Jenna
Sembrano interminabili i secondi in cui i nostri sguardi si intrecciano e non vogliono separarsi. Lyon fa scorrere la mano sul mio braccio fino alla cavità del collo, che raccoglie nel suo palmo. Mi avvicina a sé e mi bacia. Lascio che la sua lingua mi esplori, tanto quanto lo voglio io probabilmente, ma mi sono esposta abbastanza e mi sono già rivelata più di quanto credessi. Non posso correre così, non possiamo correre in questo modo. Ci sono troppe cose in ballo e nessuna giova a nostro favore. Mi allontano da lui, lentamente.
«Non posso Lyon» dico trattenendo la sua mano.
«Non voglio farti del male, Jenna» mi sussurra sulle labbra.
«Neanche io ma non potremmo mantenere la promessa se io non risolvo la situazione con la mia famiglia. Mia madre mi sta cercando, Lyon e io non so cosa fare adesso» confesso senza tradire la paura e l'emozione nella voce. Lui mi ricambia con aria confusa.
«Hai mai pensato di chiamarla? Di... farle sapere che stavi bene e avevi ricominciato una nuova vita?» chiede perplesso. Scuoto la testa, senza distogliere lo sguardo dal suo volto per cogliere qualsiasi espressione che commenti implicitamente la mia affermazione.
«Non potevo io... dovevo proteggerli... dovevo... proteggerla» ammetto.
«Jenna...»
«So cosa pensi ma non puoi capire» dico alzandomi dal letto. È inutile che tenti di spiegare come mi sia sentita, è inutile spiegare il peso, forse inutile, che mi sono sentita sulle spalle, sul petto ogni notte, un peso che mi trascinava a terra, che mi ha risucchiato nelle sabbie mobili da cui ancora non riesco ad uscire.
«No, infatti» dice raggiungendomi accanto alla finestra «nessuno può capire quello che hai passato ma non è giusto che lo affronti da sola e credimi» con l'indice sotto il mento fa roteare il mio volto di modo che possiamo guardarci «questo lo posso capire» i suoi occhi sembrano sprigionare sicurezza, autorevolezza e soprattutto protezione.
«E lo devo a te, Jen. A nessun altro» aggiunge abbracciandomi e mi ritrovo a cingere le sue braccia sotto cui mi sento tanto piccola quanto potente, imbattibile e... importante. È come se lo scudo che mi sono costruita per tutto questo tempo si fosse neutralizzato davanti all'affetto, alle attenzioni, alla premura di Lyon.
Lyon
La tengo tra le mie braccia, se non la sentissi contro il mio corpo potrei credere che si sia volatilizzata per via delle nostre differenti stature. Se ne è andata da Oklahoma, senza farsi sentire credendo che il problema fosse lei e che andandosene la sua famiglia non avrebbe sentito la sua mancanza, ma non posso neanche immaginare lo stato di disperazione in cui si siano ritrovati senza di lei. Forse non lo sa e forse nessuno glielo ha mai detto, ma senza esserne consapevole Jenna si preoccupa di ogni persona che le ruota intorno, a modo suo e preferirebbe mettersi da parte piuttosto che far soffrire qualcuno. E questo rende difficile non volerle bene, non affezionarsi a lei.
«Jenna, devo chiedertelo...» esordisco staccandomi da lei, ma non troppo. È come se, dopo questa notte, non riesca a starle lontano.
«Qual è il tuo rapporto con Mark?»
«Mark...» dice malinconica, sedendosi sul bordo del letto.
«Cosa vuoi sapere in particolare?» chiede costringendomi a sedermi proprio davanti a lei, distendo una gamba e piego l'altra. Sorrido, come colto in flagrante.
«State insieme?» chiedo arreso.
«E perché dovrebbe interessarti?» il suo modo di fare la sostenuta e la maliziosa, non mi lascia indifferente, ammesso che lo sia mai stato verso di lei, ma mi eccita in una maniera fastidiosa. Vorrei fare il ragazzo maturo, comprensivo, eppure non faccio altro che pensare di avvicinarmi, provocarla e soprattutto baciarla, baciarla e farla mia e, se prima non mi sarei fatto problemi, ci avrei provato spudoratamente, ora che conosco la sua storia devo lottare contro me stesso per stare fermo e tenermi a bada.
«Te l'ho dimostrato perché...» dico guardandola negli occhi. Non voglio nasconderle quello che provo e neanche quali siano le mie intenzioni, ma voglio capire cosa ne voglia fare lei di me. Scende dal letto per avvicinarsi pericolosamente.
«Io e Mark siamo amici» dice sedendosi con le gambe intrecciate davanti a me. Scivolo verso di lei.
«Gli amici non si baciano o almeno non nel mio codice morale» Jenna scoppia a ridere.
«Il tuo codice morale?!»
«Sì, il mio codice morale. Voglio un'altra spiegazione» lei si morde il labbro inferiore e smarrisce lo sguardo verso la finestra. Perché cerca sempre di evadere? È come se fosse qui, ma al tempo stesso in un suo altrove da cui vuole scappare, tornare e poi scappare ancora, proprio come la sera del gala, in cui la trovai da sola, in un angolo, a vagare con lo sguardo al di fuori delle vetrate. È come se fosse sospesa in un limbo, che ha tracciato lei stessa e ora non sappia come uscirne.
«Sono una copertura»
«Nel senso che... siete spie? Agenti federali? Sono per caso capitato in un complotto che deve smascherare la mafia newyorkese? Non dirmi che il torneo c'entra in tutto questo» dico tutto d'un fiato.
«Calmati» dice lei sorridendo «non sono la sua fidanzata, ma facciamo credere ai suoi genitori che stiamo insieme» conclude.
«E perché dovreste farlo?» Jenna mi guarda come fosse ovvio ed io nel momento in cui formulo la domanda mi sono già dato una risposta.
«Quindi... non...» ho bisogno di alzarmi. Ed io che credevo che la mia vita fosse complicata. Tra Jenna e Mark non so chi possa vincere il premio Oscar per miglior attore dell'anno.
«Te lo avrebbe detto... ieri era la sua laurea, ecco perché non ha potuto riportarmi a casa» spiega. Ora è chiaro. Quando nomina la sua laurea, ricordo lo sguardo di Mark improvvisamente malinconico dopo che mi ha abbracciato per il regalo e quel ragazzo che se ne andava solo tra la folla.
«Doveva andare da lui» deduco. Jenna annuisce.
«Il problema è suo padre, non lo accetterebbe mai, secondo Mark e a dire la verità, conoscendo Scott, sicuramente non digerirebbe la confessione facilmente. Mark non vuole essere causa di una crisi in famiglia. Sa che non farebbe alcuna differenza per sua madre e per Kyle, ma non sopporterebbe che i suoi genitori litigassero per lui...»
«Un altro che paga a sue spese la salute familiare» commento.
«All'inizio non mi preoccupava stare al gioco, Mark è l'unico che conosceva la mia identità nei playground e, ovviamente, potevo essere l'unica persona giusta a fingere» aggiunge.
«Jenna, non devi giustificarti con me, sono l'ultimo che può giudicare. Ho accettato di dirigere la sede di Manhattan per dimostrare ai miei genitori che stavo bene, che non dovevano più preoccuparsi per me...» dico contenendo la rabbia che mi scorre nelle vene stringendo le mani in pugni.
«Dopo l'infortunio non parlavo con nessuno, non volevo vedere nessuno, ho reciso ogni contatto... gli unici che mi sono rimasti accanto sono stati i miei genitori, e Nick...» prepotente si fa il ricordo di tutte le mattine ok in cui cercava di risollevarmi il morale, portandomi la colazione che ci piaceva quando eravamo bambini – nocciole, cioccolata, plumcake alla banana e una buona dose di panna. Eppure, inerme lo costringevo ad andare via, finché non si è trasferito a Singapore.
«Non deve essere stato facile per te, Lyon» dice. Vorrei dirle che non deve essere stato facile neanche per la mia famiglia, ma questa conversazione ha già preso delle curvature psichiche che potrebbero deprimerci ancora di più.
«Cosa ti piace di New York? A parte i playground» chiedo sforzandomi di sorridere.
«In realtà, ad eccezione della libreria, della Columbia, Central Park e sì... dei playground non ho avuto modo di visitarla. Potrei quasi dire di non conoscerla affatto» ammette e resto perplesso davanti alla sua affermazione.
«Vuoi dirmi che sei nella città più desiderata al mondo da... quanto? Un anno circa e non l'hai visitata?»
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LOVE ON THE GAME - Non senza di te
RomanceLyon sogna di diventare un playmaker dei Silvers da quando era bambino, ma la sua fantasia non era stata così spregiudicata da fargli immaginare di poter diventare la nuova stella dell'NBA, finché un infortunio, a soli 26 anni, non ha messo fine a t...