Capitolo 3 - Tessa

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Sono fregata. Fregata alla grande. Non ho scampo.

Non posso mollarlo all'ascensore, nemmeno se mi invento la migliore delle scuse. Non mi è sembrato granché colpito dall'appartamento, quindi devo sfruttare ogni secondo che mi resta per proporgli delle alternative, capire cosa cerchi, fissare un altro incontro... Se lo pianto qua adesso non lo rivedo più. Anche se, a dirla tutta, non vedo l'ora che vada a deliziare qualcun altro con il suo umore di merda.

Oddio, non posso credere che sto per entrare dentro questo maledetto sarcofago!

Poi con questo qua che, per carità, sarà anche bello, ma è socievole quanto una panchina.

Potrei fingere di ricevere una telefonata! Sperando però che nessuno mi chiami mentre parlo ad un telefono muto. Oppure potrei...

DIN!

Troppo lenta Tessa. Perfetto.

Ok, ce la posso fare. Sono un'adulta, dannazione! Con una dignità da difendere! E un cuore prossimo all'infarto.

Sfoggio il peggior sorriso di sempre e salgo.

Le porte si chiudono e così il mio stomaco.

Se questo qui parlasse, magari, mi distrarrebbe! Ma è muto come un prete in un bordello.

I miei occhi sono fissi sui numeri dei piani che gradualmente, e lentamente! scorrono a ritroso: 6... 5... Eccheppalle! Chi c'è, una nonna di ottant'anni con la carrucola a muovere questo bidone? 4... 3... 3... Ok! 3! Abbiamo capito, e quindi? Ce la diamo o no una mossa?! 3... 3... DIN!

Niente panico, è solo un'allucinazione: non si è davvero fermato.

Guardo il mio accompagnatore, poi il pulsante del terzo piano che lampeggia minaccioso. Guardo di nuovo il responsabile della mia sventura, che sembra stia schiacciando un pisolino.

Cosa ne dici di una reazione?! Ma sei vivo?

Gli stritolo un braccio e solo allora realizza che siamo fermi.

«Cosa succede? Si è fermato?», chiede sussultando alla mia stretta da cobra constrictor.

Ma allora non sei un dottore! Sei la progenie di Einstein, cazzo!

Ci provo, giuro che ci provo a trattenermi dal dare libero sfogo ai turpiloqui che urlano nella mia testa, ma il panico è panico. Mollo a terra la borsa e mi tolgo le scarpe. Non respiro. Sento il viso avvampare e gli occhi che raggiungono il doppio della loro normale circonferenza.

«No, no, no, cazzo, no! Non è vero, cazzo, no! Ecco, lo sapevo! Ma perché ci sono salita? Cretina, deficiente! E adesso? Oddio, ti prego, riparti!».

Lui mi guarda turbato:

«Sei claustrofobica?», mi chiede, fissando i suoi incredibili occhi nei miei.

No, ma figurati... Claustrofobica chi? È solo che mi piace improvvisare reazioni atipiche affinché i nuovi clienti si ricordino di me e dell'agenzia. Lauren ne va matta!

Non rispondo, pietrificata nel mio terrore.

«Vedrai che riparte subito», afferma pacato. Ostenta una compostezza quasi innaturale e non mi è chiaro se il suo intento sia rasserenarmi o ridicolizzare la mia reazione.

«Non preoccuparti, non sei da sola, ci sono io. Guardami, Tessa».

E questa da dove gli è uscita?

Mi rivolge uno sguardo incoraggiante. I suoi occhi verdi e luminosi, finora offuscati dal più nero degli umori, catturano la mia attenzione per l'inaspettata premura che trasmettono e che regalano al suo viso la dolcezza che merita.

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