Lunedì, 23 Settembre
TheoIl sole mi colpì in pieno viso, crudo e diretto, come un richiamo innegabile. Mi svegliai con un mezzo gemito, sentendo la stanchezza ancora aggrappata a ogni muscolo. Le tende, come sempre, avevano fallito nel loro compito, lasciando filtrare quella luce ostinata. Eppure, sapevo che dovevo alzarmi.
Scivolai giù dal letto e attraversai la casa, avvolto nel solito silenzio. In cucina, il tavolo era già pronto, apparecchiato per uno, una routine spoglia come il vuoto che ci circondava. Nessuna risata o voce, solo la mia presenza. Papà era già al lavoro, come ogni mattina; il suo posto a tavola era vuoto e immobile, una costante a cui avevo imparato a non reagire. Eppure, ogni volta sentivo quel vuoto scavarmi dentro, una crepa che non si richiudeva mai del tutto.
Iniziai la giornata senza fretta, quasi volessi ritardare l'inevitabile: affrontare il mondo, la scuola, i miei pensieri. Quando finalmente uscii di casa, l'aria fresca mi colpì come un pugno. Cercai di concentrarmi sulla partita del giorno dopo, il mio ruolo di capitano, la pressione che mi accompagnava. Ma c'era altro, qualcosa che mi stringeva lo stomaco, una sensazione indefinibile che non riuscivo a scrollarmi di dosso.
All'arrivo a scuola, il caos delle voci e delle risate dei miei amici mi offrì un breve sollievo. Era il mio rifugio: le battute, i discorsi senza importanza. Eppure, anche mentre scherzavo con loro, sentivo un distacco, come se una parte di me fosse altrove, in un mondo dove le cose avevano un peso diverso. Mi voltai a un certo punto, e lì, tra la folla di studenti, intravidi Becky. I nostri sguardi si incrociarono, e fu come una pugnalata improvvisa. Il suo volto mostrava un'ombra di delusione, che mi colpì più di quanto volessi ammettere.
Mi resi conto di non aver risposto ai suoi messaggi. Sapevo che erano lì, avevo visto le notifiche, ma qualcosa mi aveva trattenuto. Forse era paura, forse era solo confusione. Mi ero illuso che ignorare il problema avrebbe risolto tutto. Ma adesso, di fronte a quel suo sguardo, mi sentii nudo, colpevole. Decisi che avrei rimediato, più tardi, forse dopo la partita.
Le lezioni si trascinarono lentamente. Ogni minuto sembrava espandersi all'infinito, come una tortura silenziosa. La mia mente vagava, incapace di concentrarsi. Il pensiero della partita e di Becky si mescolava in un vortice confuso. A un certo punto, smisi di fingere di seguire e iniziai semplicemente ad aspettare la fine della giornata.
Quando finalmente suonò la campanella, uscii da scuola con una sensazione di sollievo, anche se un peso mi opprimeva ancora il petto. Il sole era caldo, ma in qualche modo sembrava estraneo, distante, come se anche la luce mi fosse ostile. Tornai a casa, e il solito silenzio mi avvolse come un sudario. Mi tuffai nei videogiochi, cercando di distrarmi, di allontanarmi dai pensieri, ma anche lì quel senso di vuoto rimaneva, sordo e insistente.
Più tardi, mi costrinsi a fare i compiti, sperando di mettere ordine almeno tra i numeri e le parole sul foglio. Ma il pensiero di Becky continuava a riaffiorare, insistente. Mi chiesi cosa pensasse di me ora, se si fosse convinta che ero solo un codardo o peggio, che non mi importava. Entrambe le possibilità mi facevano rabbia.
Quella sera, papà rientrò tardi. Ci sedemmo a tavola e cenammo in silenzio, scambiandoci solo frasi pratiche. Provai a parlargli della partita, a dirgli che il giorno dopo avrei giocato da capitano, ma lui si limitò a risposte distratte, monosillabi che non significavano nulla. Ogni volta speravo che notasse qualcosa, che mostrasse interesse. Ma niente. Mi chiesi se mi vedesse davvero, o se fossi solo un'ombra che attraversava la sua vita.
Quando mi ritirai in camera, il peso di quella solitudine mi opprimeva. Mi gettai sul letto, esausto, con la mente che continuava a vagare tra mio padre, Becky, la partita. Avrei voluto dimenticare tutto, addormentarmi e basta. Ma quel vuoto rimaneva lì, a ricordarmi che qualcosa mancava, sempre.
Chiusi gli occhi, con una speranza flebile e ostinata: forse domani, sul campo, sarebbe andata meglio.
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L'Anima dei Libri
ChickLitBecky, una giovane con una pressione profonda per i libri, sogni di aprire una libreria accogliente, dove storie e caffè si mescolano, creando un rifugio per chi cerca un momento di pace. Alla soglia dei diciotto anni, determinata a realizzare ques...