32. Alyssa

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ALYSSA 



Lukas ha cercato in tutti i modi di rassicurarmi, ma io insisto col mio mantra: vorrei non essere venuta. 

Non c'entro niente con questa gente. 

Non mi riferisco soltanto ai signori Walton, ma a chiunque sia presente.
Non dico che bofonchino Vade Retro al mio passaggio, ma di sicuro si domandano chi diamine sia questa strana tipa, con un abituccio modestissimo blu scuro, i capelli neri come quelli delle streghe nelle illustrazioni dei processi di Salem, e i piercing e i tatuaggi che, per quanto coperti dagli abiti, non possono fare a meno di affiorare prepotentemente. 

Dopotutto, li ho fatti fare così per questo motivo, affinché si notassero.
Affinché intimidissero.
Affinché disgustassero. 

Quindi non posso rimanerci male se gli altri li notano e ne sono intimiditi e disgustati.
Ho l'obbligo morale di fregarmene.

Cioè, dovrei fregarmene, ma non ci riesco.
Non abbastanza.

Non sembra neppure una casa di vacanza. 

Sembra un castello da fiaba quanto a dimensioni, solo in stile contemporaneo.
E c'è una folla che neanche a un matrimonio reale.
Tutti eleganti, tutti che si conoscono fra loro, e si salutano, e magari dietro le quinte si odiano, ma sulla scena sembra che si amino e che rivedersi sia una specie di illuminazione.

Io avanzo come una bambina. 

Non so portare i tacchi, per cui barcollo un po' sulle mie Mary Jane nere, benché siano alte appena sei centimetri. Lukas saluta questo e quello, in modo formale e distaccato, finché, a un tratto, la sua voce diventa più sincera.

«Harper!» esclama, e si dirige verso una giovane donna di una trentina d'anni, visibilmente incinta, che gli somiglia un sacco. 

Capisco subito che si tratta della sorella maggiore.
Devono avere rapporti sereni, perché Lukas non mostra lo stesso atteggiamento un po' rissoso che ha quando parla con i genitori.

Insieme a lei c'è un uomo alto, magrissimo, non propriamente bello ma affascinante, come solo i francesi sanno essere. Credo sia il marito, il conte. Sapevo che sarebbero venuti anche i due figli, ma a quanto pare non sono presenti. Forse non è adeguato a una cena elegante che dei bambini stiano allo stesso tavolo degli adulti, e non è escluso che a loro stia pensando altrove uno stuolo di tate.

Mi detesto, lo giuro. 

Detesto il mio disagio, il mio imbarazzo, il mio sentirmi come un cavolo a merenda. Vorrei essere più orgogliosa di me stessa e di quello che ho ottenuto partendo da meno di zero, ma dietro la maschera della mia grinta si nasconde la stessa bambina pavida di allora, quella che a Natale guardava le vetrine coi presepi e gli alberi e le bambole, e poi tornava al proprio letto di cartone. 

Quella alla quale sua madre ripeteva sempre che non valeva niente, niente, niente.

Cosa darei, adesso, per essere bella e sicura come...

Come la giovane donna che Lukas sta abbracciando.

Mio Dio, non ho mai visto una creatura così meravigliosa. Somiglia all'attrice Marine Vatch.

È chiaro che si conoscono da tempo, li unisce una confidenza non recente, parlano addirittura in francese fra di loro.

Quando si avvicinano a me, vorrei che il pavimento si spalancasse e mi inghiottisse.
Sono più che mai un rospo tra le fate.

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