CAPITOLO 30

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Rosa era rimasta a Londra. Aveva diverse cose da sbrigare e un sacco di riunioni a cui presidiare. La situazione in medio oriente stava diventando sempre più bollente e lei doveva coordinare alcune operazioni preliminare di ricognizione.

Eppure, aveva la testa altrove. La faccenda del tesoro dei Catari l'aveva assorbita a tal punto che faticava a tenere alta la concentrazione.

Damiano stava facendo le sue veci in Consiglio, ma non avrebbe potuto procrastinare ancora per molto quella situazione.

Ma...

Si alzò dalla sedia e uscì dallo studio. Prese l'ascensore e scese al pian terreno, poi uscì per strada e prese a camminare lungo il Tamigi.

L'aria fresca la ritemprò.

Andò avanti per una decina di minuti la mente avvolta da un sacco di pensieri, non ultimo quello relativo alla strana telefonata che aveva ricevuto quella mattina.

«Rosa Santoro?»

«Con chi ho il piacere di parlare?»

«Non ci conosciamo. Mi chiamo Isabel Garcia e sono la donna che ha salvato il suo agente. Lapo Colonna.»

«Come ha fatto ad avere il numero?»

«Ho le mie risorse.»

«Cosa vuole?»

«Sapere dove si trova Colonna.»

«E perché mai dovrei dirglielo. Lei fa parte dell'Ordine di Santiago.»

«Non più ormai. Dovrebbero averglielo detto.»

«Sì, in effetti so qualcosa al riguardo.»

«Allora mi aiuta o no?»

«Non credo di potermi fidare di lei.»

«La capisco, ma dovrà farlo. Colonna ha il diario e sono convinta che insieme alla donna che era con lui stanno proseguendo le ricerche. Le ripeto, mi dica dove sono.»

«Non lo so.»

«Balle. Ascolti, non intendo intralciare le indagini se è questo che teme. Voglio proteggere il mio investimento, tutto qui.»

«Si spieghi meglio.»

«Voglio vendicarmi del Gran Maestro, ma per farlo ho bisogno che il suo uomo porti avanti la ricerca e ho buoni motivi per credere che i miei ex colleghi cavalieri desiderino il contrario. Colonna potrebbe essere in serio pericolo e ora come ora io sono l'unica in grado di aiutarlo.»

«Che garanzie ho che non sia una trappola?»

«Nessuna, deve fidarsi della mia parola. Allora, dove sono?»

Si era fidata. Qualcosa nella voce di quella donna l'aveva convinta che dicesse la verità.

Il rumore di un clacson la riportò alla realtà.

Si voltò e torno verso il palazzo grigio verde del SIS, sperando di aver fatto la scelta giusta.

***

Lapo si accorse della pistola prima ancora che l'uomo potesse alzare il braccio e puntarla su di loro. Agì d'impulso e si gettò su di lui. Caddero a terra, rovinando sopra una serie di attrezzi e facendo volare in aria alcune cornici appoggiate lì vicino. A quel punto afferrò con la mano il primo oggetto che trovò a disposizione e lo sferrò con tutta la sua forza sulla nuca dell'uomo.

Sentì un rumore sordo, un gemito e poi i muscoli che si rilassavano.

Si rialzò veloce, gettò il morsetto di ferro lontano da sé e si rivolse al vecchio bottegaio che lo guardava con un'espressione sbigottita dipinta sul volto. «Chiami la polizia! Dica che qualcuno ha cercato di rubare le cornici. Al resto penseremo noi» quindi si fiondò fuori seguito da Sofia.

Il secondo uomo era rimasto di piantone di fronte all'ingresso ma non fece in tempo a bloccarli. Lapo lo colpì allo stomaco con un pugno e proseguì la corsa con Sofia verso destra.

I ragazzi che stavano giocando sul selciato della piazza fermarono il pallone e si misero a osservare, divertiti, tutta la scena, come se fosse un piacevole diversivo. Incitarono anche i due fuggiaschi che nel frattempo si stavano dirigendo verso il lungolago.

Iniziò anche a piovere. Per fortuna via Canonica era abbastanza stretta e diverse persone erano ancora fuori, nonostante il temporale. Avrebbero quindi potuto facilmente trovare copertura durante la fuga. Ma non sarebbe durato a lungo.

Uno sparo.

Lapo spinse Sofia al riparo di una macchina. Alcune persone iniziarono a urlare.

Attese un attimo, poi «Per di qua!» le disse svoltando a sinistra ed entrando in via Roma, poi cambiò direzione prendendo subito a destra diretto verso piazza Feltrinelli.

Un altro sparo.

Si gettarono di nuovo dietro le macchine, ma non si fermarono. Il parcheggio non era lontano, ma se quell'imbecille avesse continuato a sparare prima o poi li avrebbe beccati e, nel peggiore dei casi, avrebbe ferito qualche passante.

Con il fiato corto sbucarono in fondo alla strada nel momento in cui udirono le sirene della polizia. Davanti a loro apparve una siepe, quasi al centro della strada, con in mezzo un grosso pino. Si fiondarono là dietro gettandosi a terra, al riparo del tronco.

Sofia tirò fuori la pistola e fece partire un colpo.

«Che stai facendo?» le disse facendole abbassare l'arma.

«Creo un diversivo. Quell'idiota finirà per ammazzare qualcuno.»

L'uomo si fermò, riparandosi dietro una macchina.

«Forza, dobbiamo andare, prima che la polizia chiuda tutte le strade.»

Ripresero la corsa. La macchina non era lontana, ma la pioggia rendeva tutto più complicato. Lapo si voltò indietro e vide che anche l'uomo aveva ricominciato l'inseguimento.

Attraversarono, muovendosi a zig-zag, la carreggiata e si portarono sul lato opposto. In caso di estrema necessità si sarebbero gettati sugli scogli al di là del muricciolo e avrebbero cercato un riparo di fortuna.

La pioggia continuava a cadere sempre più copiosa. Salirono sul marciapiede nel momento esatto in cui una moto nera sfrecciò sulla strada nella direzione opposta alla loro, mancandoli di un soffio.

Fu un attimo, poi sparì lungo la strada.

Lapo si voltò.

L'uomo che li stava inseguendo giaceva adesso riverso a terra in una posizione scomposta, al centro della strada. Sotto di lui, una grossa chiazza di sangue si stava spandendo come una macchia d'olio, trascinata dall'acqua che continuava a cadere incessantemente.

Continuarono a correre fino alla macchina. Una volta raggiunta salirono a bordo e si dileguarono sparendo nella cortina di pioggia.

I custodi del destinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora