Capitolo 27

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Nella notte del 13 dicembre 1816 il soffio vitale aveva abbandonato il corpo di Luigi Ventimiglia per raggiungere il paradiso, perché un’anima buona e nobile come la sua non avrebbe potuto andare altrove.

Il corpo fu spostato nella camera mortuaria della cappella attigua al castello, avvolto da un’aura angelica che illuminava il suo giaciglio di morte.

La notizia del decesso aveva raggiunto, attraverso il passaparola, le provincie più remote della Sicilia e molti erano accorsi da ogni dove per dare l’ultimo saluto al principe buono, il Principe Bianco come veniva chiamato dai suoi confratelli.

Adrian aveva avvisato Riego del decesso tramite una missiva spedita attraverso le poste, gli aveva comunicato precedentemente del suo futuro matrimonio con la principessa di Grammonte sempre con lo stesso mezzo, ricevendo la sua benedizione.

Eleonora e Teresa non avevano lasciato la salma, neanche per pranzare, fino al giorno del funerale.

I loro sguardi mesti contemplavano l’uomo increduli e persi nelle memorie del passato, rincuorandosi di tanto in tanto con delle occhiate rassegnate.

Ormai non c’era più niente da fare, Luigi era volato via, ma non invano.

In quel preciso istante Eleonora aveva realizzato che l’opera del marito non poteva cadere nell’oblio e che avrebbe continuato lei, in suo nome, la sua rivoluzione politica.

Anche se Adrian e Teresa sarebbero presto partiti per la Spagna non l’avrebbero certo abbandonata al suo destino e con il loro appoggio potevano realizzare quel governo utopico agognato dai filosofi che Luigi era solito leggere alla sera.

Il suo scopo era quello di non lasciare in sospeso ciò che il principe aveva raggiunto con sforzo e fatica, consapevole della sua presenza nel cuore.

Il funerale si era tenuto il giorno successivo.

La cerimonia fu una lode solenne al Principe di Grammonte che aveva lasciato questa terra troppo presto.

Eleonora e Teresa erano sedute in prima fila e la piccola cappella era gremita di persone, gente di qualunque classe sociale si era riunita in quel piccolo spazio per onorare un uomo che, nel suo piccolo, aveva cambiato il mondo.

Un gruppo di contadini piangeva in fondo alla chiesa accompagnati dai singulti di alcune giovani dame sedute ai banchi accanto a loro.

Era stupefacente come anche dopo la morte Luigi fosse stato in grado di fare qualcosa di grande: riunire tutti in suo nome abolendo le differenze sociali che stagliavano gli individui come un muro invisibile.

Dopo la messa tutti avevano dato le condoglianze alla moglie e alla figlia, affiancate sempre da Adrian e Giuseppe, che ancora soggiornava al castello in attesa di trovare una nuova sistemazione in città dove si sarebbe trasferito con Carmela.

Una pioggia sottile inumidiva i cappotti quando la salma era stata condotta a spalla nel cimitero della cappella.

L’acqua fredda  ma leggera, si univa alle lacrime dei presenti, gocciolando all’unisono sulle gote gelate dalla brezza invernale, ma Teresa ed Eleonora non piangevano, avevano esaurito le lacrime e il dolore aveva scavato un vuoto nei loro cuori, imprigionandoli per un tempo indefinito.

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