Il giorno dopo
BeckyMi svegliai di soprassalto, avvolta dalla luce intensa che filtrava attraverso le tende. Per qualche istante non capii dove mi trovavo. Poi, il soffitto sconosciuto e l'odore di caffè che proveniva dalla cucina mi riportarono alla realtà: ero a casa di Lily. Non nel mio letto, ma sul divano della mia migliore amica, al sicuro. Eppure, quella sicurezza era solo apparente, un sottile strato che nascondeva tutto il caos che si era riversato nella mia vita nelle ultime ventiquattr'ore.
Ricordi vividi mi invasero, scivolando veloci come le immagini di un film troppo intenso per essere ignorato. Theo, Kai, la rabbia improvvisa di lui, la gelosia esplosa senza freni, quel pugno. Sospirai, rannicchiandomi su me stessa come per proteggermi da quelle emozioni ancora così vivide.
Un messaggio di Lily sul telefono mi riportò alla realtà:
"Becky, sono in negozio. Resta pure a casa mia per tutto il tempo che vuoi."Sorrisi. Sapevo che dietro quella frase semplice c'era tutto l'affetto di Lily, e la sua presenza mi dava forza. Ma sapevo anche che restare lì, a nascondermi, non avrebbe risolto nulla. Sentivo il bisogno di affrontare tutto questo, di capire davvero cosa stesse succedendo.
Non appena mi misi in piedi, un senso di determinazione mi attraversò. Mi vestii velocemente e uscii, cercando di trovare un punto d'equilibrio. Camminai a lungo, le gambe che mi portarono inconsapevolmente fino a Central Park, dove le bancarelle di un mercatino coloravano l'aria e spezzavano, seppur per un attimo, il filo di pensieri che continuava a girare nella mia mente.
Ma la mia mente tornava sempre lì, alla sera precedente. Alle parole di Kai, alle sue espressioni ferite, ai dubbi. Come avevamo potuto, noi che avevamo costruito tanto, precipitare in un malinteso così doloroso? Quella domanda mi tormentava, e sapevo che l'unica risposta possibile era guardarlo negli occhi e spiegargli tutto.
Il pomeriggio passò, e alla sera mi ritrovai davanti alla porta dell'appartamento di Kai. Ogni passo mi sembrava una sfida, ma quando suonai il campanello mi sentii pronta, consapevole che avrei dovuto affrontare tutto con sincerità.
Quando Kai aprì la porta, la sua espressione era un misto di sorpresa e tensione. Per un attimo cercò di richiuderla, ma con determinazione misi una mano sulla porta e lo guardai negli occhi.
"Voglio solo parlarti, Kai. Voglio spiegarti tutto."Lui esitò, poi lasciò che entrassi. Ci sedemmo sul divano, e iniziai a raccontare, senza nascondere nulla. Gli parlai di Theo, di come un tempo fosse stato importante per me, di quanto quel periodo della mia vita fosse stato confuso e incerto. Gli raccontai dei piccoli gesti, di come quel passato non avesse mai avuto un vero seguito, ma fosse rimasto sospeso nel tempo, fino a dissolversi. Gli parlai di come, quando mi ero trasferita a New York e avevo incontrato lui, tutto quel passato fosse diventato insignificante.
Mi sentii vulnerabile, ma onesta come non mai. Guardandolo, capii che le mie parole erano state ascoltate, ma che restava comunque un'ombra nei suoi occhi.
"Becky," disse, la sua voce pacata ma risoluta, "credo alle tue parole, ma non posso fare finta di niente. Vedere quel legame tra voi mi ha riportato indietro, a un momento in cui qualcuno che amavo mi ha fatto soffrire nello stesso modo. Io... non posso continuare così, a vivere con la paura di non essere abbastanza. È meglio se ci fermiamo qui."
Quelle parole mi colpirono come una lama fredda, definitiva. Tentai di parlare, di protestare, ma non ci fu spazio per spiegazioni ulteriori. Kai mi guardò con una tristezza composta e aggiunse:
"Non smetterò di volerti bene, Becky. Spero che possiamo restare amici, ma più di questo... mi è troppo difficile."Ogni parola mi lasciava un peso sul cuore. Compresi che non c'era nulla da aggiungere; che in quel momento era lui ad aver bisogno di spazio e di tempo. Mi alzai, salutandolo senza aggiungere altro.
Quando tornai a casa, l'aria sembrava densa, opprimente. Presi una bottiglia di vino, un gesto raro per me, e iniziai a bere. Ogni sorso sembrava rendere i pensieri più leggeri, come se il vino riuscisse, in qualche modo, a lenire la ferita ancora aperta. Mi persi in quei bicchieri, uno dopo l'altro, fino a che tutto sembrò confuso, ovattato.
In uno di quegli istanti sospesi, afferrai il telefono e chiamai Theo. Non ricordo le parole esatte, solo frammenti: scuse per il pugno, parole disordinate e forse troppo oneste.
"Becky, stai bene?" chiese Theo, la sua voce calma che mi sorprese.
"Bene... più o meno. Solo... sono un po' persa, forse ho bevuto... un po' troppo."
Theo mi chiese l'indirizzo, e per qualche motivo glielo inviai senza pensarci. Non molto dopo, bussò alla mia porta. Non so perché lo feci entrare, forse perché sapevo che era qualcuno di cui mi potevo fidare. Con delicatezza mi tolse il bicchiere dalla mano, mi diede un bicchiere d'acqua, e mi fece accomodare sul divano.
"Becky, devi riposare," disse con un tono affettuoso. Mi mise a letto, con la gentilezza di un amico che sapeva riconoscere quando una parola in più sarebbe stata superflua.
Quella notte, mentre il sonno mi avvolgeva, capii che tutto ciò che era accaduto mi aveva portato qui, a una consapevolezza nuova. Avevo perso un amore, forse, ma avevo trovato la forza di essere sincera. E, in quel momento di lucidità, mi dissi che ce l'avrei fatta, qualunque cosa il futuro mi riservasse.
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L'Anima dei Libri
ChickLitBecky, una giovane con una pressione profonda per i libri, sogni di aprire una libreria accogliente, dove storie e caffè si mescolano, creando un rifugio per chi cerca un momento di pace. Alla soglia dei diciotto anni, determinata a realizzare ques...