CAPITOLO SETTE

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POV DORIAN JAMES

Ritorno a casa che sono le sei del mattino. Parcheggio la moto nel garage, cercando di non fare rumore quando chiudo la saracinesca. Quando smonto, mi ritrovo ad immaginare Rebecca che guida senza casco e quindi il suo coraggio ad affrontare le strade di Chicago, molto trafficate, senza protezione. Me la immagino mentre mi stringe per reggersi, ma cercando di rimanere a debita distanza perché il suo seno non mi tocchi la schiena.
Mi sgranchisco le spalle e poggio il casco sul mobile accanto alle pistole di mio padre, riposte ad una certa sicurezza perché nessuno le veda, come i miei due fratelli più piccoli.
Chiudo la porta del garage e mi avvio nel corridoio che porta alla cucina, massaggiandomi le tempie e sentendo i muscoli dolermi. Ho appena finito con Ella, la ragazza bionda che mi sono accaparrato alla discoteca e che poi ho portato a casa di Gregor, quindi sono piuttosto stanco e per fortuna è domenica.
Sono in cucina quando vedo mio padre seduto sullo sgabello, il sigaro tra le labbra e lo sguardo attento fisso su di me. Mi volto con sorrisetto strafottente e mi metto a fissarlo anche io, appoggiandomi al piano di lavoro. "Hai dormito male?"
Mio padre, Carlos, si sgranchisce il collo, innervosito. "Cosa hai fatto?"
Scrollo le spalle, aprendo il frigo e prendendo una bottiglietta d' acqua. "Bah, le solite cose. Qualche birra, giri in moto e ragazze". Con mio padre non ho mai provato imbarazzo a raccontargli cosa faccio, anche le cose più personali.
"Tua madre è preoccupata, dovresti smettere di uscire così la sera e tornare la mattina" ribatte acido.
Alzo un sopracciglio. "Da che pulpito! Tu traffichi droga e spari alla gente, pensi che io sia peggio di te?" Sbuffo. "Non sai di cosa parli".
Lui si alza sbattendo un pugno e mi viene vicino, scrocchiandosi le dita. Io lo guardo indifferente, mostrandogli un bel sorriso beffardo, il migliore del mio repertorio. "Lo faccio per lavoro, per darti i soldi che ti mangi in sigarette, alcol e..."
"Non venirmi a parlare di cosa faccio" gli urlo in faccia, sbattendolo contro il frigorifero. "Non ti vengo a chiedere niente, non sono io che ti chiedo soldi. Me li date voi ed io ne faccio ciò che voglio, li uso come più mi sembra giusto".
Carlos mi guarda in cagnesco ed io restituisco lo stesso sguardo, senza lasciargli via di scampo. "Non dovresti proprio rinfacciarmi niente".
"Ho diciotto anni, sono un cazzo di maggiorenne" ribatto prendendogli il colletto della maglietta e sbattendolo contro il frigo. "Lasciami in pace".
"Dorian?"
Mi volto di scatto, al suono della voce rotta di mia madre, che osserva la scena con mani tremanti.
"Mamma" dico indietreggiando e guardandola attentamente. "Ti abbiamo svegliata?"
"Cosa stavate facendo?" domanda stropicciandosi gli occhi.
Mia madre è una donna stupenda e molto dolce. Ha lunghi capelli biondi come i miei e occhi azzurri intensi, mentre io e mio padre abbiamo gli stesi occhi e lo stesso viso dai tratti duri e decisi. Mamma, Felicia, lavora per la stessa libreria per cui anche Rebecca è dipendente e spesso si incontrano, ma non si fermano a chiacchierare molto.
"Niente, torna pure a dormire" le rispondo tagliando corto e recuperando le chiavi della moto. "Vado a fare un giro, torno tra poco".
"Dorian James!" mi chiama mamma. "Sono le sei passate del mattino, sei fuori dalle dieci di ieri sera ed è il caso che tu resti a casa".
Scuoto la testa ed apro la porta che dà sul garage. "Ho bisogno di stare da solo, lasciatemi stare".
"No, torna subito qui!" sbotta mio padre, avanzando infuriato. "Sei ancora sotto questo tetto, sotto la nostra tutela. Finché non te ne andrai via di qui, noi risponderemo per te e penseremo a cavarti fuori dai casini".
"Non faccio mai casini!" rispondo contrario, alzandomi leggermente sulla punta dei piedi, perché quando sono seriamente arrabbiato lo faccio sempre. "Smettetela, non sono un ragazzino".
Lo sguardo di mia madre si addolcisce. "Ma tesoro, vogliamo soltanto che tu sia al sicuro e che ti senta bene qui in casa".
Mi scompiglio i capelli. "Ho capito, va bene. Torno per l' ora di pranzo".
Mi richiudo la porta alle spalle, così prendo il casco ed esco velocemente dal garage con la moto. La mia famiglia potrebbe essere considerata perfetta, se mio padre non facesse parte dei giri di Richard Hell e non litigassimo tutti i giorni. Ed ovviamente i miei fratelli, Gail e Iron, tutti e due più piccoli di me, non possono capire i discorsi che facciamo e spesso si rintanano nella loro cameretta, a giocare e guidare macchinine finte.
Litighiamo sempre per le stesse cose: mia madre vuole che papà non faccia riferimento a Richard Hell, mio padre, ovviamente, vuole tutto il contrario e quanto pare sembrano aver perso l' amore che, quando ero piccolo, li teneva uniti. Siamo una famiglia incasinata ed io questo non lo sopporto, così passo molte ore fuori, con amici o soltanto a farmi giri in moto per schiarirmi le idee e non pensare a niente. Perchè spesso pensare fa male e rovina l' esistenza di una persona ribelle come me. O come Rebecca.
E come se l' avessi chiamata a gran voce, mi ritrovo ad alzare lo sguardo non appena arrivo all' altezza del suo palazzo. Fermo la moto e mi nascondo sotto i balconi dall' altra parte, rimanendo nell' ombra e ammirando il suo balcone, dove lei adesso è affacciata.
Ha il corpo proteso in avanti e i gomiti appoggiati alla ringhiera, mentre indossa un pantalone lungo della tuta ed una maglietta a maniche lunghe piuttosto larga, che la fa sembrare piccola e indifesa. Mente in realtà è una belva.
Non so se vi ho già detto che è raro incontrare una come lei, ma se l' ho già fatto, be'... Lo ripeto.
I capelli le scivolano sulla schiena, lunghi e morbidi probabilmente, lucidi e curati.
Rebecca tiene molto al suo aspetto fisico, si vede soprattutto, quelle volte in cui non si trucca da scheletro colorato, dalla pelle liscia e senza impurità. Per il resto, come l' abigliamento, direi che è normale.
In estate mi capita di incrociarla in spiaggia e ammirare il suo tatuaggio, che ha sul trapezio. Una piuma di pavone...
Ora Rebecca sembra assorta nei suoi pensieri e mi chiedo perchè io stia qui, adesso, e come mi sia venuta in mente l' idea di venire a Ausburn Gersham, il quartiere di Rebecca. A volte mi chiedo se oltre quel guscio che lei si è creata si nasconda un animo profondo e dolce.
Sembra borbottare qualcosa, poi abbassa il capo e scoppia a piangere.
Sgrano gli occhi nel vedere la scena e mi chiedo quand'è stata l' ultima volta che lei ha pianto, in generale, che sia per qualcuno o per se stessa. Ma questa volta sembra davvero disperata.
E d' improvviso al sentimento di odio che provo per lei, si sovrappone quello della commiserazione.
Mi chiedo il motivo del suo pianto. A mezzanotte ha preso la mia moto ed è scappata via, eppure sembrava si divertisse insieme al suo amico Roth e a storcere il braccio di un ragazzo al bar. Era a suo agio: ancheggiante e provocante come sempre. Ma probabilmente nasconde qualcosa oltre quel muro di mattoni che la circonda.
Rido, perché sono ridicolo a mettermi a fare congetture sulla vita privata dell' unica ragazza che odio con tutto me stesso.
Scuoto la testa sotto il casco e rimetto in moto, quindi esco dall' ombra e sgommo verso casa di Gregor.

Polvere di Noi -(With Us Saga)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora