare tra le mie stesse parole, e senza rischiare di bruciare come le farfalle che una volta erano nel mio stomaco.
Chissà di che colore erano prima di bruciare.
Chissà se erano rosa come la rosa rossa.

«Guardia FT04E, accompagni la signorina Heaven Glass al piano meno due.» Dice improvvisamente la voce metallica.
Faccio un salto in aria, e mi affretto a prendere la benda da terra.
«Signorina Heaven Glass, indossi la benda.»
Me la lego intorno alla testa, e vedo di nuovo tutto nero.

Ed ecco,
Ecco che non mi è concesso di nuovo vedere nulla, ed ecco che non posso più guardare.
Ormai ho pure imparato a muovermi nel buio senza cadere a terra, o prendere facciate contro un muro. Ho imparato ad orientarmi senza poter vedere, ho imparato a convivere con questa benda.

Ho imparato a convivere con qualcosa che non dovrei neanche indossare.
Ma devo, devo devo devo devo devo e devo.
Sono obbligata ad indossarla.
Perché non posso u̶c̶c̶i̶d̶e̶r̶e̶ guardare nessuno.

Non posso, anche se ogni tanto mi piacerebbe guardare qualcuno negli occhi senza farli p̶r̶e̶n̶d̶e̶r̶e̶ f̶u̶o̶c̶o̶ o̶g̶n̶i̶ p̶a̶r̶t̶e̶ d̶e̶l̶ c̶o̶r̶p̶o̶, f̶i̶n̶o̶ d̶i̶v̶e̶n̶t̶a̶r̶e̶ c̶e̶n̶e̶r̶e̶ m̶o̶r̶i̶r̶e̶ del male, e senza vederlo soffrire.

Mi piacerebbe perdermi nello sguardo di qualcuno.
Sì, proprio mi piacerebbe.

«Sai perché mi vogliono al piano meno due?» chiedo, anche se non dovrei.

Camminiamo lungo i corridoi, abbiamo svoltato così tante volte che ho perso il conto e il senso dell'orientamento. Se H mi lasciasse qui, non saprei come neanche come tornare alla mia c̶e̶l̶l̶a̶ stanza.

«No, non lo so.» Mormora così piano che solo io posso sentirlo.

Mi viene persino da pensare che me lo sia inventato. Che in realtà non abbia aperto bocca, e che le sue parole siano state solo uno scherzo della mia immaginazione.
Forse immaginare troppo mi farà impazzire.
Forse sono già pazza.
Chissà.

Magari questo è tutto un sogno. Magari ho una vita normale nel mondo "bellissimo", e questo è solo un'incubo. Proprio come quello in cui affogavo nell'oceano.

Magari sono in coma da chissà quanti anni, e per questo che non ricordo nulla. Dicono che le persone in coma sognano continuamente, che fanno sogni strani, e tutto questo è strano.
Chissà.

«Proprio non lo so...» Ripete.

Sono nella realtà.

𝑺𝑯𝑨𝑻𝑻𝑬(𝑹𝑬𝑫) -𝒾𝓃𝒻𝑒𝓇𝓃𝑜 𝑒 𝓅𝒶𝓇𝒶𝒹𝒾𝓈𝑜-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora