26. Alyssa

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ALYSSA


Ho chiamato un Uber per portarmi a casa.
Mi costerà, ma è il mezzo più veloce e sicuro. 

Aspetto davanti al centro visitatori, battendo i piedi sulla strada per riscaldarmi. Fottuto giubbotto di pelle, sembra fatto di ghiaccio.
 Avrei dovuto mettermi il mio solito cappotto, che idiota sono stata.

Ho la netta sensazione, però, che non sia solo la temperatura esterna a farmi tremare così tanto. Perché, in verità, è una notte abbastanza mite, non fa poi così freddo. 

Eppure mi battono i denti, e ho tutto il corpo attraversato da brividi.

E mi viene da vomitare.

Non riesco a smettere di pensare a Lukas con Erin.
 Al modo in cui lei lo toccava.
Alla confidenza che sembrava esserci fra loro.
Allo sguardo sprezzante che lui mi ha indirizzato. 

E alla corsa che hanno fatto lungo le scale, certamente per andare a fare sesso.

E mi viene da vomitare.

Mi stringo nel giubbotto ghiacciato, dal quale non ricavo alcun calore. Mi appoggio contro un lampione e fisso la strada.

Che intenzioni ha Lukas? Stare coi piedi in cento scarpe? Si tiene buona Brianna per far contento suo padre e nel frattempo se la spassa con Erin e altre ragazze come lei?

Ha pensato a me, qualche volta?

Mi biasimo per questa domanda. Mi odio per il soqquadro che ho dentro. Mi detesto perché ormai non c'è più niente di organizzato nella mia vita.

Ho fatto una grande fatica per rimettere in ordine le cose. Alcune cose, almeno. 

Credevo di esserci riuscita. Tutto procedeva in modo regolare.
L'università. Il lavoro. Le emozioni essenziali. 

Quel poco di vita che è possibile condurre senza sbilanciare i pesi di tutte le cose che ne fanno parte. 

Un equilibrio precario, probabilmente, ma l'unico che sono stata in grado di costruire in poco tempo per non morire.

E poi è arrivato lui.
E tutto ha cominciato a vacillare. 

Le emozioni sono diventate troppe, l'università e il lavoro hanno smesso di essere sufficienti, e il mio cuore, che aveva imparato a muoversi a un ritmo prudente, ha preso a dare di matto.

E adesso son qui, da sola, a morire di freddo. Ho lasciato la festa senza dire niente a nessuno. Tanto, chi noterà la mia assenza?

Guardo l'orologino, mentre comincia a piovigginare. 

Poi avvisto l'auto di Uber che si avvicina. Rivolgo un cenno all'autista per segnalare la mia presenza. Sto per salire su un'autovettura nera, perfettamente abbinata al mio look e al mio umore, quando qualcosa mi trattiene. 

Qualcuno mi prende la mano.

Mi si paralizza tutto – i movimenti, la lingua, i pensieri – mentre Lukas si china verso l'autista, gli paga la corsa fin qui e lo invita ad andare. Indossa un lungo cappotto blu scuro ma, tra le falde di lana, affiora il suo corpo mezzo nudo, ancora mascherato da gladiatore romano. Io non riesco non dico a parlare, ma proprio a respirare. Non capisco cosa stia succedendo. Lui continua a tenermi per mano, e io non capisco niente di niente.

Poi mi rendo conto che devo reagire. Non posso continuare a sembrare un automa.

«Perché hai mandato via l'auto?» gli domando brusca.

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