21. Lukas

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LUKAS


Non sono farfalle nello stomaco.
È solo che non ho fatto colazione, Every si è fregato il mio caffè, sto fumando come un dannato da tre giorni, e mi brucia lo stomaco.

Non-sono-quelle-cazzo-di-farfalle.

Eppure, appena la individuo, dopo averla cercata in entrambi gli edifici che compongono la galleria e nelle non poche sale che si susseguono, ferma davanti a un dipinto di Edward Lamson Henry, mi sento pericolosamente strano. 

La osservo a distanza senza essere visto. Lunghissimi capelli neri. Un cappottino corto dello stesso colore. Pantaloni anonimi. Una sciarpa qualsiasi. Stivaletti da poco prezzo. La borsa fatta con gli avanzi di uno pneumatico stretta davanti a sé.

Sta osservando un dipinto che mi è già capitato di notare.

Memories.

Ricordi.

Ritrae una giovane donna all'interno di una stanza. È seduta, vestita di scuro, e il colore cupo del suo abito contrasta con la tappezzeria a fiori vivaci della poltrona. 

Tiene un libro in mano, come se lo stesse leggendo fino a un attimo prima. Nel momento immortalato dal dipinto lei guarda il vuoto. Sul pavimento c'è un baule spalancato, con un sacco di roba che fuoriesce. Alle sue spalle un mobile con un cassetto anch'esso aperto e pieno di cose rimescolate e poi lasciate lì, a penzolare in disordine. 

Accanto a lei, un cane dorme sul tappeto.

Alyssa fissa il dipinto con grande interesse. Si porta una ciocca dietro le orecchie, e io vorrei baciarla. Non so cosa mi prenda, ma vorrei baciarla.

Ovviamente non lo farò, anzi, non ha senso stare qui, adesso me ne vado e...

E lei si gira, all'improvviso, come se sapesse. Come se avesse avvertito il peso del mio sguardo. Sgrana gli occhi, si morde le labbra e il piercing. E io voglio baciarla, maledetto me.

Mi avvicino, a questo punto andarmene sarebbe ridicolo. Sembrerei uno che scappa.

Vorrei scappare.

Ma voglio di più baciarla.

Senza dire niente, mi metto a osservare lo stesso dipinto. C'è poca gente nella galleria. In questa sala ci siamo solo noi, fermi davanti al quadro di Edward Lamson Henry.

Dovrei dire qualcosa, ma ho la sensazione che, qualsiasi parola mi uscisse dalle labbra, sarebbe quella sbagliata.

Ho pensato a te continuamente.

Tre giorni mi sono sembrati trecento.

Non ho fatto sesso con quella ragazza italiana.

Sono incazzato nero perché non mi hai chiamato.

Avrei potuto farlo io, ma ho il mio fottuto orgoglio.

E non capisco il perché dei pensieri incessanti, dei giorni dilatati, dell'astinenza, della rabbia, dell'orgoglio non abbastanza indistruttibile.

Tant'è che adesso sono qui.

«Secondo te a cosa sta pensando?» le domando, indicando il dipinto. Meglio dirottare il discorso sui tormenti della donna nel ritratto, piuttosto che sui miei.

«Me lo chiedo spesso anch'io», mormora Alyssa. «Ogni volta mi invento una risposta diversa. Se sono di buonumore mi dico che si sta preparando per un viaggio. Un lungo viaggio intorno al mondo. Forse non tornerà mai più in quella casa troppo piccola per i suoi sogni. Tutto quel disordine significa che sta preparando i bagagli. Su quel taccuino c'è l'elenco delle cose da mettere in valigia, per non dimenticare nulla. Purtroppo non si ricorda dove ha messo una cosa. È sempre con lei, quando viaggia. Le porta fortuna. Per questo è assorta. Dove l'avrà messa? Eppure era sicura che fosse nel cassetto o tutt'al più nel baule... Si arrischierà a partire anche se non la trova?»

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