10. Lukas

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LUKAS


«Hai fame, Morticia?» le domando quando arriviamo nel New Jersey, un'ora e mezza dopo. Non abbiamo parlato molto, e questo ha reso il viaggio imprevedibilmente molto riposante. 

Alyssa è stata tutto il tempo ad ascoltare musica con gli auricolari, a consolare il cane che ogni tanto, fra un sonnellino e l'altro, si ricorda di non essere dove vorrebbe essere e ci dà dentro coi guaiti, e a rispondere a Dinka su WhatsApp. 

Lo so perché ho sbirciato un attimo senza che se ne accorgesse.
A tratti sorride tra sé, mentre digita messaggi, e quando sorride è strana.
Sembra un'altra. Be', già senza trucco sembra un'altra. Chi l'avrebbe mai detto che Morticia fosse figa? Il trucco falsava ogni sua proporzione. 

Ha un bel profilo e una pelle perfetta, e il piercing sulle labbra mi fa formulare desideri osceni. Chi l'avrebbe mai detto, ripeto.

«Stai parlando con me?» mi domanda Alyssa, sfilandosi un auricolare.

«Ti ho chiesto se hai fame.»

«Mm, non so.»

«Come fai a non saperlo? O hai fame o non ce l'hai. Io ho un buco nello stomaco, anche perché tutto quello che avevo in frigo se l'è sbafato quel dinosauro lì dietro.»

Lei pare rifletterci su.

«Non ho fame», dichiara infine, ma subito dopo il suo stomaco la smentisce brontolando rumorosamente.

Allora capisco. Non ha abbastanza denaro da permettersi anche un pasto, considerato che poi dovrà pagarsi il treno per tornare nel Connecticut. Chissà cosa si prova a essere poveri fino a questo punto.

Be', non è escluso che presto sperimenterò un'emozione simile.
Appena mio padre saprà che preferirei essere gay che stare con Brianna – e non preferirei mai e poi mai esserlo davvero, il che dovrebbe dimostrare quanto Brianna mi disgusti – potrebbe esserne un tantino infastidito e decidere di punirmi stringendo decisamente i cordoni della borsa. 

Si è messo in testa l'idea ridicola che io e quella bambola horror siamo perfetti insieme, che dovremmo fidanzarci e sposarci entro e non oltre un paio d'anni dalla laurea, e che l'unione delle nostre due famiglie, entrambe proprietarie di hotel di lusso, ci permetterà di ottenere il monopolio mondiale nel settore alberghiero.

Lo so, sono puttanate, e non sembra possibile che delle persone colte possano fare ancora questi ragionamenti.
Insomma, non sono dei bifolchi dell'Arkansas o del Missouri, e in generale si sono sempre dimostrati di larghe vedute, non mi hanno mai impedito niente, ho avuto a disposizione tutto il denaro che ho voluto, e ho fatto un mucchio di cazzate prontamente perdonate e spesso addirittura risolte grazie all'intervento di mio padre. 

Per questo la faccenda di Brianna mi ha preso alla sprovvista. Sa di medioevo, di nazione arretrata, di famiglia coi paraocchi.

Prima o poi dovrò affrontare la questione e tirar fuori le palle per qualcosa di più impegnativo che scopare, ma per adesso scappo. Scappo e ho una dannata fame.

«Te lo offro io il pranzo, Morticia», le dico.

Lei spalanca gli occhi, infastidita.

«Non voglio che tu mi offra niente», reagisce, guardando avanti, gli occhi puntati sulla strada, la mascella rigida, le mani strette attorno al cellulare.

«Come preferisci, ma io devo mangiare. Che fai, mi aspetti in auto?»

Mi fermo davanti a un diner a conduzione familiare, alla periferia di Westampton, in un parcheggio circondato da poche case sparse, oltre il quale ci si immette di nuovo sull'interstatale. 

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