13. Alyssa

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ALYSSA


Fa freddo freddissimo, e poi caldo caldissimo. Non faccio sogni, a parte il ghiaccio, prima, e il fuoco, dopo. 

Mi sveglio con la sensazione che qualcuno mi stia baciando la mano, come farebbe un gentiluomo dell'Ottocento.

Mi rendo subito conto che si tratta di Hemingway. Mi annusa, forse per capire se sono viva. La morte avrà un odore preciso. 

Di sicuro ce l'ha anche la malattia, e infatti il poverino mi fissa con due punti interrogativi negli occhi dolcissimi.

Una volta avevo una salute di ferro, anche se vivevo in condizioni precarie. Adesso che ho qualche comodità in più mi ammalo per due gocce di pioggia. Be', non che fossero proprio due. E poi, forse, è colpa delle condizioni precarie di una volta se mi sono indebolita.

Non so che giorno è, che ora è, e per qualche momento non so neppure dove mi trovo. Poi mi ricordo, e arrossisco d'impulso, anche se non so bene perché. 

Guardo l'orologino che porto sempre al polso. È pomeriggio. Ho dormito così a lungo?

Scendo dal letto e barcollo un po'. Mi gira la testa e sono scossa da continui colpi di tosse. Vorrei chiamare Lukas, ma non è sensato dare per scontata la sua presenza. Magari, dopo avermi portata qui, è ripartito.

Poi sento il tono acceso di una discussione che proviene dal terrazzo. Faccio qualche passo, e mi rendo conto che piove ancora. 

Eppure Lukas è fuori, e a quanto pare sta discutendo animatamente con qualcuno al telefono. Va avanti e indietro, con un diavolo per capello, e siccome ha tantissimi capelli i diavoli possono dirsi pressoché infiniti.

Soffoco i colpi di tosse in una mano e per fortuna lui non mi nota. Arretro e mi precipito verso il bagno. Inorridisco quando mi guardo allo specchio. Sono un mostro della laguna nera.

Non mi è mai importato del mio aspetto, se non con un unico scopo: fare di tutto per rendermi sgradevole. 

Invece in questo momento mi dispiace. Essere orrenda, intendo, coi capelli sparati, la pelle color cera di candela, gli occhi gonfi, e questo ridicolo pigiama.

Perché dovrebbe dispiacermi?

E quando ho indossato il pigiama?

«Sei viva?» mi domanda Lukas al di là della porta, dopo aver bussato.

«Ehm, sì», mormoro.

Mi rinfresco, mi lavo i denti ed esco. Tanto, chi se ne frega del fatto che sono brutta, giusto? Ho raggiunto il mio scopo, che è e resterà sempre la cosa più importante di tutte.

Lui è seduto su una delle poltrone del salottino, leggermente chino in avanti, i gomiti puntellati sulle cosce, le gambe avvolte da un paio di jeans che non vengono sicuramente da un mercatino. 

Impugna il cellulare adesso spento, i diavoli sembrano aver abbandonato i suoi capelli, anche se i capelli sono rimasti circa un miliardo, lunghi e biondi e insopportabilmente perfetti.

«Cazzo come sei conciata», mi dice, con un sorrisetto tutt'altro che benevolo. Be', a conti fatti i diavoli non lo hanno abbandonato, sono ancora lì, ma non sono più fatti di rabbia. Sono fatti di derisione e disprezzo.

«Ti ringrazio», replico ironica, scrollando le spalle.

«Hai dormito quasi ventiquattro ore», mi fa notare. «Ma adesso sembri stare meglio. Certo, nei limiti in cui è possibile stare meglio per una con quella faccia.»

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