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Lyon

La osservo riordinare i pensieri e, come fa di solito quando vuole alzare un muro tra lei e chi ha davanti, intreccia le braccia al petto. Questa volta voglio ascoltarla, non ho paura di quello che vuole confessarmi, non ho paura che possa soffrire perché so che posso esserci per lei. Non so bene quando è successo, ma qualcosa è cambiato dentro di me, non ho bisogno di essere ascoltato, non sono più arrabbiato con la vita, con me stesso, mi sono perdonato e ho finalmente lasciato andare quello che è stato. So che probabilmente questo non sarà duraturo, ma mi sento stranamente forte, per la prima volta dopo tanto tempo e sono sicuro che Jenna sia la causa.

«Quando sono scappata da Oklahoma... l'unica cosa che mi ha tenuta in piedi è la mia passione per il basket» ammette con sguardo basso. Le sue dita artigliano le braccia  opposte «o meglio, è l'unica cosa di me che non ho voluto dimenticare» ammette con una nota sofferente nella voce. La osservo accigliato e al tempo stesso catturato dal suo racconto, vorrei implorarla di andare avanti ma comprendo quanto possa esserle difficile confidarsi con me e, per come si sta trattando, torturando, credo che non si sia confidata con molte persone.

«Ma quando sono venuta qui, avevo paura di subire di nuovo quello che mi ha spinta a lasciare la mia famiglia senza salutarla, senza spiegare. Mi sono sentita un peso, la causa di un tradimento e di un gesto... estremo» la voce le trema. Sono immobilizzato dall'idea di cosa possa esserle successo e, per quanto lo abbia intuito, spero vivamente che non sia come credo.

«Così ho deciso di vestirmi da uomo, di nascondermi sotto centimetri e centimetri di stoffe per camuffare il mio corpo che...» si ferma di nuovo e istintivamente stringo le mani in pugni per contenere l'impeto di rabbia che le sue parole mi suscitano. Non so perché ho questo istinto omicida verso chi l'abbia sfiorata, ma spero di non imbattermi mai in lui perché potrei pentirmene sia io... che...

«Insomma... qui ho trovato sfogo nel basket, che è diventata un'urgenza, non più solo una passione e giocare con i ragazzi, più grandi per statura di me, scontrarmi con loro, provare dolore fisico mi faceva stare... bene» ammette e nell'esatto momento in cui incorre nell'ennesima pausa sento i brividi puntellarmi il corpo «insomma... provare quel dolore mi faceva sentire come se scontassi la punizione per aver... per essere...» 

Jenna non si trattiene più e scoppia in lacrime, coprendosi il volto con le mani. In fondo, è sempre lei, è sempre la ragazza che vuole nascondere le sue fragilità. Sono straziato dal suo racconto e sono ancora più sfiancato dalla consapevolezza di aver partecipato al suo gioco perverso, al suo masochismo. Jenna si è assunta la colpa per aver subito una violenza, come se fosse causa sua, non di quel bastardo che l'ha ridotta in questo modo. Per quanto possa essere passato del tempo, per quanto possa essere fuggita ed essersi costruita una protezione, uno scudo di sicurezza, quella cicatrice le rimarrà sempre e non se la merita. Cazzo. No che non se la merita.

Jenna

Sto piangendo, sono esplosa dopo aver raccontato la verità a Lyon, l'unico, dopo Mark, a conoscerla. Ma è un pianto liberatorio, sono crollata o ho solamente accettato di non essere invincibile, di non essere insensibile e soprattutto di non poter farmi carico da sola di quanto mi è successo. Solo ora mi rendo conto di quanto avessi bisogno di parlarne, di confidarmi, senza paura di essere giudicata. Lyon mi allontana le mani dal volto, in cui mi sono rifugiata per risparmiargli lo spettacolo.

«Sei stata troppo severa con te stessa, Jenna» mi solleva e mi fa sedere sulla penisola. Ho gli occhi troppo umidi per vederlo nitidamente ma lo sento, sento la sua compassione o pena o comprensione, non so cosa sia, ma non mi importa, sento anche che, non so per quale motivo, non mi lascerà sola.

«Hai chiesto troppo a te stessa e ti sei inflitta da sola una pena che non ti meritavi» Lyon fa scorrere la mano sul lembo della camicia all'altezza della spalla, scoprendo il mio livido. Io, un po' per sfinimento, un po' per necessità, necessità di scappare da me stessa e dalle mie insane follie, mi sbottono la camicia per rivelargli l'intero corpo. Il suo sguardo perde la vivacità di qualche ora prima e si vela di incredulità. Le sue labbra affiorano sulla mia spalla, all'altezza del livido e, quando sento la punta della lingua sfiorarmi, non riesco a trattenere un gemito di piacere. Sento il cuore accelerare violentemente.

LOVE ON THE GAME - Non senza di teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora