Capitolo 2 - Sam

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I sei piani più interminabili di sempre! Per fortuna ormai ci siamo. Qualche rampa di scale fa ho proposto di chiamare l'ascensore per accelerare i tempi ed evitare altre scomode domande, ma lei mi ha dissuaso dicendo che non sapeva più a che piano fossimo e che era preferibile a quel punto cercare sulla porta il numero dell'appartamento, quindi abbiamo ricominciato a salire.

Avrei voluto farle notare che a qualsiasi piano fossimo in quel momento, digitando il sesto, l'ascensore ci avrebbe portati a destinazione, ma ho preferito lasciar correre: forse è tanto bella quanto poco perspicace...

È una ragazza bizzarra questa Tessa: sembra allegra e spavalda - pur se incline ad assurdi sproloqui -, ma colgo in lei uno stato di agitazione e non capisco cosa la innervosisca tanto.

Io, dal mio canto, sono teso e spazientito; voglio solo vedere questo maledetto appartamento e tornarmene in albergo.

Finalmente arriviamo al tanto agognato sesto piano.

Ci fermiamo davanti all'appartamento numero ventuno, lei apre la porta ed entriamo.

L'appartamento è spazioso ma lugubre, e la delusione m'innervosisce all'istante. I pavimenti di legno scuro e la carta da parati nelle tonalità del beige incupiscono l'ambiente e il mio umore. Detesto questo genere di finiture, ma del resto cosa mi aspettavo? L'edificio non è di recente costruzione ed era prevedibile che anche gli interni fossero un po' datati.

Forse per il resto avrebbe del potenziale, ma al momento non dispongo né della pazienza, né del desiderio di immaginarmi un modo per sentirla casa mia.

Tessa mi porta in tutte le stanze, apre le tende, fa entrare la luce. Osserva pensierosa l'arredamento e posso quasi vedere gli ingranaggi del suo cervello in movimento.

«Alcuni mobili vanno rimpiazzati, di certo lei non ha ottant'anni; anche se questa credenza in mogano la terrei: un pezzo antico in mezzo ad elementi moderni e minimalisti dà carattere alla stanza, non trova?», dichiara allegra. «Le tende invece le toglierei proprio, tanto a quest'altezza chi mai potrebbe sbirciare attraverso le finestre?».

Che diavolo sta dicendo? Non siamo mica sull'Empire State Building! Le tende restano. E più pesanti sono, meglio è.

È un vulcano di idee, alcune pratiche, altre stravaganti, e mi sorprendo ad ascoltarla, benché nulla in questo appartamento susciti in me il minimo interesse.

La sua voce allegra e vivace rende questo posto meno opprimente, ma resta il fatto che non potrei mai viverci.

La seguo senza proferire parola e, cogliendo forse la mia totale indifferenza, ad un tratto lei smette di parlare, poi con un timido sorriso comincia a richiudere balconi e tende.

Senza dubbio il mio atteggiamento è stato fin troppo esplicito e il messaggio è arrivato forte e chiaro; questa inutile visita è giunta al termine.

«Vuole che la lasci da solo a guardarsi un po' intorno? Posso aspettarla qui fuori se vuole dare un'occhiata per conto suo», azzarda poi, poco convinta.

«Non serve, grazie», rispondo avviandomi verso l'uscita, concedendole a malapena un sorriso di circostanza.

Usciamo dall'appartamento e mi dirigo verso l'ascensore, che per fortuna è libero.

La luce intensa del pianerottolo ha l'effetto di ridare aria ai miei polmoni. Osservo Tessa e mi dispiaccio all'istante per il mio comportamento. Vedo che è sulle spine. Non dev'essere facile avere a che fare tutti i giorni con persone intrattabili come mi sono dimostrato io oggi. In fin dei conti lei è stata gentile e paziente, a volte persino spassosa.

Quando aprendo una finestra, qualcosa le è svolazzato accanto, l'ho vista sussultare e sono sicuro abbia anche borbottato un "cazzo, vaffanculo". Non so come ho fatto a trattenermi dal ridere, ma ho preferito mantenere un atteggiamento distaccato. Deve proprio odiarli gli insetti!

Tutto sommato è una ragazza simpatica, buffa nelle sue stranezze e sebbene io sia al momento poco incline alla socializzazione, devo ammettere che questo breve contatto umano è stato piacevole, quasi rassicurante. Voglio credere sia vicino il giorno in cui la rabbia e la frustrazione che hanno ingabbiato il mio innato ottimismo lasceranno spazio al coraggio di affrontare il mio futuro con uno spirito diverso.

Anche se è avvilente il fatto che un primo pensiero positivo se ne esca dopo che ho permesso al mio perenne malumore di trattare con sufficienza e scortesia questa ragazza, la cui unica colpa è stata quella di imbattersi nel mio cammino e alla quale non chiederò nemmeno scusa per il mio comportamento da perfetto stronzo.

Sarà stato uno sforzo non indifferente trattenersi dal mandarmi al diavolo, eppure il suo modo di sorridere appariva davvero sincero. Ho avuto la sensazione che potesse persino comprendere il mio stato d'animo e che il suo alzare bandiera bianca e richiudere le imposte fossero un silenzioso messaggio che mi diceva "Ehi, non c'è problema, troveremo il posto giusto per te".

Vorrei poterle dire che mi dispiace, che non sono lo stronzo che sembro, ma che sono costretto a vivere in questi panni perché i miei mi sono stati sottratti. Anche se, in realtà, me ne sono privato per mia scelta.

E invece non le dirò niente.

La ringrazierò, la saluterò e ci lasceremo alle spalle questa breve parentesi di parole non dette.

Spero solo che lei possa percepire le mie mute scuse almeno quanto io avverto l'eco impietoso del più meritato "vaffanculo" della storia.

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