CAPITOLO 46

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Lapo era sopraffatto dal peso di Correa. Non riusciva a muoversi e il dolore alla spalla non gli era certo di aiuto, anzi, si stava facendo sempre più acuto.

Una pulsazione simile a quella di mille aghi nella pelle. Anche la testa gli doleva, vicino alla tempia, nel punto dove aveva sbattuto quando era stato investito dalla furia dell'avversario.

Cercò di divincolarsi, ma non aveva margine di manovra. Era come lottare contro un muro di mattoni. Si ritrovò a pensare che, forse, sarebbe morto in quel modo.

Non aveva idee. Non sapeva cosa fare. Era sfinito e provava solo dolore in ogni parte del corpo.

In quel momento sentì che Correa iniziava a mettergli le mani intorno al collo cominciando a stringere la carotide con la chiara intenzione di soffocarlo.

Pareva una maschera di rabbia repressa. «Stavolta non ci sarà nessuno ad aiutarti, Colonna!»

Le parole gli giunsero ovattate, lontane, quasi non fossero nemmeno rivolte a lui. La vista si andava oscurando sempre più velocemente, mentre il suo corpo anelava ossigeno.

Iniziò a non distinguere più i contorni. Tutte divenne offuscato, come se fosse caduto in una sorta di limbo.

Poi udì un rumore, una specie di colpo lontano, sordo, metallico che ebbe il potere di riportarlo bruscamente al presente.

Nello stesso istante si rese conto che il corpo di Correa stava rotolando di lato allentando così la morsa sul collo e lasciandolo finalmente libero di respirare.

La vista riprese subito e allora vide Sofia, in piedi accanto a lui appoggiata alla scala. Evidentemente doveva averla usata per colpire Correa alla testa.

Le sorrise gettandole un muto ringraziamento, quindi cercò di rialzarsi, ma ancora una volta la sua reazione fu un tantino troppo lenta. Il suo avversario si era già rimesso in piedi.

Impugnata la pistola, la stava puntando verso Sofia.

In quel momento un lampo di luce illuminò la scena. Ci fu uno sparo, poi un urlo.

Correa si accasciò in ginocchio accanto a Lapo, stringendosi il fianco sinistro, straziato dal dolore. Poi, furente di rabbia, si rimise nuovamente in piedi. Si voltò nella direzione da cui era arrivato il proiettile che lo aveva appena colpito e, sparando alla cieca, svuotò il caricatore verso l'unica persona responsabile di tutto questo.

Nello stesso istante, sfruttando il fuoco di copertura, si gettò come un orso ferito verso il vano scale all'interno della torre sette, sparendo nell'oscurità.

***

Isabel non aveva esitato un istante a sparare spinta dalla rabbia e dalla voglia di vendetta. E questo era stato il suo errore.

La troppa fretta.

Non era riuscita a fare fuori Correa, però lo aveva ferito.

Adesso, al riparo di nuovo nella stanza sette, dietro al muro in cui era rotolato per ripararsi dagli spari, stava riprendendo fiato.

Aveva sentito un paio proiettili sibilare attraverso l'apertura della porta, mentre altri infrangersi sui muri con un rumore sordo.

E non si era mossa.

Correa si era fatto scudo per fuggire, ma non sarebbe andato molto lontano, non con quella brutta ferita.

Strinse i pugni.

Non voleva assolutamente dargli alcuna possibilità di svignarsela per cui si mosse rientrando nella stanza otto e dirigendosi all'imbocco della sala del trono.

Come aveva sospettato Correa non c'era più, ma nemmeno Lapo.

***

Nell'attimo in cui Correa era fuggito verso il vano scale, Colonna si era rimesso in piedi, aveva recuperato la pistola e si era gettato all'inseguimento. Adesso stava scendendo rapidamente la scala a chiocciola giù fino al piano inferiore.

Una volta arrivato, riprese fiato e si voltò intorno.

Nessuno.

Poi sentì un rumore provenire dalla sala attigua. Si mosse veloce puntando la torcia in avanti e qui lo vide, barcollante per la ferita al fianco, che tentava di entrare nella numero sei.

Sparò un colpo, poi un altro e un altro ancora avanzando nella sua direzione.

Il terzo andò a segno. Sentì un urlo e poi un tonfo.

I custodi del destinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora