Capitolo 6 - Sam

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Non conosco ancora bene la città, quindi ci siamo dati appuntamento all'agenzia. Quando arrivo, il lunedì mattina, la trovo fuori ad aspettarmi, vicina a quella che deve essere la sua auto. Nonostante gli avvenimenti dello scorso venerdì, mi impongo un atteggiamento distaccato; le vado incontro e le tendo la mano, come a voler chiarire il tipo di rapporto che intendo ristabilire, che certo non prevede più abbracci o aperitivi. Tessa è una scarica di elettricità che ti trapassa senza alcun preavviso e al momento non dispongo di grandi armi di difesa, se non il mio ben collaudato contegno scostante.

Spalle dritte, testa alta, sguardo cupo e tono composto:

«Buongiorno, Tessa. Spero di non averti fatta aspettare».

Il mio approccio formale non pare tuttavia convincerla un granché.

«Ciao, Sam», mi saluta infatti con un tono frizzante. «Non preoccuparti, sono appena uscita dall'ufficio. Se vuoi salire in macchina, possiamo andare subito: ho già recuperato le chiavi della casa e non vedo l'ora di vedere cosa ne pensi!».

In quel momento una donna esce dall'agenzia. È molto bella e, benché non sia più giovanissima, veste i suoi anni con la fierezza e la consapevolezza di riuscire ancora a far girare gli uomini per la strada. Ci viene incontro e mi porge la mano:

«Lei dev'essere Sam. Molto lieta, io sono Lauren, la titolare dell'agenzia», si presenta.

«E' un piacere, Lauren», ribatto senza alcun entusiasmo. La conosco da mezzo secondo ed il primo aggettivo che mi sovviene è "arrogante". Sarò anche prevenuto verso il prossimo, ma non mi piace la sua aria da primadonna.

«So che Tessa si è esibita in una delle sue discutibili performance l'altro giorno», mi rivolge un cenno d'intesa. «Me ne scuso personalmente. E mi rallegro del fatto che la sua presenza qui, oggi, sembri indicare che ha dimenticato l'accaduto. Se questa signorina mi facesse scappare i clienti sarei costretta ad essere meno tollerante verso le sue ridicole fobie», rimarca, mantenendo però un'espressione magnanima. «Il problema è che le voglio bene come ad una figlia e non riesco ad essere troppo dura con lei», si compiace del suo buon cuore, dando una carezza sbrigativa al braccio di Tessa, che la guarda come se volesse trapanarle senza anestesia i bei denti che mette in mostra mentre sorride.

«Non è successo niente di grave. Ho reagito anche peggio a situazioni meno spiacevoli», rispondo.

L'istinto di difendere Tessa prevale purtroppo sul mio bisogno di ignorarla. E non mi serve guardarla per sapere che ha apprezzato le mie parole.

«Beh, allora vi troverete bene insieme. Tra l'altro la casa che Tessa la sta accompagnando a visitare è proprio nel quartiere in cui vive anche lei, pertanto non poteva sperare in nessuno di più idoneo e qualificato ad illustrarle al meglio i pregi di quella zona», mi informa.

Mi volto sorpreso verso Tessa, che sostiene il mio sguardo pur non riuscendo a nascondere un certo imbarazzo.

In due giorni credo di aver visto sul suo viso tonalità di rosso di cui ignoravo l'esistenza.

«Mi sembra perfetto», rispondo poi, sebbene il mio buonsenso mi suggerisca ben altra reazione.

«Vogliamo andare?», taglia corto Tessa.

Saliamo in macchina e partiamo. Tessa è silenziosa: credo stia trattenendo l'irritazione per le parole di quella donna, che ha sminuito e ridicolizzato le sue paure, senza curarsi del fatto che, in presenza di un cliente, Tessa potesse sentirsi a disagio. Questa Lauren dev'essere la sua personale palestra per fronteggiare gli stronzi; ecco perché con me è stata tanto paziente: si sottopone ogni giorno ad una valida sessione di allenamento.

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