Capitolo 5 (Distanza incolmabile)

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Lunedì, 16 Settembre
Theo

La sveglia suonò alle sette in punto, come ogni giorno. Ma oggi non era un giorno come tutti gli altri. Non era solo il primo giorno di scuola, non più il giorno delle solite presentazioni, delle stesse facce e dei discorsi motivazionali che nessuno ascolta. No. Oggi c'era qualcosa di più. Una tensione invisibile, ma palpabile, che mi attanagliava. Un nodo nella pancia che non riuscivo a liberarmi. Un pensiero insistente, ossessivo, che non potevo ignorare: Becky.

Non era solo quel pomeriggio passato in libreria che mi perseguitava. Era il modo in cui le parole che avevamo scambiato, quei piccoli dettagli che si erano infilati nel mio cervello come schegge, continuavano a ronzare nella mia testa. Era il suo sorriso. La passione nei suoi occhi quando parlava di libri, di storie, di mondi che entravano nella sua vita con la stessa forza con cui entravano nella mia. Non era mai stato solo un incontro casuale. No, quello che avevo sentito in quel pomeriggio era diverso. Becky aveva smosso qualcosa in me, qualcosa che non avevo previsto.

Per giorni avevo pensato di scriverle. Avrei voluto ringraziarla per avermi fatto vedere una parte di me che non avevo mai visto prima. Ma ogni volta che prendevo il telefono, mi fermavo. Troppa paura, troppa incertezza. La paura di sembrare troppo invadente, di esprimere un interesse che forse non dovevo mostrare. Ogni volta che pensavo a farlo, mi assalivano mille dubbi: e se l'avessi confusa? E se non fosse stata pronta? E se tutto quello che avevo in mente fosse solo una mia proiezione?

Mi alzai dal letto con un misto di frustrazione e determinazione. La doccia gelida non fece nulla per calmarmi. Anzi, sembrava rendere tutto ancora più confuso, come se avessi provato a risolvere qualcosa senza mai riuscire a chiarire le idee. In fretta, mi vestii: jeans scuri, t-shirt nera, e la mia giacca di pelle. Un'armatura, pensai. Non mi importava dell'apparenza, ma di quella sensazione di protezione che mi dava. Quella giacca era la mia corazza contro la vulnerabilità che stavo provando.

La casa era silenziosa, come sempre. Il rumore del cucchiaio che batteva contro la tazza di caffè sembrava amplificare il vuoto che sentivo dentro. Non avevo mai sopportato quel silenzio. Quella solitudine che arrivava prima che il mondo cominciasse a girare. Finii il caffè in fretta, come se potessi scacciare via tutto con un sorso. Ma non ci riuscivo.

Il tragitto verso scuola, come sempre, fu veloce. Ma oggi il mio pensiero era fisso su Becky. Come avrei dovuto comportarmi? Fino a quel momento, l'avevo trattata come una parentesi, un incontro che potevo tenere separato dal resto della mia vita. Ma non potevo più fare finta che fosse così semplice. Quel pomeriggio in libreria aveva rotto un muro dentro di me, e adesso la mia mente era prigioniera di ogni pensiero su di lei. Ma sapevo che non potevo permettermi di farlo diventare un'ossessione. Non potevo permettere a nessuno, nemmeno a me stesso, di vederlo.

Arrivai a scuola e la solita frenesia mi accolse. Il cortile era gremito, le stesse facce di sempre, alcune abbracciavano gli amici, altre sembravano intrappolate nei compiti estivi, e io, nel mezzo di quella confusione, mi sentivo ancora più fuori posto. E poi, la vedo. Non c'è bisogno di cercarla. Becky è lì, con Lily. I suoi capelli, il suo sorriso, i suoi occhi che parlano senza bisogno di parole. Non posso fare a meno di guardarla. Ma so cosa devo fare. Ignorarla. Fare come se niente fosse. Fare come se il nostro incontro in libreria non fosse mai accaduto.

Il mio corpo reagì in modo automatico. Non alzai lo sguardo verso di lei. Non le diedi nemmeno il minimo segno di riconoscimento. Il cuore mi martellava nel petto, ma la faccia rimase impassibile. Dovevo mantenere il controllo. Non potevo permettere che un incontro casuale diventasse qualcosa che mi avrebbe fatto perdere la testa.

Entro in classe senza voltarmi, con il cuore che batte più forte di quanto avrei voluto ammettere. La sensazione di averla delusa mi ha colpito come un pugno. Ma non posso permettermi di pensarci. Ho bisogno di tempo. Di spazio. Forse, se le do abbastanza tempo, se non faccio nulla, lei capirà. O forse no. Forse si sentirà tradita, ma io ho bisogno di affrontare tutto questo da solo.

Le lezioni iniziano e mi lascio distrarre da tutto il resto. Mark e Adam, i soliti compagni, parlano di cose che non mi interessano, ma la mia mente è altrove. Ogni tanto, sento il suo sguardo su di me. Non lo guardo. Non posso. Ho bisogno di un po' di silenzio, di distacco, di capire cosa fare. Mi sembra di sentire i suoi occhi puntati su di me, ma non riesco a affrontarla. Non posso. Eppure, più cerco di ignorarla, più quella sensazione di incompiuto cresce.

Il giorno scivola via tra una lezione e l'altra, ma dentro di me c'è solo un vuoto. E quando finalmente la campanella suona, non faccio altro che raccogliere le cose e uscire. Voglio solo liberarmi di questa tensione che cresce dentro di me, ma non posso. È come se qualcosa mi stesse divorando lentamente.

Esco dalla scuola e decido di fare una passeggiata nel parco. Il parco è l'unico posto dove riesco a respirare. Mi siedo su una panchina e prendo il telefono. Il suo numero è ancora lì, pronto per essere scritto. Cosa dovrei fare? Scriverle? Spiegare? Ma cosa posso dire che non sembri solo una giustificazione?

Poi, mentre esito, una parte di me sa che devo farlo. Non posso lasciare che tutto rimanga in sospeso. Non posso lasciare che il silenzio cresca più grande. Prendo il telefono, scrivo il messaggio e premo invio. "Ciao Becky, tutto bene? Scusa se sono stato distante oggi. Magari ci vediamo in libreria uno di questi giorni?" Non è molto, ma è un inizio. Un primo passo verso qualcosa che non so ancora come definire.

Adesso resta solo da aspettare. E mentre attendo, mi sento un po' più leggero, come se avessi finalmente preso una decisione, come se avessi spezzato la paralisi che mi aveva tenuto bloccato fino a quel momento. Ora il tempo farà il resto.

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