Capitolo 18 - Sam

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Tutto di me la sente: la mia bocca si riempie del suo sapore, le mie mani alimentano il calore del suo corpo, il suo profumo annebbia i miei sensi, che si lasciano avvolgere e travolgere da lei. Il cuore freme e scalpita, una corsa folle, fuori controllo; in totale antitesi con la lentezza dei gesti che ci guidano l'uno alla scoperta dell'altra, liberi per una volta dalle catene di un autocontrollo in cui noi stessi ci siamo imprigionati. Vorrei fermare il tempo, goderne illimitatamente; vorrei che questo momento reclamasse a gran voce il diritto di essere stato vissuto, senza essere declassato a "follia".

È la nostra occasione per lasciar parlare le emozioni taciute e allontanate; sarà la nostra notte, e la vivremo in ogni attimo, fino a quando ci dovremo arrendere all'alba del nuovo giorno.

La sento, la respiro, l'accarezzo; i suoi capelli color del miele scorrono tra le mie dita e scivolano sotto i miei palmi.

Le sue mani affondano nei miei, ormai lunghi, e mi sfiorano il viso, indugiando su quel velo di barba incolta che le piace tanto. Le labbra si cercano, il sentimento e la passione si nutrono a vicenda, in un impeto crescente che vince ogni residua esitazione.

Si sfila la maglietta e scoprire che sotto non ha nient'altro mi serra la gola, mentre osservo rapito la bellezza del suo corpo a un soffio dal mio. Mi guarda e l'oro liquido dei suoi occhi accesi è un invito ad assecondarla. Solleva la mia maglia e mormora:

«Voglio sentire la tua pelle sulla mia».

Forse eri un po' troppo ottimista nel prospettarla una "lunga" notte, vero?

La pressione del suo seno contro il mio petto strappa ad entrambi un lieve gemito, come se avessimo ottenuto l'accesso alla dose di ossigeno che ci era stata sottratta. Un contatto che scatena l'urgenza di poter sentire di più, di poter unire e fondere il desiderio che brucia sotto i pochi centimetri di tessuto che ancora separa i nostri corpi. Il respiro corre veloce, per poi spezzarsi quando le mani di Tessa agganciano i miei pantaloni e li fanno scivolare via.

Avvolge una gamba sul mio fianco e ad un tratto quel fazzoletto di tessuto che le rimane addosso è l'unico ostacolo tra noi.

Continuo a baciarla, ad ammirare l'ambra incandescente dei suoi occhi che, pezzo dopo pezzo, abbattono ogni mio tentativo di rallentare, e quando mi sussurra all'orecchio di togliere di mezzo anche la sua biancheria non me lo faccio ripetere, ormai incapace di trattenermi dall'esigenza di sentirla completamente mia.

Realizzo in un momento di orrore e sconforto di non avere preservativi:

«Tessa, dobbiamo fermarci e dobbiamo farlo adesso».

Mi guarda confusa.

«Non sono... "equipaggiato", per usare un termine tuo», mi scuso, frustrato oltre ogni immaginazione.

«Non serve, Sam. Non l'avrei voluto comunque tra di noi. È la nostra notte: niente barriere, di nessun tipo».

Le sue parole sono una scarica elettrica che mi percorre dalla testa ai piedi. Non c'è niente al mondo che vorrei di più, ma non mi sento di lasciare all'incoscienza la responsabilità di una simile decisione.

«Tessa, forse dovremmo prenderci un attimo... È una cosa importante...», rifletto in qualche modo.

«Tu sei importante. Comunque andrà a finire, so che sei l'unico a cui potrei concedermi in questo modo. Il sesso non c'entra: tu mi vuoi bene, mi rispetti, ci tieni davvero a me. Con quanti altri uomini potrò avere la stessa certezza?».

«Quali altri uomini?», la rimprovero semiserio, determinato più che mai a sbaragliare ogni eventuale, futuro contendente.

«Comunque andrà, voglio che sia tu. Ne abbiamo già parlato: siamo entrambi a posto, non è un gesto avventato. Voglio sentirti, Sam. E voglio che tu senta me, senza inganni, senza timori; con tutto ciò che abbiamo».

La attiro sopra di me e quando il suo bacino preme contro il mio un altro gemito mi graffia la gola. Mi passa una mano dietro la nuca e attira la mia bocca sulla sua. È un bacio forte, profondo, uno di quelli che non prevede vie di fuga. La mano percorre la sua schiena nuda, che lei inarca al mio passaggio, lasciando cadere la testa all'indietro e premendo più forte contro di me, che mi muovo seguendo il suo corpo, assecondando il desiderio che ci trascina con sé.

Tessa si solleva appena, permettendo ai nostri corpi di fondersi finalmente insieme, bruciando ogni residua separazione in un incastro perfetto. Occhi negli occhi, le bocche socchiuse, ci sorprendiamo insieme di una sensazione tanto intensa.

Il senso di appartenenza annulla ogni dubbio e mi trascina dentro un mondo surreale, animato da emozioni che non conoscono parole per essere descritte.

La tenerezza diventa frenesia, il sentimento scatena la passione e i passi leggeri che tentiamo di muovere si trasformano ben presto in una corsa che toglie il fiato.

La bacio, la tocco, la guardo, la bacio ancora. Non trattengo le parole, non freno gli istinti; mi abbandono all'intensità delle sensazioni che mi investono.

«Dio, Tessa...», sussurro con voce roca. Cerco la sua bocca, rincorro la sua lingua; ad ogni movimento le nostre voci si fondono in un gemito di piacere che ci fa perdere ogni contatto con la realtà.

Dobbiamo rallentare o questa sarà l'esperienza più breve e deludente della sua vita!

La sollevo e la stendo sul materasso, la sovrasto con il mio corpo e mi prendo qualche istante per ammirarla, prima di ricominciare a stuzzicarla con le labbra, che rivendicano ogni centimetro di pelle che mi è dato raggiungere.

Lei mi aggancia con una gamba e i nostri corpi si trovano di nuovo.

Trattengo il respiro, cerco di non muovermi, sforzandomi di mantenere il controllo, ma lei si spinge contro di me, liberando un gemito che mi va dritto al cervello, annientando ogni possibilità di controllare il mio corpo, che decide di seguire il ritmo dell'istinto, frenetico, incessante, che ci guida dritti verso l'esplosione del reciproco piacere.

Avvolti nel buio di questa notte incredibile, siamo stretti l'uno all'altra, la sua schiena sul mio petto. Persi nei nostri pensieri, ci lasciamo cullare dal silenzio che custodisce le nostre emozioni.

«A cosa pensi?», le chiedo sottovoce.

«Che sto tanto bene da averne paura», confessa.

«Anch'io», ammetto. «Ti ho detto di fingere che questa notte non esista, ma onestamente non so dove troverò la forza di ignorarla».

«Come potremmo ignorarla?», scuote piano la testa.

La preoccupazione che trapela dal tono della sua voce mi mette in allarme: temo che al bivio tra la consapevolezza di ciò che abbiamo vissuto e la radicata volontà di continuare a viverci per ciò che fino a ieri eravamo la spinga a cercare rifugio ritraendosi nel suo guscio, il suo posto sicuro, corazzato, inespugnabile.

Tento quindi la strada del compromesso:

«Potrebbe essere il nostro segreto, come l'isola di Peter Pan. Noi avremo la nostra "Notte che non c'è". Almeno fino a quando non smetteremo di sentirci dei "bimbi sperduti" ed avremo il coraggio di tornare ad essere, o di diventare, degli adulti».

Hai davvero detto ad alta voce una stronzata del genere?

Perché non posso avere la mia notte che non c'è? Peter Pan ha avuto una cazzo di intera isola!

Sono consapevole dell'assurdità delle mie parole, ma mi arrampicherei su qualunque specchio pur di dare a Tessa il tempo di capire, di accettare; di restare.

Aspetto in silenzio una sua reazione, ma lei non ribatte, forse bisognosa quanto me di credere che la fantasia sia l'unica verità in grado di rendere giusta questa notte.

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