Capitolo 29 - Tessa

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Oggi è il turno di "Casa Clive".

Le prime due erano davvero belle, anche se io sceglierei senza dubbio la prima. Certo, non posso esprimere in maniera troppo diretta la mia opinione, per non influenzarlo. Tra l'altro non conosco Claire, né suo marito, né i ragazzi, quindi non posso sapere se preferirebbero vivere come entomologi a "Casa Chad" piuttosto che in una zona residenziale.

Ho comunque scoperto che, a tempo perso, Jason si rilassa trafficando con la sua auto ed ecco spiegata l'importanza della fossa nel garage. Claire invece non si diletta affatto di sartoria, quindi ancora mi sfugge l'esigenza di una stanza da adibire a tale scopo.

All'inizio ero convinta che la proprietà di oggi avrebbe potuto essere la soluzione perfetta, ma ora che so che ci dovranno vivere in cinque, "Casa Richard" vince a mani basse. Non capisco le perplessità di Sam, anche se concordo che più abitazioni vedrà, più ponderata sarà la sua scelta.


Finalmente libera di ascoltare il mio cuore, sto adorando ogni istante che trascorro con lui ed è per me uno sforzo terribile trattenermi dal toccarlo, dal cercare le sue mani, il suo calore, la sua bocca. Colgo i suoi sguardi, sento nei suoi silenzi i pensieri che si sforza di tacermi. Siamo sempre io e lui, col nostro muto linguaggio, che scorre limpido e impetuoso quanto un fiume di parole.

Ci aggiriamo nei sentieri di questa nostra incredibile storia come due turisti ubriachi che tentano di rientrare in albergo, dopo una serata di bagordi: siamo in una città sconosciuta, frastornati dalle luci e dal caos, e gironzoliamo senza fretta per le vie, mano nella mano, perdendoci in mille direzioni sbagliate, ma decisi a ritrovare la strada giusta.


«Quindi l'unico "Clive" che cucca è Clive Owen?», domanda Sam, lasciando vagare un interesse distratto nell'ingresso appena varcato.

«Io mi farei cuccare solo da lui», confermo.

«Come Clive non sarei tanto male neanch'io, però», mi stuzzica. «Ricordo con chiarezza che il giorno che ci siamo incontrati mi hai definito un "figo da paura"».

«Era "bello da togliere il fiato"», puntualizzo. «E comunque ero sotto shock per via dell'ascensore».

«Quindi, in quel momento, avresti trovato irresistibile anche il Clive che lavora nella tavola calda vicina al tuo ufficio», desume con tono provocatorio. «L'avresti baciato con trasporto e passione, nonostante i suoi capelli sembrino reduci da un ammollo nella friggitrice».

«È vero! Si chiama Clive!», realizzo. «Vedi? È come dico io: assolutamente improponibile. Non potrei mai baciare un Clive».

Alla sua espressione scettica mi avvicino con passo lento e sinuoso, sogghignando e impostando una voce seducente: «Baciami, Clive», mormoro. «Prendimi su questo tappeto persiano e fammi gridare il tuo nome», recito a un soffio dalle sue labbra.

È come tornare indietro nel tempo, a quando lo pungolavo senza vergogna, né paura.

L'unico modo che conosco per avvicinarmi a lui è fingere un gioco che in fondo non mi diverte, che traveste di spavalderia la mia insicurezza e il mio timore di venire rifiutata, ma che mi fa sentire un po' stupida, e disonesta.

Le parole strascicate dalla voce arrochita, il mio sguardo acceso da un'audacia in realtà forzata, la sua vicinanza, sono dita che stringono la gola.

La mano di Sam mi accarezza il fianco e mi attira a sé, lento ma deciso. Il mio corpo aderisce al suo neanche fossi un abito su misura confezionato dal suo sarto di fiducia. Accosta le labbra al mio orecchio e sussurra: «Griderai, te lo prometto, e il suono che uscirà dalla tua bocca sarà il più eccitante che le tue stesse orecchie potranno mai udire». Mi sfiora il collo con le labbra, risale e cerca i miei occhi, pronto a cogliere ogni mia emozione:

«A me non è parso affatto male», dichiara, al limite dell'insolenza.

Sono senza fiato. Io. Lui invece mantiene un irritante aplomb, tradito in parte da un lampo di sfida che non sfugge al mio radar. Vorrei strozzarlo.

Mi sforzo di non deglutire, ma l'alternativa è soffocare, quindi cedo e al contrarsi della mia gola, leggo nel suo volto puro compiacimento. Stronzo.

«Secondo me la tua teoria è del tutto priva di fondamento», insiste, facendo spallucce.

«Pensala come vuoi, io non bacerò mai un Clive», mi impunto, risentita. Mi sono sciolta come un panetto di burro dimenticato sul ripiano della cucina, il cuore impazzito, i polmoni in agonia, e LUI riflette sul fondamento delle mie inutili stronzate?

Ignorando il broncio che mi incupisce il viso, continua:

«Beh, se la cosa può tranquillizzarti, non sarà questo Clive a far vacillare le tue convinzioni», indica se stesso. «Uno in meno di cui preoccuparti», mi rassicura, quasi complice, ma non abbastanza scaltro da nascondere la sottile provocazione.

«In che senso?», indago sospettosa.

«Nel senso che qui a Greywood ti resteranno... quanti? A occhio e croce, una decina di Clive da cui stare alla larga. E io non sono uno di quelli. Non proverò a baciarti», ammicca.

«Bene, è un sollievo sentirtelo dire».

«Lo so».

«Non che non avrei saputo resistere, sia chiaro; ma meno la facciamo complicata meglio è».

«Sono d'accordo con te».

Sono infastidita dalla sua pacata condiscendenza, che non riesco a stabilire se sia genuina o finalizzata a suscitare una mia reazione.

«Sai, non credevo saresti stato così tanto d'accordo...», non riesco a trattenermi.

«Ho imparato la lezione».

«Quale lezione?».

La smorfia che si stampa in faccia non ha bisogno di molte parole: è un'insegna al neon che declama "Mi stai prendendo in giro?".

«Non ti voglio lontana da me», si premura tuttavia di precisare.

«Non è che io mi allontano...», annaspo, in cerca di uno specchio poco scivoloso su cui arrampicarmi. «Sono sempre lì, ma mi prendo del tempo per ponderare le cose da una prospettiva distaccata», blatero, conscia di non risultare né credibile, né convincente.

«Il che dimostra la mia lungimiranza nel volermi togliere dai giochi: quando ponderi sei più imprevedibile di quando agisci senza riflettere», ribatte.

«Potrei offendermi per la scarsa considerazione che hai delle mie riflessioni», gli faccio notare.

«Se arrivano su un treno espresso da Follilandia, un po' mi preoccupo», si giustifica.

«Ti ricordo che tu ti fai dare consigli da Peter Pan», lo attacco.

«Me lo rinfaccerai a vita, vero?», scuote la testa, rassegnato. «Quando saremo vecchi, lo racconterai persino ai nostri nipoti!».

Che?

Accoglie la mia espressione meravigliata e affonda, incastrandomi in uno sguardo dal quale non posso scappare:

«È così che andrà, Tessa. Noi avremo un sacco di fantastici nipotini. Io costruirò loro una casa sull'albero e tu inchioderai delle zanzariere ai fori delle finestre perché possano giocarci in serenità e sicurezza».

Voglio baciare il suo sorriso, farmi forte delle sue certezze e passare dal ferramenta a comprare assi di legno, chiodi e martello.

«Non potrei mai riprodurmi con un Clive», cerco di alleggerire il peso enorme delle sue parole.

«E con un Matt?».

Cazzo. Colpita e affondata.

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